Le morti sul lavoro in Italia: tra mancanza di tutele e economia sommersa

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  Redazione
  25 May 2021
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Continua in maniera drammaticamente stabile una tendenza che caratterizza il mondo del lavoro nel nostro Paese. Negli ultimi tempi si è tornato a parlare delle cosiddette “morti bianche” (o “morti verdi”, quando si tratta di contesti agricoli) a seguito di casi emblematici quali quello di Luana D’Orazio, ventiduenne schiacciata da un macchinario alla quale lavorava, in un’azienda tessile del pratese. A quanto risulta dalle prime indagini, l’orditoio che ha ucciso la giovane mancava di alcune parti necessarie a garantire la sicurezza di chi vi operava, in favore di una maggiore velocità produttiva. Non solo, pare che la giovane avesse un contratto da apprendista, il quale non permette di lavorare in prossimità di macchinari simili. Negli ultimi anni, il dibattito in materia è stato monopolizzato dal funesto diffondersi di malattie respiratorie o tumorali a Taranto, nei quartieri in prossimità dell’ex Ilva. Le morti sul lavoro sono una piaga italiana che non accenna ad arrestarsi.

Va anzitutto considerata la presenza ingombrante del lavoro sommerso. L’occupazione in nero non comporta solo mancati introiti fiscali per lo Stato, ma anche una forte mancanza di tutele per i lavoratori. Secondo l’ultimo censimento triennale dell’Istat, risulta che “nel 2018 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata […] si è attestato a poco più di 211 miliardi di euro. Tale ammontare sarebbe equivalso a circa l’11,9% del PIL.

La pandemia da Coronavirus ha ancora di più inasprito le disuguaglianze sociali, soprattutto per quanto concerne chi può godere di tutele e sicurezza sul posto di lavoro e chi no. Il cinquantaquattresimo Rapporto Censis, pubblicato a fine 2020, tratta le varie tipologie di persone senza un’occupazione che possa assicurare loro una garanzia, sia dal punto di vista economico che di sicurezza. Si parla dei cosiddetti “scomparsi”, lavori e servizi in nero a cui prendono parte circa 5 milioni di persone. Data la loro assenza dai radar statali, è agghiacciante pensare come statistiche affidabili sul numero di infortuni (letali o meno) siano difficili da stabilire. La legge tende a proteggere coloro che incontrano tali problematiche al lavoro, anche se sommerso, in quanto il mancato versamento contributivo del datore di lavoro non può ricadere sul singolo dipendente. È tuttavia complicato aspettarsi denunce da parte di lavoratori che spesso dipendono interamente dalla somma retribuita dai loro datori di lavoro, seppure in ambienti di illegalità.

Oltretutto, molti di questi lavori non legalmente denunciati combaciano pericolosamente con circostanze di criminalità organizzata, per cui è anche molto alto il timore di ripercussioni. L’esempio più calzante di questo sono le tremende condizioni in cui riversano molti lavoratori agricoli migranti in varie zone d’Italia. Sono fin troppo frequenti le notizie di baraccopoli in preda a incendi o attacchi da parte di criminali sfruttatori. A livello sanitario, questi contesti risultano inevitabilmente essere delle sacche inesauribili di circoli viziosi, che uniscono l’illegalità ai buchi legislativi riguardanti le leggi sulla cittadinanza e le tutele per i lavoratori migranti. Le conseguenze più evidenti risultano essere l’impossibilità di rinnovare la tessera sanitaria, l’impossibilità di assegnazione del medico di famiglia per persone soggette a frequente mobilità e il mancato orientamento e supporto all’iscrizione al SSN da parte dei centri di accoglienza.

L’Ispettorato nazionale del lavoro conta 1.500 ispettori che devono svolgere anche compiti amministrativi. In quanto i dipendenti complessivi soffrono una penuria di circa duemila unità. All’Inail, di ispettori ne sono rimasti solo 246. Nel rapporto stilato per l’anno 2020, l’istituto ha effettuato controlli nei confronti di quasi 80.000 aziende in materia lavoristica, di legislazione sociale, di salute e sicurezza sul lavoro; in materia previdenziale e in materia assicurativa. Il settanta per cento in media di esse, nei vari ambiti, è risultato irregolare, con un totale di circa 267.677 lavoratori irregolari, di cui 22.366 totalmente in nero.

Nel terzo rapporto ANMIL (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi del Lavoro) in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha mostrato che, specialmente a livello nazionale, la situazione continua a essere critica. Appare evidente, anzitutto, una necessità di semplificazione e completamento della disciplina prevenzionistica del Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro. Spesso, inoltre, le norme esistenti non vengono applicate, con conseguente decadimento delle tutele per i lavoratori. Il rapporto ANMIL evidenzia quindi l’importanza dell’aspetto culturale della faccenda, connessa all’incremento del fenomeno della globalizzazione. Essa rischia di porre i lavoratori in nuove condizioni di rischi, per via della forte flessibilità e crescente digitalizzazione, quali l’eccessiva instabilità occupazionale ed economica e un logorante carico lavorativo. Vi è inoltre un’insufficiente coerenza giuridica in ambito contrattuale. Difficilmente, di fatti, la flessibilità organizzativa del lavoro comporta un incremento del benessere dei lavoratori, che garantisce un maggior equilibrio dei tempi di lavoro con quelli di riposo, laddove tutele e protezioni vengono sacrificate.

Non tutti gli incidenti sul lavoro risultano essere mortali. Le denunce per infortunio nel 2021 sono calate di circa due punti percentuali. Tuttavia, va ricordato come in queste statistiche rientrino anche gli incidenti avvenuti sui mezzi di trasporto e nel tragitto per arrivare al luogo di lavoro. Questi casi, per via della pandemia e dello smartworking, sono chiaramente crollati. In netto aumento, invece, gli esposti per infortuni sul posto di lavoro. “Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto nei primi tre mesi dell’anno sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020 (+11,4%), effetto degli incrementi osservati in tutti i mesi del 2021 rispetto a quelli del 2020. L’Inail ha quindi registrato oltre due morti al giorno sul lavoro nei primi tre mesi dell’anno.”

Fonti consultate per il presente articolo:

Casadei Cristina, Nel 2021 oltre due decessi sul lavoro al giorno. Da inizio pandemia, un terzo delle morti bianche dovute al Covid, Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2021.

Censis, 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2020, 4 dicembre 2020.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, 2020.

Istat, Economia non Osservata nei Conti Nazionali, https://www.istat.it/it/archiv... Senza Frontiere, “Una Stagione all’Inferno: Rapporto sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud”, 12 aprile 2016.

Terzo Rapporto Anmil sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, focus sull'emergenza Covid-19, settembre 2020.

Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, D.P.R. n. 1124, 30 giugno 1965.

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a cura di Edoardo Cappelli 

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