L'educazione sessuale: in alcuni Paesi europei è ancora tabù

  RAISE
  Rebecca Scaglia
  28 February 2021
  4 minutes, 14 seconds

Secondo l'opinione della WHO (World Health Organization, nota anche in Italia come OMS), al fine di vincere le sfide riguardanti la salute sessuale – come quelle contro i tassi crescenti dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmissibili, le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale – è necessario attribuire un ruolo chiave all’educazione sessuale, in famiglia e nelle scuole.

In particolare, nel 2010 l’Ufficio Regionale per l’Europa della WHO ha pubblicato un documento intitolato “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, con il quale ha predisposto alcune linee guida volte a promuovere l’introduzione dell’educazione sessuale, soprattutto nelle scuole.

Prima di tutto, è bene fare luce su cosa s’intenda per educazione sessuale. Dal momento che è difficile, per la complessità della tematica, fornirne una definizione esaustiva, potrebbe rivelarsi utile introdurre l’argomento mediante la comparazione tra due tipologie di educazione sessuale: quella “informale” – che ha luogo nel corso della crescita, gradualmente, quando bambini e adolescenti acquisiscono conoscenze riguardanti il corpo umano, le relazioni intime e la sessualità – e quella “formale” – durante la quale bambini e adolescenti vengono accompagnati nell’apprendimento da professionisti di area medica, pedagogica, sociale o psicologica. Le due tipologie di educazione sessuale sono tra loro complementari e svolgono entrambe un ruolo fondamentale: “l’educazione sessuale – infatti – fa parte dell’educazione più generale e influenza lo sviluppo della personalità del bambino. La natura preventiva dell’educazione sessuale non solo contribuisce a evitare possibili conseguenze negative legate alla sessualità, ma può anche migliorare la qualità della vita, la salute e il benessere, contribuendo, così, a promuovere la salute generale” [Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, Ufficio Regionale per l’Europa della WHO, 2010].

La WHO, con il summenzionato documento, ha promosso un approccio olistico all’educazione sessuale, volto a fornire informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità e strumentale a sviluppare le competenze necessarie ad agire sulla base delle predette informazioni, dando impulso ad atteggiamenti rispettosi ed aperti che favoriscono la costruzione di società eque. L’educazione sessuale non può ridursi a un mero elenco di informazioni riguardanti l’apparato riproduttivo – come accade il più delle volte, soprattutto nelle scuole – e, anzi, non può prescindere dall’educazione all’affettività e ai valori socialmente condivisi (e condivisibili).

Se per quanto concerne l’educazione sessuale informale la fonte primaria di apprendimento è rappresentata dai genitori – cui spetta un ruolo chiave, in particolare nelle prime fasi dello sviluppo – il principale motore dell’educazione sessuale formale è la scuola.

L’educazione sessuale intra-scolastica è nata ufficialmente in Svezia, dove divenne obbligatoria in tutte le scuole nel 1955. Di lì in avanti, si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa e solamente in pochi Stati – specialmente nell’Europa meridionale – l’educazione sessuale non è ancora stata introdotta nelle scuole. Tuttavia, raramente l’educazione sessuale è materia obbligatoria e, ancora più raramente, è oggetto d’esame. Nonostante la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia affermi esplicitamente il diritto all’informazione e l’obbligo degli Stati a mettere in atto delle misure per l’educazione di bambini e ragazzi e nonostante anche i media moderni siano diventati in un brevissimo arco di tempo importanti fonti di informazioni sulla sessualità perlopiù distorte, non equilibrate, irrealistiche e spesso degradanti, specialmente per le donne, l’idea di insegnare l’educazione sessuale nelle scuole è ancora temuta in molti Paesi europei, a maggior ragione quando si tratta di scuole dell’infanzia.

È ovvio che sia importante trattare la tematica della sessualità in maniera adeguata rispetto all’età, tanto è vero che la stessa WHO ha redatto degli elenchi di argomenti, approcci, modalità, competenze richieste e valori trasmissibili suddivisi per fascia d’età. Rispettare la gradualità del processo di formazione e cognizione di bambini e adolescenti è assolutamente necessario. Ciò, tuttavia, non può e non deve comportare l’abbandono a sé stessi di bambini e adolescenti di fronte alle sane curiosità sulla sessualità che li colgono durante le varie fasi dello sviluppo. Non iniziare fin da subito ad educare i bambini a una sessualità sana – e non distorta – equivarrebbe ad iniziare tardi, come del resto vale per qualsivoglia altro tipo di educazione improntata al rispetto dell’altro, piuttosto che dell’ambiente o degli animali.

La sessualità non deve essere fonte di imbarazzo negli adulti e, soprattutto, tale imbarazzo non può e non deve ripercuotersi sui più piccoli. Ciò sia in quanto una crescita serena dell’io avviene anche attraverso lo sviluppo della propria sessualità, sia perché le generazioni future dovrebbero e dovranno essere messe nella condizione di vivere in un contesto capace di promuovere l’integrazione, non di discriminare; di far comprendere e non di censurare in nome di un non ben definito senso del pudore. È proprio per il raggiungimento di tali obiettivi l’educazione sessuale dovrebbe e dovrà essere promossa nelle scuole in maniera più approfondita, consapevole ed olistica. Si garantirebbe, così, una diffusione uniforme della consapevolezza sul tema – dal momento che non sarebbe lasciata alle singole famiglie, all’interno delle quali, purtroppo, non sempre c’è possibilità di scambio.

Fonti liberamente consultabili:

http://www.fissonline.it/pdf/U...

https://www.fondazioneveronesi...

https://www.who.int/


A cura di Rebecca Scaglia

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