Lo sfruttamento lavorativo delle donne migranti in Italia

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  Redazione
  28 January 2021
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Per grave sfruttamento lavorativo si intende una situazione lavorativa che si discosta in modo significativo dalle condizioni di lavoro legali, a partire da forme minime di coercizione fino a quelle più gravi come la schiavitù, il lavoro forzato e la tratta. La correlazione tra violenza di genere, migrazione e sfruttamento lavorativo delle donne è ampiamente riportato dalle agenzie che lavorano con le vittima di tratta.

Sebbene meno visibili degli uomini, le donne hanno sempre avuto un ruolo attivo e centrale nei processi migratori, in particolare nel contesto italiano. A livello internazionale, le donne rappresentano il 48% dei flussi migratori globali. Nel 2019, in Italia le donne rappresentavano il 51,7% della popolazione straniera residente e provenivano principalmente dalla Romania (693.649), dal Marocco (197.675) e dalla Cina (149.034), ma anche dalle Filippine (95.346), Polonia (69.560) e India (65.561).

Una volta in Italia, le donne migranti si trovano di fronte a diversi ostacoli legati al loro genere di appartenenza. Esse sono soggette a triplice discriminazione: in base alla loro provenienza (alcune nazionalità sono preferite ad altre), al loro genere e alla loro classe sociale. Devono affrontare contemporaneamente le problematicità dell’essere donne, lavoratrici e migranti e per questi motivi sono fortemente esposte alla possibilità di subire abusi e violenze sia durante il percorso migratorio che una volta arrivate nel Paese di destinazione.

In Italia, le migranti tendono ad avere professioni generalmente considerate “femminili”. Le società riceventi chiedono alle donne migranti di esercitare professioni che riflettano l'identità femminile "tradizionale". Il genere agisce, dunque, come un principio organizzatore della migrazione internazionale, spesso portando le donne nei paesi più poveri ad essere impiegate in un tipo di lavoro (domestico, di cura e sessuale) che molte donne nei paesi più ricchi non vogliono o non possono più fare. L'emancipazione delle donne nei paesi occidentali ha spesso, come controparte, la subordinazione lavorativa e sociale delle donne migranti che prendono il loro posto.

Il 43,2% delle donne straniere in Italia è impiegato in lavori domestici o di cura, spesso con contratti irregolari o applicazione parziale delle norme contrattuali. A volte, si può instaurare una forma di mecenatismo per cui il datore di lavoro si occupa di tutte le necessità della lavoratrice, il che espone la donna a molti rischi di abuso. Un altro settore lavorativo in cui le donne immigrate trovano fonte di reddito è il mercato della prostituzione, a volte offrendo liberamente i propri servizi sessuali, altre sotto gravi condizioni di sfruttamento. Infine, anche il settore agricolo è fonte di occupazione per un numero considerevole di donne (26,9%), anche se la percentuale maschile rimane più elevata. Le donne migranti che lavorano in tale settore sono fortemente esposte a violenze psicologiche e sessuali, oltre che a sfruttamento lavorativo. Si tratta perlopiù di lavori per lo più poco qualificati e con poche possibilità di crescita professionale. Inoltre, tali impieghi spesso comportano un carico estremamente pesante di fatica per più di dieci ore al giorno, con salari molto bassi e nessuna protezione contrattuale. Oltre a queste pratiche di sfruttamento, le donne sono spesso esposte ad altre forme di violenza.

Inoltre, il danno stesso inflitto alle vittime ha una specificità di genere. La violenza di genere è considerata una delle cause profonde della vulnerabilità delle donne migranti. Per vulnerabilità si intende una situazione in cui la persona non abbia un'alternativa reale e accettabile al sottomettersi all'abuso. Sia le donne europee che quelle extracomunitarie possono essere esposte ad abusi a partire dalla loro condizione di vulnerabilità. La violenza di genere, la tratta e lo sfruttamento lavorativo sono tre fenomeni correlati e intrecciati fra loro. Tra il 2015 e il 2016, le donne sono state il 95% delle vittime di tratta sessuale e il 20% delle vittime di sfruttamento lavorativo in generale. La situazione di isolamento e dipendenza dai datori di lavoro in cui si trovano molte lavoratrici migranti, è un altro elemento che ne aggrava la vulnerabilità.

La situazione delle lavoratrici migranti è molto delicata perché spesso hanno figli a carico e sentono di non poter lasciare il lavoro poiché responsabili non solo della propria vita, ma anche di quella dei loro bambini. Queste sono le situazioni di precarietà che rendono in particolare le donne migranti più vulnerabili e più disposti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro, compresi gli abusi e lo sfruttamento. Tutti questi fattori strutturali e situazionali, unitamente al rigido legame tra il possesso di un permesso di soggiorno e di un contratto di lavoro, creano una condizione di "iper-precarietà" nel contesto lavorativo, che le espone allo sfruttamento, alla tratta e al lavoro forzato.

Diventa più difficile, in assenza di valide alternative lavorative, decidere di denunciare questo tipo di violenza. Pertanto, le situazioni di sfruttamento rimangono invisibili. Anzi, le violenze e lo sfruttamento possono essere considerate sia una causa che una conseguenza dell'invisibilità di queste persone. Si tratta di una sorta di circolo vizioso che si autoperpetua e si rivela molto difficile da individuare, intercettare e interrompere. L’elevata domanda di lavoro proveniente da un gran numero di donne migranti che accetta pessime condizioni di lavoro rende molto semplice per i datori trovare qualcuno disposto ad essere sfruttato. Le donne vittime di grave sfruttamento lavorativo permangono in un contesto segnato dall’isolamento, dalla segregazione e dalla forte dipendenza dal proprio datore di lavoro. È esattamente tale situazione fragile e vulnerabile in cui vivono e lavorano che rende difficile per loro denunciare.

Lo sfruttamento delle donne migranti non è un fenomeno marginale. Davanti ad un fenomeno così complesso, è difficile pensare ad una soluzione semplice per contrastarlo. In primo luogo, vi è la necessità urgente di applicare in modo esaustivo le norme internazionali, europee e nazionali già in vigore che proteggono i diritti dei lavoratori. Inoltre, sono necessarie leggi specifiche che proteggano le donne lavoratrici migranti e i loro bisogni. Terzo, al fine di prevenire e combattere il grave sfruttamento lavorativo, è necessario implementare misure combinate basate su un approccio integrato e comprensivo dal punto di vista del genere e dei diritti umani, con obiettivi di lungo medio e breve periodo. Se la legge non adotta una prospettiva di genere non può essere in grado di identificare le peculiarità dello sfruttamento delle lavoratrici migranti, ma ne consoliderà invece ulteriormente l’invisibilità.

Fonti:

Ambrosini, M. (2011) Sociologia delle Migrazioni, Bologna: il Mulino.

Crippa, E. (2020) ‘On the severe labour exploitation of migrant women in Italy: a human rights and multi-level policy perspective’, Peace Human Rights Governance, 4(3), 311-347.

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a cura di Chiara Landolfo 

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