La vicenda delle Comfort Women

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  Alice Stillone
  13 March 2021
  4 minutes, 16 seconds

Quando si parla di crimini internazionali commessi durante la Seconda Guerra Mondiale inevitabilmente si fa riferimento ad una macchia indelebile della storia europea: l’Olocausto. Tuttavia, la violenza nazista che ha avuto espressione nei campi di sterminio, non è la sola svolta tragica che ha assunto il secondo conflitto mondiale. Abbandonando l’ottica eurocentrica e adottandone una globale, è interessante studiare come si è sviluppato il conflitto mondiale in Asia, analizzando il ruolo chiave dell’Impero Giapponese. Questo, a seguito dell’era di "modernizzazione Meji" a partire dal 1868, ha subito una rapida crescita economico-sociale che l'ha portato ad assumere un ruolo leader in Asia, superando la Cina, e a raggiungere tassi di sviluppo economico ed industriale comparabili a quelli dei Paesi europei. Tale spinta propulsiva verso l’espansionismo economico e geografico, ha portato il Giappone ad entrare nel secondo conflitto mondiale a fianco della Germania Nazista e dell’Italia Fascista. L’Impero Giapponese, che già dagli anni ’30 aveva avviato una propria politica espansionistica verso la Cina e verso altri territori dell’Asia Orientale come la Birmania (attuale Myanmar), si macchia di gravi violazioni dei diritti umani (seppur il Giappone sia passato alla storia come un Paese “vittima” della Seconda Guerra Mondiale a causa dei bombardamenti atomici subiti a Hiroshima e Nagasaki e avvenuti rispettivamente il 6 ed il 9 agosto 1945).

Le Comfort Women furono quindi donne del sud est asiatico sottoposte a sfruttamento sessuale da parte dell’esercito giapponese durante le campagne di conquista coloniale dello Stato nipponico in Asia orientale. Queste donne provenivano principalmente da Cina e Corea ed in misura minore da Filippine, Tailandia, Vietnam, Malesia, Indonesia, Birmania, India e varie Isole del Pacifico. In alcune zone, le ragazze che dovevano essere reclutate venivano ingannate: si prometteva loro di svolgere mansioni infermieristiche per i soldati giapponesi e, dopo che le ragazze accettavano, le si spediva nei "centri di comfort". Ben presto, specie in Corea, si adottò un’altra tipologia di reclutamento, nota come "mediazione ufficiale", tramite la quale i soldati maggiori giapponesi si accordavano con le autorità locali di reclutare delle ragazze destinate ai centri di comfort. In cambio, i soldati giapponesi promettevano alle autorità locali di astenersi dal compiere stupri di massa e saccheggi a civili.

I luoghi teatro di queste atrocità furono, come già accennato sopra, i cosiddetti “centri di comfort”, situati in varie zone dell’Asia orientale, in cui le donne vivevano in condizioni igienico-sanitarie del tutto precarie ed erano costrette a ricevere i soldati giapponesi senza ordine di continuità.

La prima prova ufficiale dell’esistenza dei "centri di comfort" risale al 1932 durante la guerra tra Giappone e Cina. Tale prova consisteva in una lettera inviata dal luogotenente della Marina giapponese ai suoi superiori, in cui egli chiedeva di poter avviare un centro di prostituzione ad esclusivo appannaggio dei militari giapponesi durante la spedizione giapponese a Shanghai. Sfortunatamente, però, questo tragico ripiego assunto dal colonialismo nipponico non si esaurì durante quella campagna ma proseguì per il corso di tutta la Seconda Guerra Mondiale.

I particolari più agghiaccianti, rinvenutici grazie alle testimonianze delle donne sopravvissute, riguardano l’organizzazione scientifica e la scansione minuziosa della loro attività. Una superstite testimonia che nel campo di Myitkyina in Myanmar le ragazze erano costrette a prostituirsi per tutto il giorno e la loro attività era così scandita:

-i soldati semplici potevano essere ricevuti dalle 10.00 alle 17.00 al costo di 1,5 Yen per una durata di 20/30 minuti;

-gli addetti non militari dalle 17.00 alle 21.00 al costo di 3 Yen per una durata di 30/40 minuti;

-gli ufficiali dalle 21.00 alle 00.00 al costo di 5 Yen per una durata di 30/40 minuti.

La ratio per la quale è stato messo in piedi un simile sistema di prostituzione, può essere rintracciata nell’ottica espansionistica del Giappone. Questi ultimo infatti, fu il primo Paese non occidentale a diventare una vera e propria potenza coloniale con l’obiettivo di colonizzare territori del suo Continente. Il motivo per cui queste donne fossero diventate mere risorse ad appannaggio dell’esercito e della marina giapponese, probabilmente è da attribuire all’essenza stessa del colonialismo. Un Paese colonizzatore infatti, assume un’ottica di superiorità nei confronti del popolo colonizzato che lo porta, ingiustificatamente, a ritenere di poter disporre liberamente delle risorse che la colonia offre e, ancor più illegittimamente, anche dei civili, violandone i diritti umani fondamentali.

Questa pagina della storia dell’umanità è davvero drammatica e poco conosciuta rispetto alla gravità della violazione dei diritti umani. A più di 80 anni di distanza, il governo giapponese non si è ancora ufficialmente assunto la responsabilità di quanto accaduto, rischiando così di legittimare un terribile precedente storico che concepisce la donna alla stregua di una risorsa di cui l’uomo può liberamente servirsi.

Fonti consultate per il presente articolo:

-Japan’s Comfort Women. Sexual slavery and prostitution during World War II and the US occupation; Yuki Tanaka.

-Comfort Women. La schiavitù sessuale nel sud-est asiatico durante la Seconda guerra mondiale e la memoria femminile; Maria Amelia Odetti.

-Comfort Women. Storia e propaganda nella documentazione fotografica; Maria Amelia Odetti.

- https://unsplash.com/photos/_0oCrcsVShU – immagine.

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Alice Stillone

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