L'eutanasia

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  Fabio Di Gioia
  13 July 2021
  4 minutes, 10 seconds

L’eutanasia è definita in Italia come “azione od omissione che, per sua natura e nelle intenzioni di chi agisce (eutanasia attiva) o si astiene dall’agire (eutanasia passiva), procura anticipatamente la morte di un malato allo scopo di alleviarne le sofferenze. In particolare, l’eutanasia va definita come l’uccisione di un soggetto consenziente, in grado di esprimere la volontà di morire, o nella forma del suicidio assistito (con l’aiuto del medico al quale si rivolge per la prescrizione di farmaci letali per l’autosomministrazione) o nella forma dell’eutanasia volontaria in senso stretto, con la richiesta al medico di essere soppresso nel presente o nel futuro.”

La stessa differisce da quella serie di situazioni che vedono invece la sedazione terminale, ovvero l’attuazione di varie misure atte ad alleviare il dolore della persona nel periodo finale della vita. Quest’ultimo aspetto vede ad esempio anche la liceità a non attuare interventi o avviare terapie che avrebbero il solo scopo di ritardare il momento della morte, atti che rientrano nel concetto definito come “accanimento terapeutico”. Questa distinzione iniziale vuole chiarire un punto che spesso, se non inquadrato, porta al mischiarsi dei concetti di etica, morale, diritto vigente e ratio delle proposte che vengono avanzate dalle associazioni pro o contro la legalizzazione dell’eutanasia durante le attività di lobbying parlamentare.

Particolarmente rilevante in una fase di ricostruzione di una fattispecie per l’attuale prassi italiana è inoltre stabilire se l’ipotetica morte di un soggetto sia - ad esempio - da imputarsi alla malattia che fa il suo decorso o all’interruzione delle cure che permettono di tenere in vita. È una differenza sottile ma sostanziale in quanto la seconda ipotesi implica una responsabilità terza - che sia della medicina, del medico, dei familiari o del paziente stesso - tramite biotestamento, che deve essere scagionata da obblighi morali e legali.

Sul piano giuridico in Italia, le casistiche dei fatti di cronaca inerenti casi di eutanasia (nelle varie forme e modalità) vengono ricondotte a diversi articoli. L' articolo 2 della Costituzione sancisce in questo senso l’inviolabilità dei diritti umani, l'articolo 32 - sempre a rango costituzionale - cita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” L'articolo 5 del Codice Civile inoltre recita, suggerendo un primo divieto all’atto del suicidio: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume” e la Legge n. 219 del 22 dicembre 2017 descrive le norme in materia di consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento - ovvero gli aspetti relativi al biotestamento e al rapporto medico-paziente - riguardanti, ad esempio, l’inizio o meno di una terapia. Infine, l’articolo 580 del Codice Penale configura il reato di istigazione al suicidio.

Il tema legato al darsi la morte viene spesso avanzato a livello etico per promuovere processi di legalizzazione dell’eutanasia proprio intesi come diritto al suicidio: a livello morale infatti la scelta viene ricollegata al diritto umano alla vita, inteso come libertà di disporne nella sua totalità - compresa la volontà di potervi porre fine - aspetto che viene avanzato come diritto “violato” o “non più tutelato/disponibile” per coloro i quali dovessero ricadere in condizioni estreme di inabilità, limitati nel non poter più decidere di terminare la propria esistenza, cosa che intrinsecamente potrebbe invece fare qualsiasi essere vivente. L’eutanasia in questi termini si rivolge e trova totale conferma nella prassi di tutte quelle persone che si ritrovano, in stati di coscienza o incoscienza, a sopravvivere o vivere alle totali dipendenze di soggetti e fattori esterni.

Sotto questo aspetto il tema della disponibilità della vita nella bioetica si divide essenzialmente in due “prospettive”, chi ritiene sia non disponibile salvo alcune eccezioni (ad esempio pena di morte e contesti di guerra), generalmente indicando visioni sacrali della vita derivanti da background di fede religiosa, e chi ritiene sia invece disponibile e non punta il focus sulla vita biologica quanto sulla qualità della vita stessa: “vita umana può significare cose differenti: può significare l’esistenza di processi vitali e di funzionamento metabolico senza stati di coscienza, e può significare la vita di un soggetto che ha esperienze, cioè di un essere umano consapevole o autoconsapevole.” Il dibattito intorno a quest'ultima visione ruota intorno al come inquadrare la “qualità” della vita perché questo implica idee, gusti soggettivi e valori di chi si arroga l’onere della valutazione.

Le fonti impiegate per la redazione del presente post sono liberamente consultabili:

https://www.treccani.it/enciclopedia/eutanasia/

https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-i/art580.html

https://www.altalex.com/guide/suicidio-assistito

S.F.Magni, Bioetica, Carrocci editore, 2011

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L'Autore

Fabio Di Gioia

Dottore in Scienze internazionali ed istituzioni europee, attualmente si sta specializzando nel corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali. È stato Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Referente di Segreteria e co-ideatore del progetto TrattaMI Bene. È ora Caporedattore e autore per la sezione Diritti Umani.

Bachelors degree in International Sciences and European Institutions, currently majoring in International Relations. He has served as Chairman of the Board of Auditors, Secretariat Liaison, and co-creator of the TrattaMI Bene project. He is now Editor-in-Chief and author for the Human Rights section.

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