Perché quello che sta accadendo in Tunisia è fondamentale

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  Redazione
  30 July 2021
  5 minutes, 26 seconds

A cura di Edoardo Cappelli

Guardando ciò che sta accadendo in questi giorni in Tunisia, è impossibile non rinvenire nel proprio archivio di ricordi gli eventi che contraddistinsero il mondo nordafricano e mediorientale intorno al 2010/2011: il fenomeno delle Primavere Arabe. I movimenti di lotta per la democrazia e il pluralismo furono un evento mondiale di portata eccezionale, e trovarono la loro spinta propulsiva proprio nella caduta del despota Ben Ali – presidente della Tunisia sino ad allora – in quella che viene ricordata come Rivoluzione dei Gelsomini. Col tempo è evidente che le Primavere Arabe siano state un fallimento politico: gran parte delle popolazioni che hanno portato avanti le rivolte si trovano ora sotto il giogo dell’esercito o di un regime ancor più assolutista. In alternativa si è semplicemente affermata la morsa del potere tradizionale (che al massimo ha subito qualche vacillamento, come in Siria) in un sanguinolento processo di restaurazione. L’unico Paese che è riuscito a sopravvivere nelle nuove istituzioni democratiche, nate in seguito alle rivolte popolari, è proprio la Tunisia.

Lo scorso 25 luglio, in concomitanza con le celebrazioni per il sessantaquattresimo anniversario della fondazione della Repubblica di Tunisia, centinaia di manifestanti hanno invaso le strade in seguito alle adesioni raccolte online dal cosiddetto “Gruppo del Movimento del 25 luglio”, il quale ha riunito attivisti e simpatizzanti a sufficienza per organizzare delle proteste col fine di chiedere lo scioglimento del Parlamento. Le manifestazioni, principalmente pacifiche, hanno interessato per lo più le vie d’accesso alla sede del Parlamento, presidiata da uno schieramento molto consistente di forze dell’ordine. Dalla prima volta in cui i cittadini sono scesi in piazza, le iniziative si sono allargate anche a numerose altre città del Paese, tra cui Sousse, Sfax, Kef, Gafsa, Tozeur e Kairouan. Il motto più condiviso dai manifestanti è stato Il popolo vuole lo scioglimento del Parlamento, con finalità di anticipazione delle elezioni.

Come scritto poc’anzi, gli eventi del 2011 non hanno comportato per la Tunisia gli stessi effetti dei Paesi coinvolti nelle rivolte, come Libia ed Egitto, Siria e Yemen. Tuttavia questo non vuol dire che tutti i tunisini siano soddisfatti delle conseguenze di quegli avvenimenti. I problemi da risolvere sono gli stessi di un qualunque Paese che si trova in una regione complessa: bassa crescita economica, alto tasso di disoccupazione, terrorismo, corruzione ed evasione fiscale diffuse, migrazione irregolare, crisi libica, ingiustizia sociale e crisi istituzionale. Il tutto è aggravato da una pandemia gestita con incompetenza, la quale ha bloccato anche l’economia turistica e ha numeri altissimi nella casella dei decessi. Ciò rende evidente come il malcontento sia diffuso e ben radicato. Figlia del tempo che viviamo, la raffigurazione del popolo come entità unica che persegue il medesimo scopo è funzionale alla narrazione politica di ogni parte coinvolta. Non stupiscono in questo senso le recenti dichiarazioni del presidente Kais Saied: “O sei con il popolo o sei dalla parte opposta, contro di esso”. Oltre alla forte depressione economica e alla corruzione molto diffusa all’interno delle istituzioni, va registrato come il Parlamento tunisino risulti da mesi ormai inefficiente per via delle animosità tra il capo dello Stato e il primo ministro Hichem Mechichi. Il presidente e il Parlamento sono stati entrambi eletti in votazioni popolari separate nel 2019, mentre il primo ministro Hichem Mechichi è entrato in carica la scorsa estate, sostituendo un altro governo di breve durata.

Saied, facendosi scudo con l’articolo 80 della Costituzione, ha di fatto congelato il Parlamento, sospendendone le attività per 30 giorni. Oltretutto, nella notte tra il 25 e il 26 luglio, vari convogli militari (con una consistente approvazione da parte dei cittadini) hanno raggiunto le sedi parlamentari e quelle dei principali mezzi di informazione del Paese, tra cui la famosa trasmittente Al Jazeera. “Ai giornalisti e impiegati è stato intimato in tempo utile di abbandonare i luoghi, ha fatto sapere il direttore della sede di Tunisi, Lotfi Hajji”, riporta Il Sole 24 Ore. I parlamentari, durante questo mese di sospensione delle attività, non potranno godere del diritto all’immunità, il che fa crescere il sospetto di eventuali arresti arbitrari. Come se non bastasse, il presidente Saied ha licenziato il premier Mechichi, il quale risulta introvabile. I membri del partito islamista Ennahda (il gruppo di cui Mechichi fa parte) si sono riuniti per decidere come reagire alle decisioni del presidente. A tutti gli effetti Saied ha concentrato nelle sue mani il potere esecutivo, annunciando che successivamente verrà designato un altro capo di governo per aiutarlo nella transizione e rivendicando la legittimità costituzionale delle proprie azioni.

Le interpretazioni degli eventi sono, come al solito, divisive a seconda di chi opera tale analisi: per i sostenitori del partito al governo, Ennahda, quello in atto è un golpe militare anti-democratico a tutti gli effetti, invece per gli oppositori al governo stiamo assistendo a una riappropriazione dei propri spazi da parte del popolo, impoverito dalla corruzione delle istituzioni e che spera nell’intervento militare per ripristinare l’ordine, anche a costo di sacrificare le istituzioni repubblicane. Dall’Occidente il tutto viene trattato con relativo disinteresse. A livello puramente pragmatico va ricordato che la Tunisia è un partner commerciale molto importante, un Paese estremamente vicino alle coste siciliane, centrale nella gestione dei fenomeni migratori. Oltretutto, è necessario ricordare nuovamente cosa successe in seguito alle rivolte del 2011: solo nel momento in cui vari partiti di ispirazione islamista salirono al potere, molti si preoccuparono. Il sovvertimento dell’ordine democratico da parte delle giunte militari è stato per lo più accolto con relativa serenità. Oggi vediamo come questo sia stato terribilmente corrosivo dal punto di vista della salvaguardia dei diritti umani (e problematico nelle relazioni con i Paesi occidentali). Quel che è certo è che né Bruxelles né tanto meno Roma possono permettersi una ripetizione di quello che è avvenuto in Libia dopo la caduta di Gheddafi, a poche miglia dalle proprie coste.

Fonti consultate per il presente articolo:

ANSA, “Tunisia: dieci anni fa iniziava la rivoluzione dei gelsomini. Quale è stato l'esito?”, euronews.com, https://it.euronews.com/2020/12/17/tunisia-dieci-anni-fa-iniziava-la-rivoluzione-dei-gelsomini-quale-e-stato-l-esito

ANSA, Tunisia: proteste nel giorno della Festa per la Repubblica, 25 luglio 2021, https://www.ansa.it/sito/notiz...

Enciclopedia Treccani, “Rivoluzione dei Gelsomini”, https://www.treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-dei-gelsomini

“In Tunisia cacciato il premier e congelato il parlamento. L’opposizione: è colpo di Stato”, 26 luglio 2021,

“Tunisia" class="redactor-autoparser-object">https://www.ilsole24ore.com/ar... nel caos, il presidente silura governo e Parlamento. L'esercito in strada”, Il Messaggero, 26 luglio 2021, https://www.ilmessaggero.it/mondo/tunisia_ultime_notizie_presidente_kais_saied_cosa_ha_fatto-6103003.html

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