Quanto costa la batteria del nostro smartphone?

Il lavoro minorile nelle miniere congolesi

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  Greta Thierry
  20 November 2021
  4 minutes, 38 seconds

Tra le caratteristiche che distinguono i paesi più poveri del mondo vi è la “trappola delle risorse naturali”. Spesso infatti i Paesi più poveri sono ricchi di risorse naturali, ma la dipendenza dalle stesse ne impedisce frequentemente uno sviluppo economico più ampio. Il mercato di tali risorse naturali è inoltre instabile e la ricchezza che ne deriva raramente conduce ad un miglioramento delle condizioni generali e aumenta piuttosto la disuguaglianza all’interno del Paese stesso. È questo il caso della Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Nel 2021, la RDC figura come il quinto Paese più povero al mondo - per PIL pro capite - nonostante sia estremamente ricco di risorse naturali: oro, diamanti, petrolio, cobalto e columbite-tantalite, anche detta coltan. Queste ultime due risorse potrebbero essere definite come l’oro della tecnologia poiché sono utilizzate per la produzione delle batterie e, più in generale, sono componenti base per la telefonia mobile, le società informatiche e le industrie high-tech di tutto il mondo.

Tuttavia, tale “oro dell’era digitale” non si traduce in ricchezza, sviluppo e migliori opportunità per la popolazione congolese, ma piuttosto genera povertà, disuguaglianza e conflitti. L’alta richiesta e l’elevato valore di coltan e cobalto rendono il loro commercio estremamente rischioso: spesso scambiati con armi e altri beni da organizzazioni paramilitari e guerriglieri, sono la causa frequente di conflitti e guerre nella regione, che alimentano insicurezza e povertà dilaganti.

Ma i drammatici problemi legati alle risorse naturali congolesi non si fermano qui, poiché ad estrarre coltan e cobalto nelle miniere congolesi vi sono anche decine di migliaia di bambini. Il lavoro minorile continua infatti a rappresentare una piaga nel mondo di oggi, tanto che, secondo il rapporto "Child Labour: Global estimates 2020, trends and the road forward" - prodotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dall’UNICEF e pubblicato in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile (il 12 giugno, ndr) - nel 2020 il numero di bambini in tale situazione ammontava a 160 milioni. In Africa sub-Sahariana si è verificato un drammatico aumento nel numero dei bambini sfruttati nell’ambito del lavoro minorile a partire dal 2012, tanto che vi sono più bambini “impiegati” in tale regione, che in tutto il resto del mondo. Nel 2020, il numero ammontava a 86.6 milioni. Di questi, come già anticipato, decine di migliaia sono sfruttati nelle miniere congolesi di cobalto e coltan.

Estrazione e manodopera non costano praticamente nulla ai compratori locali, alle compagnie estere, alle industrie high-tech. Ai bambini invece costano fatica, salute, educazione, diritti. Ai bambini possono costare tutto. Bambini e ragazzi lavorano infatti anche dodici ore al giorno, in qualsiasi condizione, esposti alle sostanze nocive senza alcuna protezione e costretti a trasportare carichi pesanti, a entrare nelle grotte artigianali affrontando il rischio di crolli, affrontando il rischio di morire, costretti a utilizzare strumenti primitivi o le mani nude per estrarre quello che ci permette di avere l’ultimo modello di smartphone.

Secondo Medici senza Frontiere, i rischi per la salute dovuti all’esposizione a questi materiali sono drammatici: compromissione del cuore, dei vasi sanguigni, del cervello e della cute, riduzione della produzione di cellule ematiche e danneggiamento dell'apparato digerente, rischio di sviluppare tumori, difetti genetici nella prole e malattie dell'apparato linfatico. Condizioni e malattie per le quali sono necessarie cure e medicinali che la popolazione non può permettersi o che non sono reperibili nella RDC.

Bambini e ragazzi in Congo rischiano quindi di subire danni fisici e mentali irreparabili. Il lavoro minorile compromette non solo la loro salute, ma anche la loro istruzione, la realizzazione dei loro diritti, le loro opportunità e conduce a un circolo vizioso di povertà, sfruttamento e privazione che ha un impatto sulle generazioni a venire.

L’epidemia di Covid-19, inoltre – nella Repubblica Democratica del Congo, così come nel resto del mondo – rischia di minare il processo per la graduale eliminazione del lavoro minorile, minacciando le condizioni economiche e sociali delle famiglie, già fortemente in difficoltà, e del Paese nella sua interezza. Secondo nuove analisi - riportate nel rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro - vi è la possibilità che altri 8.9 milioni di bambini nel mondo saranno soggetti a lavoro minorile entro la fine del 2022, come risultato della pandemia e della crescente povertà da essa scaturita.

Nella Repubblica Democratica del Congo è dolorosamente probabile che altre migliaia di bambini finiscano a lavorare forzatamente nelle miniere di coltan e cobalto, per 1-2 euro al giorno. È quindi necessario che si continui a combattere il lavoro minorile nella sua interezza, come già sottolineato nel Target 8.7 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), così come è necessario che si sviluppi consapevolezza rispetto a cosa comportino certi beni di lusso per migliaia di bambini in condizioni di estrema vulnerabilità.

È inoltre fondamentale che siano poste in atto politiche mirate poiché, ad oggi, non vi sono quasi alternative all’estrazione mineraria e spesso il lavoro minorile nelle miniere di coltan e cobalto rappresenta l’unica possibilità per molte famiglie di sopravvivere. Misure importanti devono quindi essere realizzate poiché non vi sia bisogno di barattare diritti e opportunità – dei bambini anzitutto e delle comunità congolesi in generale – con la sopravvivenza economica.

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Greta Thierry

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