Negoziati sul nucleare iraniano: l'ottavo round potrebbe essere quello giusto

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  Tiziano Sini
  15 February 2022
  4 minutes, 25 seconds

Che lo scacchiere internazionale fosse in fibrillazione nell’ultimo periodo è sicuramente cosa nota, anche se i riflettori attualmente sono puntati sull’Ucraina, dove la potenziale escalation sta di fatto generando un vorticoso aumento di vertici e negoziati internazionali. Ma oltre ai rapporti con la Russia, il 2022 si preannuncia un anno ricco di novità.

Tra tutte, i possibili esiti dei negoziati sul nucleare iraniano, che un po' in sordina e fra mille difficoltà, stanno progredendo.

Dopo una pausa durante le ultime settimane - che ha interrotto il lungo negoziato iniziato il 27 dicembre e finito il 28 gennaio (settimo round ed anche il più lungo) -, l’8 febbraio i colloqui sono ripresi nella città di Vienna (dove si erano tenuti anche i precedenti), con il medesimo formato 5+1 (Cina, Russia, Germania, Gran Bretagna, Francia e Iran)

Nonostante una permanente freddezza fra le parti, sembra che il nuovo round negoziale possa dare un colpo di coda, con la ricomposizione dei rapporti fra Usa ed Iran in seno al JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action)[1], l’importante accordo sulla non proliferazione del nucleare iraniano.

L’accordo stipulato nel 2015 da Iran, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Unione europea, aveva come finalità quella di negoziare una limitazione allo sviluppo del programma nucleare iraniano, in cambio di un allentamento delle sanzioni imposte. L’accordo raggiunto dall’amministrazione Obama, con un ruolo estremamente rilevante giocato dall’Unione europea in sede negoziale, aveva subito una brusca interruzione con l’uscita da parte dell’amministrazione Trump dall’accordo durante il 2018, giustificata con le accuse rivolte al governo iraniano di gravi inadempienze nei confronti degli accordi sottoscritti[2].

Tale scelta aveva alimentato un forte sentimento di rivalsa nel paese mediorientale, dovuta all'acutizzarsi della situazione economica nella nazione, causata anche della predisposizione di pesanti sanzioni, che avevano mortificato perfino i rapporti economici che stavano sorgendo con il vecchio continente[3].

In questo clima di estrema tensione sono ripartiti i negoziati, che hanno subito comunque una serie di stop, anche a seguito dei cambiamenti al vertice di Teheran, con l’avvicendamento fra Rouhani e Raisi[4]nel ruolo di Presidente. La svolta in senso conservatore non ha però evitato la ricomposizione dei rapporti con Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito, mentre non si accetta ancora un dialogo diretto con gli Usa, almeno fino quando le sanzioni non verranno sospese.

Se gli scorsi negoziati si erano interrotti con un nulla di fatto, i nuovi tentativi - se non nel breve periodo - alcuni risultati interessanti li potrebbero comunque portare.

Come hanno indicato alcune fonti russe infatti, all’inizio dei nuovi colloqui viennesi, guidati dal Segretario generale del servizio di Azione estera dell'Ue Enrique Mora, una bozza di intesa da cui ripartire è già stata presentata fin dall’inizio dei lavori[5].

Di fronte a queste premesse potrebbe essere trovata un’intesa, favorita anche dalla esplicita apertura da parte dello stesso Iran nei confronti di un reintegro degli accordi JCPOA, sostenuti anche a causa di una situazione interna estremamente critica.

Gli ultimi mesi nel Paese sono coincisi con la peggiore crisi registrata a partire dagli anni ’50; l'Iran è stato martoriato da un'inflazione galoppante, che dopo aver raggiunto e superato il 40%, sembra essersi ridotta leggermente nei primi mesi del 2022, rimanendo comunque alta (35%). A ciò si sono aggiunti l’impatto del Covid-19, problemi di siccità e black-out, che hanno stremato la popolazione[6].

Di fronte a questo scenario, nonostante i numerosi proclama dello stesso Raisi, sceso alla ribalta e sospinto da un malcontento dilagante soprattutto nei confronti dell’occidente, non è affatto impossibile che venga trovata una comune posizione conciliante, che sia in grado di accontentare gli attori in gioco.

Una cosa è certa: i negoziati probabilmente proseguiranno, con gli Usa più che propensi a chiudere una vicenda che potrebbe diventare più complessa nel tempo, tenendo in considerazione la questione Russia, ma soprattutto cinese all’orizzonte.

Anche Russia e Cina, nonostante la frapposizione contingente nei confronti degli Usa, non hanno nessuna intenzione di vedere un nuovo soggetto con capacità atomica nell’area medio-orientale, con tutte le problematiche che ciò potrebbe generare in un segmento estremamente fragile.

Dall’altro lato vi sono le posizioni interne che i paesi assumeranno: l’Iran nelle sue alte sfere, nonostante l’irremovibile posizione ed il dogmatismo assunto negli ultimi mesi espresso nella sua propaganda, è conscio della necessità di risolvere la situazione, così come gran parte dell’opinione pubblica. Le prossime settimane forniranno un quadro interessante in materia, considerando anche che questo mese ricorre l’anniversario della rivoluzione khomeinista, e lo stesso Khameini probabilmente prenderà la parola in merito, e sarà importante analizzare con che toni lo farà.

Una situazione con riflessi speculari anche negli Stati Uniti, dove alcuni senatori repubblicani hanno ribadito che l’ultima parola spetta al Senato, che attraverso l’Iran Nuclear Agreement Review Act del 2015, noto come INARA, giocherà un ruolo chiave in positivo o altrimenti di disturbo nei confronti dell’amministrazione Biden[7].

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Tiziano Sini

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