La via africana della Turchia

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  Michele Magistretti
  23 May 2021
  4 minutes, 38 seconds

Nel corso delle ultime due decadi, in particolare a partire dall'ascesa al potere dell'attuale presidente Erdogan, la Turchia ha improntato la propria politica estera lungo numerosi e diversi vettori di natura geopolitica e ideale. Da alcuni anni, Ankara tenta incessantemente di scavalcare quella che essa stessa percepisce come la naturale area di espansione della propria influenza, ovvero l’area corrispondente al defunto Impero ottomano. Infatti, la potenza anatolica da diverso tempo impiega parte delle proprie energie al fine di ampliare la propria influenza oltre il Nord Africa, lungo la fascia del Sahel fino al Corno d’Africa.

Vediamo, dunque, come si è concretizzata la politica estera turca nel continente africano.

Dal Nord-Africa al Corno d’Africa: tra alleanze e interventi diretti

Nell’intento di approfondire la propria influenza nel bacino del Mediterraneo, la Turchia ha perseguito una serie di iniziative che l’hanno portata ad utilizzare sia strumenti di soft power sia strumenti di hard power. Con l’intervento diretto nella guerra civile libica, Ankara ha portato sul suolo del Paese africano una decina di migliaia di mercenari, utilizzati come spendibile carne da cannone, oltre a qualche centinaio di militari del proprio esercito, con funzioni prevalentemente di coordinamento ed addestramento delle milizie tripoline. Il sostegno a Tripoli le ha fruttato una concessione secolare del porto di Misurata ed un avamposto nelle base aerea di Al Watiya, 140 kilometri a sud-ovest di Tripoli. Durante le diverse fasi del conflitto ha provato a corteggiare, fallendo, sia il Marocco sia l’Algeria nel tentativo di acquistare preziosi alleati per il perseguimento della sua strategia in terra libica. Nonostante gli scarsi risultati in tal senso, l’efficacia ed il successo dei droni di fabbricazione turca utilizzati nei vari scenari di conflitto hanno portato il Regno marocchino a valutare l’acquisto di tredici Bayraktar TB2.

La Turchia ha, inoltre, provato ad espandere la propria influenza attraverso il sostegno alla Fratellanza Musulmana, sia in Egitto sia in Tunisia. La deposizione del leader egiziano Morsi, legato alla Fratellanza, da parte del generale Al-Sisi ha portato ad un’incrinatura dei rapporti tra i due Paesi anche se, da gennaio 2021, si sono riaperti alcuni canali di dialogo. In Tunisia, invece, la Turchia di Erdogan ha sempre intrattenuto un rapporto fecondo con uno dei principali attori politici del Paese, il partico islamico Ennahda, ramo tunisino della Fratellanza.

Ankara ha, poi, allungato le proprie mire espansionistiche dal bacino del Mar Rosso fino all’Oceano indiano. In Sudan, anche grazie ai rapporti di amicizia intercorrenti tra il presidente turco e l’ex presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, Ankara ha ottenuto la concessione dell’isolotto di Suakin. Se inizialmente sembrava essere certa la costruzione di una base navale, l’avvento al potere dei militari pare abbia definitivamente fatto virare le intenzioni turche verso progetti di natura civile, legati al turismo e al pellegrinaggio.

Ankara gode di ottimi rapporti anche con la Somalia. La cooperazione è andata rafforzandosi negli anni, anche in campo militare. Secondo alcune fonti, la Turchia, nel corso degli anni, avrebbe addestrato un terzo dell’esercito somalo. Sempre nell’ottica di espandere la propria influenza sul Paese, inoltre, a fine 2020 ha contribuito ad alleggerire il debito estero di Mogadiscio. Nell’ambito della Heavily Indebted Poor Countries (HIPC) Initiative ha utilizzato 2.4 milioni di propri diritti speciali di prelievo a favore del proprio alleato.

Oltre il Sahel: lo strumento del soft power

Inoltrandosi nel continente africano, Ankara ha dovuto riequilibrare i vettori del proprio intervento estero. Non potendo immaginare di intervenire direttamente, ha fatto ampio uso della diplomazia e degli aiuti umanitari. Dal 2009, il numero delle ambasciate aperte è passato da poco più di una decina a oltre quaranta. Vi è stato anche un poderoso incremento dell’interscambio commerciale, passato da qualche centinaio di milioni di dollari a circa 25 miliardi.

Inoltre, dai primi anni duemila, la Turchia ha cercato di aumentare la propria influenza sul continente attraverso l'operato dell’ex alleato di Erdogan, Fetullah Gülen. Il predicatore ha aperto una serie di scuole in diversi Paesi, ma la crisi ed il tentato golpe del 2016 hanno reso i due leader turchi acerrimi rivali. Per questo, il presidente turco cerca ora di fare pressioni sui vari governi africani per chiudere quelli che lui considera megafoni di propaganda contrari al proprio regime.

Il presidente turco prova a farsi spazio nelle dinamiche del Sahel e dell’Africa occidentale portando un messaggio anti-imperialista, in particolare in funzione anti-francese, e provando a far leva sul sentimento religioso che accomuna i Paesi sunniti della regione con il Paese anatolico.

Essenziali nel programma di espansione dell’influenza turca sono anche le varie attività svolte dalla TIKA, la principale agenzia governativa turca che si occupa di aiuti allo sviluppo. In particolare, con la crisi sanitaria l’agenzia turca è stata parte di un ampio puzzle di cooperazioni ed aiuti promossi da Ankara nei confronti di vari Paesi del continente africano, come l’Uganda e il Sud Africa. Tramite tale agenzia la Turchia prova, inoltre, ad espandere la propria proiezione estera dalla fascia saheliana fino al Golfo di Guinea a detrimento di Parigi e dei suoi alleati arabi, Egitto ed Emirati. Infatti, lungo questa direttrice geografica Ankara ha stretto un accordo militare con il Niger e tenta di aumentare la propria influenza economica e politica in Ciad e in Ghana.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.dailysabah.com/dip...

https://www.dailysabah.com/pol...

https://www.middleeastmonitor....

https://ahvalnews.com/africa-t...

https://www.al-monitor.com/ori...

https://unsplash.com/it/foto/u...

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Michele Magistretti

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