“Parar para avanzar”. Colombia: aggiornamenti sugli scontri a Cali

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  Elisa Maggiore
  14 May 2021
  5 minutes, 44 seconds

Cali

Sapevamo che il capoluogo del dipartimento di Valle del Cauca, nonché la terza città più grande della Colombia, fosse diventata l’epicentro delle proteste sociali nel Paese praticamente dai primissimi giorni in cui queste ultime sono ingenerate, e sappiamo anche che non è un caso che venga riconosciuta come tale: è stata la culla di innumerevoli atti violenti, questi ultimi incarnati in vandalismi, saccheggi, blocchi stradali, barbarie poliziesche e, per concludere (certo non in bellezza), in intimidazioni da parte di civili contro i manifestanti. E proprio civili, manifestanti e polizia, in questi ultimissimi giorni, sono i protagonisti di un confusissimo sinistro che ha contato almeno nove feriti da colpi di arma da fuoco, tutti membri del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC): segnalazione confermata dal difensore civico colombiano, Carlos Camargo. Per non lasciare nulla al caso: il CRIC altro non è che l’organizzazione che riunisce il 90% delle comunità indigene della regione sud-occidentale, del dipartimento del Cauca.

Minga

I vari rapporti spiegano che i disordini di domenica 9 maggio hanno avuto principio nell’intenzione organizzativa dei civili di bloccare la traversata della marcia indigena Minga nel sud di Cali: “Minga”, primariamente, è una parola indigena che può significare la riunione di diversi attori, conoscenze e strumenti per un obiettivo comune, oppure resistenza, protesta per la rivendicazione dei diritti: quindi, se vogliamo, Minga può indicare un atto di aggregazione fra più parti; ma soprattutto è anche un movimento originario del sud della Colombia, nato alla fine del secolo scorso, con l’obbiettivo “semplice” della difesa dei propri diritti. Dunque, domenica la marcia è stata intrapresa dagli indigeni per raggiungere Cali nella volontà di unirsi ai manifestanti che, da più di una settimana ormai, stanno protestando contro il governo Duque, nonostante il presidente abbia ritirato il progetto di riforma fiscale e il ministro delle finanze e del credito pubblico, Alberto Carrasquilla, abbia presentato le sue dimissioni; infatti l’eccentricità di questo sciopero nazionale sta nella sua irrefrenabilità, perché nonostante le proteste trovino la propria ragion d’essere proprio nella contrarietà assoluta alla riforma tributaria, comunque la levata di scudi e il malcontento hanno mantenuto la sua carica contestativa e la sua ostinazione rispetto la pretesa di riforme adeguate, che si slarga ben oltre quella finanziaria: da quella sanitaria, a quella sugli abusi della polizia e sul rispetto degli accordi di pace. Dunque, è probabile che la parata Minga prospettasse, come nell’ottobre del 2020 a Bogotà, di riuscire a rafforzare il movimento di sciopero nazionale che, oggi come allora, mendica soluzioni economiche, educative, sanitarie e di ordine pubblico; e anche di condividere slogan comuni. La politologa Sandra Borda ha sostenuto che “i Minga indigeni possono essere l’impulso per una protesta più ampia”, evidenziando proprio le evidenti somiglianze tra i Paro e gli indigeni, esempio: la richiesta di un'applicazione più proattiva dell'accordo di pace e principi come la protezione dell'ambiente, o il fatto che entrambi abbiano il sostegno di Claudia Lopez, politica colombiana e leader emergente, oppure ancora che condividano gli stessi oppositori.

Scontro delle parti

L’intenzione di una manifestazione pacifica dei residenti locali si è irrimediabilmente distorta in uno scontro che non trova responsabilità definite in una o l’altra delle parti coinvolte. Di fatto, i civili sostengono di essere stati attaccati con pietre e machete dagli indigeni e che le loro proprietà siano state vandalizzate; quest’ultimi, invece, denunciano l’esatto opposto, ovvero di essere stati attaccati con armi da fuoco, e che la polizia abbia sostenuto i loro aggressori. Secondo il CRIC, questi assalti compongono lo schema della "tattica di repressione che rinvia gli attacchi dalle uniformi ai civili armati che agiscono come paramilitari". È stato uno scontro di cui si raccontano principalmente le sue dinamiche indistinte, che si confonde nelle numerose discordanti testimonianze video e oculari di coloro che erano presenti, e che è stato fautore di una tensione ancor più impellente.

Uomini in bianco

Testimoni parlano di gruppi di uomini armati, che guidavano pick-up di alto valore e vestiti con magliette bianche, che quella domenica invitavano i residenti di diversi quartieri nel sud di Cali a difendere le loro proprietà contro la carovana Minga. Nel sud di Cali ci sono diverse zone residenziali e molto vicino ci sono due strade dove gli indigeni entrano in città dal dipartimento meridionale del Cauca. È nel settore Pance, dove ci sono complessi residenziali e condomini in cui vive la classe media, che si sono consumati gli scontri. Di fatto, nessuno conosce l’identità di questi gruppi di uomini in bianco, tanto che il sindaco di Cali, Jorge Ivàn Ospina, ha sollecitato che una commissione delucidi quanto è successo, concedendosi anche una riflessione sugli eventi, sostenendo che se la tensione a Cali era stata di fatto indocile per tutti i giorni di proteste passati, con la marcia Minga si è toccato un picco di criticità piuttosto inquietante. Invece, l’ufficio del procuratore generale colombiano sta già indagando sull’identità dei gruppi armati e sul loro ruolo e coinvolgimento nella vicenda, così come sta esaminando le accuse contro i Minga rispetto l'uso di armi da taglio, come machete, e delle armi da fuoco. In tutta questa cosmologia di parti animose, non escludiamo certo le forze di sicurezza. Se alcuni video e rapporti mostrano come gli uomini in bianco abbiano goduto della passività della polizia mentre sparavano, o che parlassero con gli agenti da dentro i loro furgoni con le targhe nascoste, altri rapporti invece paiono evidenziare che proprio l’intervento delle forze dell’ordine sia stato risolutivo nel decretare la fine dello scontro.

Duque vs Comitato Paro

A seguito di varie pressioni da Cali e dal suo partito, Duque ha raggiunto la città per tenere una riunione di emergenza sulla sicurezza e alla quale seguono una serie di dichiarazioni del Presidente stesso: vengono indetti il dispiegamento massiccio e ulteriore delle forze di sicurezza nell’intenzione di generare sentimenti di protezione tra i cittadini, e le restrizioni alla mobilità nell’accesso al dipartimento; ha promesso un "dialogo permanente" con la popolazione indigena e l'attuazione di programmi sociali per i giovani di Cali. A seguito di tali dichiarazioni, c’è stato il primo incontro con il Comitato Paro, il comitato dello sciopero. Quest’ultimo ha immediatamente circoscritto tre critiche: una rispetto la carestia empatica del governo nei confronti delle vittime delle azioni delle forze di sicurezza durante le proteste, annunciando pertanto una nuova mobilitazione nazionale per mercoledì 12, l’altra rispetto lo scontro accaduto domenica, palesando che ad accompagnare la “violenza ufficiale” ci sia stata anche quella “privata” dei non-identificati gruppi armati, e l’ultima nei confronti dell’inattività governativa riguardo la richiesta del Comitato di rispetto del diritto di protestare, annunciando conclusivamente che nonostante l’invito del presidente Duque di ritirarsi, rimarranno nelle strade a reclamar.

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