La via di Ankara e di Erdogan: tra nuovi rischi ed opportunità

  Articoli (Articles)
  Michele Magistretti
  30 September 2021
  4 minutes, 32 seconds

La Turchia e il suo presidente si apprestano ad affrontare un periodo tormentato, tra l’aumento delle tensioni in vari contesti regionali in cui è coinvolta e le difficoltà interne con le quali l’attuale leadership deve fare i conti. La potenza anatolica persegue il proprio cammino di egemonia regionale ma permangono alcuni ostacoli e difficoltà e il presidente turco risulta molto indebolito sul piano interno.

Vediamo quindi i contesti regionali in cui la Turchia è chiamata a rispondere alle nuove sfide che le si pongono di fronte dovendo ponderare le proprie ambizioni con le molteplici incognite che le si pongono davanti.

Dal continente africano all’Asia centrale: un mosaico di opportunità e rischi

L’attuale leadership turca non ha sicuramente accolto di buon grado due avvenimenti che si sono susseguiti a breve distanza nel Maghreb tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Le elezioni marocchine hanno decretato la sconfitta del partito islamista al potere e sancito la vittoria delle forze conservatrici e liberali vicine alla casa reale. Ad inizio settembre, il presidente tunisino, Kais Saied, ha portato a compimento un golpe “costituzionale”, sospendendo i lavori del parlamento sine die. Questa mossa del presidente è stata indirizzata in particolare ad indebolire il partito islamista Ennahda, alleato politico del presidente turco.

Nel mentre, è tornata a salire la tensione in Libia e nel Sahel. In Libia tornano a riproporsi le divisioni tra Cirenaica e Tripolitania, e all’interno delle stesse. Sia Ankara sia Mosca non hanno ancora smobilitato le proprie forze mercenarie in vista delle elezioni di dicembre. Lungo la fascia saheliana aumentano invece le tensioni tra Francia e Russia, rivalità che si riverbera però anche in Libia, dove stazionano diverse forze para-militari sia ciadiane sia sudanesi.

Aumentano le tensioni anche nell’enclave di Idlib, nel nord-ovest della Siria. L’11 settembre sono stati uccisi e feriti alcuni militari turchi nel de facto protettorato turco in cui dominano varie sigle jihadiste e sono stazionati molti rifugiati. Nel mentre, Mosca ha ripreso i bombardamenti su diverse postazioni delle varie milizie jihadiste avversarie del regime di Damasco. Il nodo di Idlib rimane ancora fonte di discordia tra Mosca e Ankara, la prima spinge per la completa smobilitazione delle truppe turche e americane e per una riunificazione completa della Siria sotto il regime di Assad, mentre Ankara vuole mantenere un avamposto per contenere i curdi siriani ed evitare di subire una nuova ondata di profughi verso i propri confini.

Anche i rapporti con l’alleato americano rimangono freddi. Inoltre, dopo che il presidente turco ha annunciato di voler acquistare un ulteriore lotto del sistema di difesa missilistico russo S-400, da Washington sono giunte immediatamente dichiarazioni di contrarietà e la minaccia di ulteriori sanzioni.

Nonostante le difficoltà dettate dalla crisi economica, Ankara continua a lavorare per approfondire la propria penetrazione economica e influenza politica ai cancelli della Russia. Da tempo il presidente turco porta avanti una politica di avvicinamento con le repubbliche centro-asiatiche e recentemente è stata annunciata l’apertura di una fabbrica di droni militari turchi in Ucraina. Negli ultimi anni la Turchia ha sviluppato una propria industria degli armamenti e iniziato a tessere rapporti industriali e politici tramite la vendita di prodotti nel settore della difesa.

Continua anche la corsa all’Africa, dove, tramite ONG, ambasciate e consorzi industriali, la potenza anatolica prova a inserirsi nel gioco di scacchi delle potenze già presenti, Cina e Francia in primis. Nel continente africano, il presidente turco mira ad imprimere l’impronta del proprio paese tramite un discorso di carattere panislamico e una retorica anti-imperialista, presentando il proprio paese come diverso rispetto alle nazioni occidentali.

Un ulteriore fronte politico in leggero miglioramento è rappresentato dalla graduale ripresa dei rapporti tra Ankara e alcune monarchie del golfo, Arabia Saudita in particolare. Questo nuovo scenario, per quanto incerto e fragile, potrebbe portare una nuova concordia tra gli attori della regione ed evitare ulteriori escalation.

La crisi interna: le sfide del “Sultano”

La Turchia sta patendo una grave crisi economica e in particolare soffre il continuo crollo della lira, che ha raggiunto un nuovo record negativo dopo che la Banca centrale del paese ha tagliato i tassi di interesse. La crisi economica e la ormai eccessivamente erratica politica estera del presidente hanno ridato nuova linfa alle opposizioni. Il partito del presidente, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, cala nei sondaggi da alcuni mesi, mentre guadagnano terreno le opposizioni kemaliste. Sono diversi i sondaggi che danno il presidente in carica perdente al ballottaggio per le presidenziali del 2023, sia contro le figure di spicco del CHP, il partito kemalista di centro-sinistra, sia contro il leader di IYI, partito nazionalista moderato. Le opposizioni sono abbastanza galvanizzate dall’attuale contesto a loro favorevole, tanto da portare il leader di IYI, Meral Akşener, ad annunciare che non si candiderà nella corsa per le presidenziali ma desidera piuttosto diventare primo ministro, con l’obbiettivo di ridare preminenza al parlamento e smantellare il presidenzialismo instaurato da Erdogan. Il panorama politico tra le forze di opposizione è così in fermento che sembra stia per cadere anche il tabù riguardo la collaborazione con il partito curdo, il Partito Democratico dei Popoli.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.al-monitor.com/ori...

https://www.reuters.com/world/...

https://ahvalnews.com/meral-ak...

https://pixabay.com/it/images/...

Share the post

L'Autore

Michele Magistretti

Tag

Turchia Turkey politicaestera politicainternazionale geopolitics Geopolitica