Novembre europeo

Gli ultimi aggiornamenti sulla politica europea

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  Redazione
  28 November 2020
  6 minutes, 34 seconds

A cura di Michele Bodei

Il ritorno del lockdown in Europa tra scontenti e negazionismo

Dopo la riapertura estiva è tornato lo spettro del lockdown in molti Paesi europei a seguito dell’impennata dei contagi: 900 mila casi in Germania, più di un milione in Italia, Regno Unito e Spagna, mentre si superano i due milioni in Francia. La prima a mobilitarsi è stata la Repubblica Ceca. Nonostante avesse affrontato la prima ondata con successo, oggi i contagi crescono a dismisura: si contano 500 mila infetti su una popolazione di 10 milioni di abitanti. Il 25 ottobre è stato introdotto un lockdown totale e il governo ha chiesto ufficialmente aiuto alla Nato per far fronte all’inadeguatezza delle strutture sanitarie. La Francia ha adottato restrizioni su bar, ristoranti, palestre e attività commerciali, ma grazie ai risultati ottenuti si prevede un allentamento già a dicembre. A seguire abbiamo la Germania – con misure leggere riguardati principalmente ristoranti e locali notturni – e l’Italia – che ha adottato restrizioni diverse per regione. In Regno Unito restano chiuse le attività non essenziali, mentre la Spagna e la Grecia hanno adottato un sistema regionale simile a quello italiano. Ulteriori chiusure sono state ordinate in Olanda, Polonia, Belgio, Irlanda e Portogallo. In Danimarca, a seguito del caso sull’infettività di un allevamento di visoni, sono state chiusi completamente sette comuni. Diversamente, si affidano all’immunità di gregge la Svezia e la Norvegia - dove il virus si è diffuso moltissimo, anche se con letalità assai inferiore rispetto agli altri paesi. Seppur le varie restrizioni siano da considerare meno invasive di quelle della scorsa primavera, le preoccupazioni della società civile sulle ripercussioni economiche hanno generato proteste e negazionismi in tutto il continente. I governi nazionali cercano di placare gli animi auspicando e promettendo la riapertura entro Natale, ma resta comunque il rischio di una terza ondata tra gennaio e marzo.

I fondi europei contro il ciclone ungherese-polacco: dalla procedura d’infrazione al veto

Il 16 novembre i governi dei 27 Stati membri si sono riuniti nel Consiglio presieduto dal ministro tedesco degli Affari europei, Michael Roth. Il punto cruciale della videoconferenza è stato il veto posto da Ungheria e Polonia – alle quali si è accodata la Slovenia - contro il Bilancio Europeo per la condizionalità con cui sarebbe erogato il Recovery Fund: il rispetto dello stato di diritto. Il gesto estremo è da collegare a un risentimento sorto settimane prima: il 30 ottobre la Commissione ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria, a seguito della violazione di quest’ultima della nuova legislazione europea in materia di asilo. Il governo Orban ha due mesi di tempo per rispondere alla Commissione, ma intanto il veto ha suscitato scalpore tra gli altri leader europei. “Non è tempo di veti, siate responsabili” ha dichiarato lo stesso Roth, poiché “il prezzo da pagare sarebbe troppo alto per tutti gli stati europei”. Questo lo sanno benissimo anche Orban e Moraviecki, infatti con il veto non avrebbero intenzione di affossare tutto il progetto dei fondi europei, ma bensì giungere ad altri compromessi ed evitare la clausola sullo stato di diritto. Il messaggio di Ungheria e Polonia è stato ben recepito dagli altri negoziatori europei: “bisogna valutare le opzioni possibili” ha chiarito Angela Merkel, così come il presidente del Consiglio, Charles Michel, ha dichiarato che “bisogna cercare una soluzione per tutti” e la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che è importante “raggiungere un accordo al più presto”.

Nuovi accordi per il vaccino

La Commissione ha concluso un altro accordo con CureVac, che sta producendo un vaccino grazie soprattutto ai prestiti della BCE, per la distribuzione di 400 milioni di dosi. Non si tratta dell’unica azienda farmaceutica ad aver firmato accordi con l’Unione Europea. A questa si aggiungono AstraZeneca, Sanofi-GSK, Janssen Pharmaceutica NV e BioNtech-Pfizer. Hanno avuto esito positivo i colloqui esplorativi con la società biotech americana Moderna, che in attesa di un contratto definitivo e dell’autorizzazione al commercio ha concordato con l’Unione la distribuzione fino a 160 milioni di dosi. La produzione è stata finanziata con fondi pubblici, quindi l’aspettativa è che il prezzo si limiti a ricoprire i costi.

La riforma della PAC

A ottobre il Consiglio ha deliberato il suo orientamento sulla riforma della PAC – la Politica Agricola Comune. Sono previsti per gli Stati membri maggiori regimi ecologici obbligatori con l’erogazione dei fondi -che arrivano a 400 miliardi - a sostegno degli agricoltori in crisi con condizionalità rafforzata, ma lasciando discrezionalità agli Stati sul mezzo con cui conseguire gli obiettivi ambientali. Il Parlamento Europeo ha approvato la proposta del Consiglio, ma ha chiesto di aumentare la percentuale dei fondi da destinare direttamente in materia di ambiente, un tetto più basso ai premi per le grandi aziende e l’introduzione di una condizionalità sociale per tutelare il diritto al lavoro. Il nuovo regime proposto dovrebbe entrare in vigore dopo il 2020, ma le istituzioni devono negoziare un regolamento di transizione da applicare nel 2021 e nel 2022. In attesa di un accordo definitivo tra Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione, il Parlamento ha approvato il Bilancio 2021-2027, che prevede l’erogazione di più di 300 miliardi in ambito PAC già a partire dalla prossima primavera. La riforma ha suscitato critiche da parte dei movimenti ambientalisti, che ritengono gli interventi sull’ambiente non sufficienti e che la tutela della biodiversità sia stata trascurata.

In Europa l’incubo del terrorismo è ancora vivo

Il 29 ottobre tre persone sono state uccise accoltellate nella cattedrale di Notre Dame di Nizza da un immigrato clandestino proveniente dalla Tunisia, che ha attaccato al grido di “Allah Akbar”. “La Francia è sotto attacco” ha commentato Macron, promettendo di incrementare il supporto militare nell’operazione di sorveglianza antiterrorismo Sentinelle. Soltanto quattro giorni dopo a Vienna sono state uccise quattro persone e ferite altre 22 da una sparatoria, rivendicata successivamente dall’Isis. I due attacchi sono stati commentati con messaggi solidali dai vertici europei, da Ursuala von der Leyen al presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Charles Michel si è espresso per affermare “l’importanza dell’unione tra i paesi europei e dei suoi valori”. Ma cosa prevedono le norme europee per contrastare il terrorismo? Nel 2017 è stato introdotto un sistema di controllo su tutte le persone – cittadini europei inclusi - che entrano nell’area Schengen. Dal 2021 sarà operativo l’Etias: il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, che registra l’entrata dei cittadini non europei e con la facoltà di negare l’accesso alle persone considerate un rischio per la sicurezza interna. L’Unione concede la chiusura straordinaria delle frontiere interna per motivi di sicurezza – com’è accaduto in Germania a seguito dell’attentato a Vienna. Macron ha proposto di riformare il trattato di Schengen per implementare la difesa dei confini esterni, ma quest’idea sarà già discussa nel Consiglio di dicembre sulla politica in materia d’asilo e di migrazione.

La controversia tra Macedonia del Nord e Bulgaria che rischia di bloccare l’adesione ai candidati balcanici

Il 17 novembre durante la videoconferenza tra i ministri degli Affari europei dei paesi membri, la Bulgaria ha votato di bloccare il processo di adesione all’Unione Europea alla Macedonia del Nord. Il movente sarebbe strettamente culturale: la Bulgaria accusa il candidato di aver violato un accordo sulla rivendicazione degli eroi nazionali tra entrambi gli stati, poiché storicamente la regione della Macedonia comprende anche un pezzo di Bulgaria. Inoltre quest’ultima non accetterebbe l’ammissione della lingua macedone tra quelle dell’Unione perché deriverebbe dal bulgaro. Il blocco rischia di trascinare con sé anche la candidatura dell’Albania, strettamente collegata a quella macedone. Resta comunque misteriosa la radicale posizione della Bulgaria e non si esclude che sia motivata da altre ragioni politiche.

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