Non chiamatelo Recovery Fund

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  Federico Quagliarini
  05 May 2021
  3 minutes, 39 seconds


La scorsa settimana il governo Draghi ha rispettato la scadenza ed ha inviato alla Commissione europea il proprio piano di ripresa a seguito della pandemia da Covid-19, conosciuto come Recovery Fund o anche Recovery Plan. Sebbene questo appellativo sia ormai di uso comune nel linguaggio giornalistico italiano, qui vi spieghiamo perché non andrebbe chiamato così.

IL SUO VERO NOME

La Commissione europea difatti non ha mai fatto uso della denominazione "Recovery Fund". Il piano approvato lo scorso dicembre dal Parlamento EU è frutto di un lungo negoziato (per la precisione il secondo più lungo della storia dell’Unione Europea dopo Nizza nel 2000) tra i leader europei che aveva visto contrapporsi i paesi mediterranei affiancati da Francia e Germania e i cinque paesi cosiddetti frugali, capitanati dal primo ministro olandese Mark Rutte. All'esito del negoziato, il nome che è stato attribuito al piano è Next Generation EU.

IL NGE SPIEGATO IN BREVE

Il Next Generation EU è appunto il piano dell’Unione Europea, costituito da 750 miliardi di euro, da destinare agli stati membri per fronteggiare la crisi economica causata dalla pandemia. Bisogna tener presente che la sua novità non consiste tanto nella quantità del finanziamento, quanto nell’utilizzo di nuove risorse proprie da parte dell’Unione, costituite, ad esempio, dalla tassa sulla plastica monouso. I finanziamenti verranno erogati in parte a fondo perduto e in parte a prestito.

Allo stesso tempo sono previsti controlli da parte dell’Unione Europea, tra cui quello della Corte di Giustizia dell’Ue in merito alla conformità ai principi dello stato di diritto. La corte di Lussemburgo avrà il compito di monitorarne il rispetto nell'utilizzo dei fondi e, in mancanza di questo, sanzionare gli stati membri o addirittura sospendere l’applicazione del piano. Su questa possibilità Polonia e Ungheria avevano minacciato di porre il veto lo scorso autunno.

Il fulcro attorno a cui ruota la maggior parte del programma (672,5 miliardi) è il Piano per la Ripresa e la Resilienza, il cui scopo è quello di mettere a disposizione finanziamenti per riforme strutturali che permettano di perseguire quegli stessi obiettivi, tra i quali la transizione ecologica e digitale, che sono menzionati all’interno del NGE. I paesi membri dovranno quindi presentare alla Commissione un piano secondo cui intendono spendere i fondi a loro destinati.

Rispettando la scadenza richiesta, il governo italiano ha presentato alle camere il proprio programma che si suddivide in 6 pilastri, ricalcando in parte i propositi già enunciati dalla Commissione europea. Tra questi spiccano interventi mirati, come ad esempio l’acquisto di materiali e grandi attrezzature da impiegare nelle strutture sanitarie.

Il testo, dopo essere stato presentato dal Governo lo scorso 26 aprile ha ottenuto il via libera della Camera e del Senato ed è stato inviato e successivamente ricevuto dalla Commissione Ue.

PERCHÉ CHIAMARLO DIVERSAMENTE

Come si evince chiaramente dalle finalità il Next Generation EU è qualcosa di più di un semplice fondo per la ripresa. I temi che la Commissione europea affronta sono rivolti più a cercare di dare una forma al mondo di domani, affrontando le sfide che si presenteranno alle future generazioni. Difatti anche la durata del piano non è annuale ma pluriennale (dal 2021 al 2027), segno di una certa lungimiranza. Per questo non è corretto parlare di "Recovery Plan" o "Recovery Fund".

Un’ulteriore differenza, guardando alla denominazione in lingua inglese del Piano di Ripresa e di Resilienza detto appunto "Recovery and Resilience Facility" consiste proprio nell’utilizzo della parola “facility”. Nel programma redatto in lingua inglese non si fa riferimento al termine "fund", proprio per sottolineare l’importanza che queste somme siano spese seguendo una performance che, nel corso degli anni futuri, andrà a dare forma alla società futura.

Per questi motivi si dovrebbe iniziare a chiamare il piano con il suo vero nome, cioè Next Generation EU. Non solo per una questione di stile, ma anche per far capire che questo progetto è indirizzato ai giovani e al mondo che si vuole costruire.

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L'Autore

Federico Quagliarini

Classe 1994, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Milano, Federico Quagliarini è al contempo vice-direttore di Mondo Internazionale POST nonché caporedattore per l'area Società.

Da sempre appassionato di politica e relazioni internazionali, in Mondo Internazionale si occupa principalmente di questioni legali soprattutto inerenti al diritto internazionale.

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