L’integrazione degli indigeni in Cile: il caso dei mapuche

  Articoli (Articles)
  Redazione
  24 February 2021
  4 minutes, 31 seconds

Durante le proteste che hanno preceduto l’approvazione del referendum costituzionale in Cile a ottobre 2020, tra i manifestanti era presente anche parte della popolazione indigena. In particolare, i mapuche, che oggi occupano il Cile meridionale e parte del sud dell’Argentina, mostravano la loro bandiera per rivendicare il diritto al riconoscimento politico. Infatti, sia i mapuche che gli altri gruppi indigeni presenti in Cile non sono riconosciuti dall’attuale Costituzione, ereditata dal regime di Pinochet.

Nel 1989, sulla base di un documento già esistente dell’International Labour Organisation (ILO) è stata costituita la Convenzione 169 sui popoli indigeni e tribali. Tale Convenzione ha sancito il diritto di autodeterminazione delle popolazioni indigene all’interno degli Stati, e ha inoltre stabilito standard nazionali in termini di diritti economici, socio-culturali e politici. Anche il governo cileno ha ratificato la convenzione. Tuttavia, la Convenzione ILO 169, essendo frutto di un compromesso tra popolazioni indigene, business e governi, non prevede una reale protezione delle prime e, solitamente, permette ai secondi di prevalere quando si tratta di prendere decisioni.

Un primo tentativo di legittimazione da parte dello Stato cileno si realizzò nel 1993, quando il Congresso approvò la legge n. 19.253, detta Ley Indígena, che riconosceva ufficialmente la popolazione aymara, atacameña, colla, quechua, rapa nui, mapuche, yámana, qawasqar, diaguita e chango. La legge in questione contribuì alla creazione della CONADI, ovvero Corporación Nacional de Desarrollo Indígena. Dal momento della sua nascita, la CONADI ha permesso alle popolazioni indigene, soprattutto ai mapuche, di riappropriarsi di parte delle terre perdute nel Cile meridionale. In realtà, il processo di progressiva restituzione delle terre si scontra con gli interessi delle industrie e dei proprietari terrieri. In più, la legge cilena non prevede la protezione delle risorse naturali che si trovano nel territorio indigeno, e neanche il previo consenso delle popolazioni locali in caso di sfruttamento delle stesse.

Tra i gruppi indigeni cileni, quello più esteso è rappresentato dai mapuche. I mapuche sono tra i gruppi indigeni più combattivi dell’America Latina e, in virtù di questa caratteristica, sono riusciti a resistere alla colonizzazione spagnola e al regime di Pinochet. Sono depositari di tradizioni antichissime e lottano sia per preservare queste ultime che per riacquisire i territori che sono stati loro sottratti dagli spagnoli e dalla dittatura. Ad oggi, sono in una situazione conflittuale con lo Stato, con i grandi proprietari terrieri e con le multinazionali che acquisiscono aree sempre più estese con la pratica del land grabbing. Purtroppo, con il passare del tempo, il conflitto si è militarizzato. In particolare, c’è una presenza più costante dell’esercito nelle zone in cui sono presenti i mapuche. Il governo cileno, dal canto suo, utilizza una strategia di counterinsurgency mirata a contrastare la narrativa degli indigeni soprattutto per mezzo delle testate giornalistiche nazionali. La conseguenza di ciò si traduce nel progressivo isolamento dei mapuche dal punto di vista sociale. Il 2020 è stato costellato di scontri tra le forze dell’ordine e gli indigeni e si sono registrate diverse vittime.

Con l’approvazione del referendum costituzionale, i mapuche vorrebbero ottenere il riconoscimento che finora è stato loro negato. In realtà, non tutti i mapuche interpretano la redazione della nuova Costituzione in senso positivo. Alcuni, infatti, sono scettici verso la politica e non credono che si possa realizzare un’effettiva integrazione. Secondo questi ultimi, l’istituzionalizzazione della popolazione mapuche avrebbe come secondo fine quello di indurla ad abbandonare la lotta per ottenere l’autonomia. Per altri, invece, il momento è decisivo perché i mapuche potrebbero avere la possibilità di prendere parte al processo costituente.

Gli indigeni cileni avevano chiesto che i seggi dell’Assemblea Costituente fossero distribuiti su base proporzionale, richiedendone 25 in più rispetto ai 155 previsti. Inoltre, era stato chiesto al governo di poter basare i registri elettorali sul criterio di auto-identificazione per dimostrare la propria appartenenza a un gruppo indigeno. Il progetto di legge era stato approvato dalla Camera bassa ma non ha superato il Senato che si è opposto. Infine, il 15 dicembre sia il Senato che la Camera bassa hanno accettato di riservare agli indigeni 17 seggi già inclusi tra i 155 previsti. Di questi 17 seggi ai mapuche ne spettano 7, mentre agli altri gruppi indigeni - riconosciuti dalla ILO 169 - andrà il resto.

L’obiettivo più ambizioso del popolo mapuche è certamente rappresentato dalla volontà di ottenere l’autodeterminazione. Se da un lato lo Stato afferma che in Cile esistono solo cileni, dall’altro i mapuche continuano a lottare, nonostante questo abbia spesso conseguenze gravi.

Manca ormai poco tempo alle elezioni dell'Assemblea costituente. Si potrebbe affermare che per alcuni probabilmente la nuova Costituzione da sola non basterà a eliminare le disuguaglianze presenti nel Paese e non sarà sufficiente a realizzare una piena integrazione della popolazione indigena nella società, nella politica e nell’economia cilena. Per altri, d'altro canto, la nuova Carta potrebbe rappresentare un primo grande passo verso il cambiamento.

In foto: Mano del deserto, deserto di Atacama, Cile

Foto di Roi Dimor da Unsplash

Fonti consultate per il presente articolo:

Share the post

L'Autore

Redazione

Categories

Tag

Cile