La storia del processo Roe v. Wade

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  Francesco Marchesetti
  24 November 2022
  5 minutes, 7 seconds

Il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzò a livello federale l’aborto con una sentenza passata alla storia con il nome del processo a cui poneva fine: Roe v. Wade, ovvero “Roe contro Wade”.

Prima di Roe v. Wade

Prima della sentenza, ogni Stato aveva una propria legislazione in fatto di aborto; in particolare, 30 Stati lo consideravano reato di common law, cioè basato sui precedenti giudiziari, il sistema su cui si fonda l’ordinamento degli Stati Uniti.

Nel 1971, ad esempio, Shirley Wheeler fu condannata per omicidio colposo dopo che lo staff medico di un ospedale della Florida segnalò alle autorità il suo aborto illegale. Il caso Wheeler – il primo che vedesse una donna condannata penalmente per un’interruzione di gravidanza – fu portato all’attenzione dell’opinione pubblica americana da diversi gruppi di attiviste, tra i quali la Boston Women’s Abortion Coalition e la Women’s National Abortion Action Coalition. L’attenzione mediatica portò il tema dell’aborto in primo piano nel dibattito pubblico, e la condanna di Wheeler venne revocata dalla Corte Suprema della Florida.

Con l’introduzione del California Therapeutic Abortion Act nel 1967, l’aborto venne depenalizzato nello Stato della California. Los Angeles divenne meta di molte donne provenienti da altri Stati che volevano abortire in modo sicuro e legale, tanto che il volo Dallas-Los Angeles era conosciuto come “the abortion special”.


Il caso Norma McCorvey

Norma McCorvey, vero nome di Jane Roe (lo pseudonimo le venne assegnato nel corso del processo per proteggere la sua privacy), era una cittadina texana che nel 1969 aveva 21 anni e due figli avuti da un uomo violento che aveva sposato a 16 anni.

Quando rimase incinta per la terza volta, intenzionata a interrompere la gravidanza dietro consiglio di amici, denunciò alle autorità di essere stata stuprata, convinta che lo Stato del Texas permettesse l’aborto legale in caso di stupro o incesto. Da quanto emerso nel corso delle indagini, le venne chiesto di mentire riguardo alle violenze subite. Non essendoci comunque alcun rapporto della polizia locale che accertasse tali violenze, la sua richiesta venne respinta. La donna tentò dunque di abortire illegalmente, ma la clinica clandestina venne chiusa dalle autorità prima che il trattamento potesse cominciare; McCorvey finì quindi per partorire il terzo figlio – che venne dato in adozione – prima che il caso trovasse una conclusione.


Il processo Roe v. Wade

Nel 1970, le avvocatesse texane Linda Coffee e Sarah Weddington fecero causa alla Corte Distrettuale del Nord Texas a nome di Jane Roe (ovvero McCorvey). L’avvocato che difese la Corte texana fu il procuratore distrettuale Henry Wade che, assieme allo pseudonimo della querelante, diede il nome al processo.

Il verdetto della Corte Distrettuale risultò favorevole a McCorvey, basandosi su un’interpretazione del IX emendamento della Costituzione in materia di diritto alla privacy. I giudici dichiararono dunque la legge texana incostituzionale; successivamente, il procuratore Wade fece ricorso in appello alla Corte Suprema.

Il 22 gennaio 1973, con una maggioranza di 7 voti a 2, la Corte Suprema emise il verdetto basandosi su un’interpretazione del XIV emendamento della Costituzione, sempre in materia di diritto alla privacy, qui inteso come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni legate alla sfera intima della persona.

La “legalizzazione di fatto” dell’aborto avvenne mediante la formulazione, da parte dei giudici della Corte Suprema, di due principi fondamentali: quello secondo cui la donna potesse decidere di interrompere liberamente la gravidanza fino a che il feto non fosse in grado di sopravvivere al di fuori del grembo materno (ovvero entro i sette mesi di gravidanza), e quello secondo cui non vi fosse limite temporale in caso di pericolo di salute per la donna.

La legislazione attuale

In seguito alla sentenza del 1973, l’aborto è stato legalizzato. Tuttavia, a causa della separazione fra diritto federale e diritto statale, ogni Stato regola e limita l’interruzione di gravidanza in modo diverso. Conseguenza diretta di ciò sono norme come il Hyde Amendment, il quale limita l’accesso a fondi federali per operazioni di aborto che non siano necessarie per salvare la vita della donna o per interrompere una gravidanza frutto di stupro o incesto. Altra conseguenza è costituita dalle leggi fortemente restrittive riguardo all’aborto, entrate in vigore negli Stati a maggioranza repubblicana, tra cui il Senate Bill 8, la legge texana del settembre 2021 che proibisce l’interruzione di gravidanza dopo le sei settimane di gravidanza. Questa legge, la più restrittiva degli interi Stati Uniti, non è stata bloccata dalla Corte Suprema, a differenza delle norme simili avanzate dagli Stati a maggioranza repubblicana, che sono sempre state giudicate incostituzionali.

La giornalista Megan McArdle, in un articolo pubblicato sul Washington Post il 7 settembre scorso, scrive che quest’ultima decisione della Corte Suprema (alla composizione attuale a maggioranza conservatrice, con un rapporto di 6 a 3) non solo limita la portata di Roe v. Wade, ma ribalta completamente l’interpretazione della Costituzione data dalla sentenza.

McArdle analizza come, a quasi cinquant’anni di distanza dalla storica sentenza, la sensibilità della politica americana riguardo all’aborto sia cambiata radicalmente, con da un lato un partito repubblicano intenzionato a limitare il diritto riconosciuto da Roe v. Wade, e dell'altro un partito democratico che, dopo Obama (la cui amministrazione aveva portato avanti importanti campagne politiche sul tema del diritto all’interruzione di gravidanza), si è dimostrato troppo tiepido in materia, rivelandosi incapace di rappresentare l’elettorato che invece ritiene quello all’aborto un diritto inalienabile.

McArdle fotografa un’America radicalmente divisa sul tema di un diritto che per quasi cinquant’anni è stato considerato una prerogativa garantita costituzionalmente, e si interroga sulle possibili conseguenze del post-Roe nel caso in cui i Repubblicani, forti della recente decisione della Corte Suprema, riescano a riscrivere un pezzo di storia statunitense.

Fonti consultate per il presente articolo:

Linda Greenhouse e Reva B. Siegel, Before Roe V. Wade: Voices That Shaped the Abortion Debate Before the Supreme Court's Ruling

https://www.nytimes.com/2021/09/02/us/politics/roe-v-wade-supreme-court.html

https://www.nytimes.com/2021/09/01/opinion/texas-abortion-sb8-roe-v-wade.html

https://www.historyextra.com/period/20th-century/history-abortion-law-america-us-debate-what-roe-v-wade/

https://www.ilpost.it/2013/01/22/quarantanni-da-roe-v-wade/

https://www.washingtonpost.com/opinions/2021/09/07/what-post-roe-v-wade-future-might-look-like/

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L'Autore

Francesco Marchesetti

Studente di Lettere Moderne.
Aspirante giornalista, certo che l'informazione libera debba essere un diritto universale.

Student in Modern Literature.
Aspiring journalist, certain that freedom of information should be a universal right.

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