La situazione dei diritti umani in Myanmar

Le accuse di genocidio e la repressione dei manifestanti da parte delle forze armate

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  Alice Stillone
  04 April 2022
  4 minutes, 15 seconds

A partire dal 2019, il governo del Myanmar è accusato dal Gambia di aver commesso atti di genocidio ai danni del gruppo etnico musulmano dei Rohingya stabilmente presente nello Stato. L’11 novembre 2019, nel quadro di un contenzioso che oppone il Gambia al Myanmar, il primo ha richiesto alla Corte internazionale di giustizia (CIG) l’adozione di misure cautelari contro il Myanmar presunto responsabile di violazioni della Convenzione sul genocidio del 9 dicembre 1948.

Il Gambia fonda il ricorso su illeciti - ancora presunti, dal momento che la Corte deve pronunciarsi sul merito - commessi nello Stato di Rakhine – situato ad ovest del paese. I responsabili indicati sono l’esercito del Myanmar e vari altri gruppi armati da esso supportati.

In particolare, il Gambia ha chiesto alla Corte di accertare che lo Stato convenuto avesse violato gli obblighi di prevenzione e punizione del crimine di genocidio (art. I), che avesse commesso almeno uno degli atti punibili di cui all’art. III della convenzione, che avesse fallito nel punire i responsabili dei crimini, siano essi funzionari pubblici o individui privati, che si trovavano nel territorio dello Stato (artt. IV, VI), che non avesse legiferato adeguatamente per rendere penalmente perseguibile la commissione del crimine (art. V).

All’origine della controversia vi sono alcuni fatti riportati da organi delle Nazioni Unite, da media e da ONG secondo i quali, a partire dall’ottobre 2016, l’esercito ed altri gruppi militari ad esso connessi, si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani nei confronti del gruppo dei Rohingya. Stando al rapporto della United Nations Independent International Fact-Finding Mission on Myanmar (IIMM) datato 18 settembre 2018, gli appartenenti al gruppo etnico in territorio statale sono in grave pericolo e ciò che hanno subito può costituire crimine di genocidio.

In un rapporto di poco successivo, datato 8 agosto 2019, si ritiene rinvenibile, dall’analisi dei fatti e delle violazioni perpetrate ai danni del gruppo etnico, la presenza dell’intento genocidario necessaria per poter qualificare i fatti come crimine di genocidio.

Seppur l’accertamento giudiziale di tale crimine sia necessariamente subordinato al fatto che la CIG rilevi, nelle azioni dell’esercito e dei gruppi militari, contestualmente l’elemento materiale e l’intento genocidario costituenti il crimine, l’azione del Gambia assume particolare rilievo.

Questo è il primo caso, infatti, in cui uno Stato non direttamente coinvolto nella violazione dei diritti umani del gruppo protetto, istituisce un procedimento di fronte alla Corte internazionale di giustizia contro uno Stato presunto responsabile di violazioni della Convenzione sul genocidio utilizzando la clausola compromissoria prevista all’art. IX della suddetta Convenzione. Nonostante l’accertamento giudiziale sia un processo lungo, l’azione del Gambia ha comunque avuto un primo effetto concreto: ha portato all’attenzione della Corte – e di tutta la comunità internazionale – una situazione di grave violazione dei diritti umani e, di conseguenza, ha causato l'adozione di misure cautelari nei confronti del Myanmar volte a tutelare la minoranza dei Rohingya.

Inizialmente, la situazione dei diritti umani in Myanmar è peggiorata all’indomani dell’1 febbraio 2021, data in cui i militari hanno compiuto un colpo di stato arrestando la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi ed il presidente U Win Myint del National League for Democracy, partito al potere. A partire da quel momento, nel paese sono scoppiate molteplici manifestazioni di protesta contro la presa del potere da parte dei militari a cui è seguita una forte repressione del dissenso da parte del nuovo governo.

Stando a quanto riportato da Amnesty International, i militari, nel reprimere il dissenso, hanno fatto uso di proiettili di gomma, cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e, secondo l’Assistance Association for Political Prisoners, fino al 31 dicembre 2021 si erano resi responsabili dell’uccisione di almeno 1384 persone, compresi 91 bambini e dell’arresto di altre 11.289.

Inoltre, dopo aver esaminato più di 50 registrazioni video della repressione in corso, Amnesty ha concluso che i militari avevano fatto uso di granate ed altre armi da combattimento indiscriminatamente sulla popolazione che manifestava.

In conclusione, oltre alla tortura e gli altri maltrattamenti contro i detenuti, il governo dei militari ha ridotto la libertà d’espressione dal momento che ha annunciato alcune modifiche al codice penale volte a punire l’intento a criticare l’azione governativa e le critiche effettive a quest’ultima, aggiungendo la sezione 505 (a) al codice penale in vigore.

Ad aggravare ulteriormente la situazione si menziona la decisione delle autorità militari di limitare l’accesso umanitario negli stati di Kayah, Shan e Chin, che ha comportato il blocco di convogli contenenti aiuti umanitari. L'incremento dei requisiti necessari alle organizzazioni umanitarie per poter ottenere le autorizzazioni a viaggiare in Myanmar, ha quindi ritardato significativamente la consegna di aiuti alle popolazioni in difficoltà.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.ohchr.org/en/press-releases/2018/09/myanmar-un-fact-finding-mission-releases-its-full-account-massive-violations?LangID=E&NewsID=23575

http://www.sidiblog.org/2020/02/13/genocidio-dei-rohingya-sulle-misure-cautelari-della-corte-internazionale-di-giustizia-nel-caso-gambia-c-myanmar/

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2021-2022/asia-e-pacifico/myanmar/

https://www.hrw.org/news/2022/03/25/myanmar-armed-forces-day-spotlights-atrocities

Immagine: https://www.pexels.com/photo/p...

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