La questione ucraina - Crimea II

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  Matteo Gabutti
  26 February 2022
  7 minutes, 31 seconds

L’utilizzo della forza da parte della Federazione Russa inevitabilmente inficia la legalità dell’intervento in Crimea, del referendum e dell’annessione della penisola alla Russia. Ciononostante, peccheremmo di miopia se non considerassimo il più ampio contesto in cui si è svolta la vicenda. Pertanto, in questo articolo cercheremo di analizzare la questione secondo la prospettiva degli abitanti della penisola e di Mosca, per capire se possa esistere una qualche forma di legittimità al di là dell’illegalità; in particolare, esamineremo l’annessione della Crimea attraverso le lenti del diritto all’autodeterminazione, per poi concentrarci su una possibile forma mentis del Cremlino nel suo approccio al diritto internazionale.



Autodeterminazione

Subito dopo l’arrivo degli “omini verdi,” il 6 marzo 2014 il Parlamento di Crimea votò a favore della secessione della penisola dall’Ucraina e dell’annessione alla Russia, indicendo un referendum per il 16 marzo. I risultati di quest’ultimo videro una soverchiante maggioranza a favore dell’integrazione nella Federazione Russa, stipulata in un trattato due giorni dopo e ratificata dal Parlamento russo il 21 marzo.

Malgrado le violazioni elencate nel precedente articolo, non si potrebbe quindi considerare la russificazione della Crimea come un legittimo esercizio da parte della popolazione locale del diritto all’autodeterminazione? Quest’ultimo è infatti uno dei capi saldi del diritto internazionale, consacrato nell’Art. 1 dello Statuto dell’ONU e nella Risoluzione 1514 del 1960 dell’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA).

Il fatto che il referendum violasse la legge costituzionale ucraina – secondo cui solo il parlamento di Kiev ha l’autorità di indire un plebiscito su cambi territoriali coinvolgendo l’intera popolazione ucraina – non infrange di per sé il diritto internazionale, che non vieta esplicitamente dichiarazioni unilaterali d’indipendenza.

Ciononostante, è controverso sostenere che il diritto all’autodeterminazione dei popoli si traduca necessariamente nel diritto di secessione. Secondo la pratica e la teoria sviluppatesi durante il processo di decolonizzazione, l’autodeterminazione garantisce il diritto all’indipendenza di territori non-autonomi. Di conseguenza, è generalmente accettata l’applicazione di tale diritto per ex-colonie, territori sotto occupazione straniera o soggetti a governi razzisti. Tuttavia, la Crimea non era mai stata trattata come un territorio non-autonomo, e pertanto la sua pretesa di indipendenza necessita di altri fondamenti.

Una possibile opzione è quella della remedial secession, secondo cui un popolo oppresso, a cui sia negato accesso al potere politico, deterrebbe il diritto all’autodeterminazione esterna, ovvero all’indipendenza. In effetti, sembra questa la strada intrapresa dalle Repubbliche di Crimea, Donetsk e Luhans’k quando si autoproclamarono indipendenti nel 2014, accusando Kiev di tiranneggiare l’etnia russofona nelle suddette regioni. Tuttavia, non vi erano prove convincenti di violazioni estese e sistemiche dei diritti dell’etnia russa in Crimea nel 2014. Inoltre, pur rappresentando la maggioranza della popolazione della penisola, tale etnia conviveva con minoranze importanti di ucraini e tatari, le quali si trovarono in un clima di grande incertezza dopo l’annessione, come riportato dal Sottosegretario Generale per i diritti umani dell’ONU.

In aggiunta, la secessione della penisola appare difficilmente giustificabile sul piano procedurale. Infatti, un atto di autodeterminazione dovrebbe risultare da una scelta libera e volontaria del popolo direttamente coinvolto, solitamente sotto la supervisione dell’UNGA. Nel caso della Crimea, invece, il referendum si svolse immediatamente dopo l’intervento – e alla presenza – dell’esercito russo, senza nessun organo dell’ONU a monitorare. Per di più, la quasi subitanea annessione alla Russia mina la buona fede di quest’ultima, che di certo non poteva essere un arbitro imparziale del plebiscito. Possiamo dunque dubitare della validità di un referendum attuato nel bel mezzo di un’emergenza armata, anche perché più di un’ombra vela gli esorbitanti risultati comunicati, che dipingevano il 97% dei votanti a favore dell’integrazione alla Russia.

Se a tutto ciò si sommano le violazioni discusse nel precedente articolo, diviene quasi impossibile giustificare il caso della Crimea alla luce del diritto all’autodeterminazione.



Equilibrio di potere

Al di là delle argomentazioni legali, attraverso l’annessione della Crimea la Russia intendeva reagire a un equilibrio di potere sempre più sfavorevole per Mosca. Questa è essenzialmente la chiave di lettura da prediligere non solo per la questione ucraina, ma anche per il comportamento internazionale del Cremlino in generale, come riporta Rein Müllerson – Professore di diritto internazionale – in Alba di un nuovo ordine, ben analizzato dal suo collega Lauri Mälksoo.

Secondo il Professore, infatti, ogni discorso sulla Crimea dovrebbe partire dall’intervento della NATO in Kosovo nel 1999. È evidente che un paragone immediato minimizza differenze sostanziali tra i due interventi, come le sofferenze autentiche subite dalla popolazione kosovara, la presenza dell’ONU, e il lungo iato tra l’interessamento delle potenze occidentali e l’indipendenza del Kosovo. Tuttavia, è il fondamento logico del parallelismo a essere interessante, ovvero la relativizzazione delle violazioni del diritto internazionale rispetto a un bilanciamento del potere. In questo senso, il comportamento del Cremlino sarebbe una risposta alle potenze occidentali, al fine di ricostituire un equilibrio globale infranto, per esempio, dall’intervento in Iraq nel 2003 o in Libia nel 2011.

Il Professore ritiene che questa lettura possa spiegare in larga parte la piega sempre più autoritaria di Putin, la fermezza della Federazione in politica estera e l’approccio russo al diritto internazionale. Perciò, Mosca considererebbe le violazioni che le sono ascrivibili per l’annessione della Crimea non in sé e per sé, ma piuttosto in relazione al contesto in cui si sono verificate, nella più ampia ottica dell’equilibrio di potere. Quest’ultimo diverrebbe dunque una sorta di meta-principio del diritto internazionale, sostituendosi al principio di pari sovranità tra gli Stati consacrato nello Statuto dell’ONU.

A questo proposito, Mälksoo afferma che il libro di Müllerson rivela il carattere ultra-realista della Russia di fronte al diritto internazionale. Nel 1945, infatti, un’Unione Sovietica territorialmente satura abbracciò l’ordine legale delle Nazioni Unite, criticando le interpretazioni troppo ampie di intervento umanitario, autodifesa preventiva, protezione di cittadini all’estero, di Stati Uniti, Regno Unito, Israele. Al contrario, dopo il crollo dell’URSS e con l’espansione della NATO, la Russia ha assunto un atteggiamento più assertivo e interventista sul piano globale. Il fil rouge del Cremlino, in ogni caso, rimane uno spiccato senso di realpolitik insieme al principio trasversale dell’equilibrio di potere.

Come evidenziato da Mälksoo, spesso si tende a sottovalutare interpretazioni del diritto internazionale che differiscano dalle proprie, e ciò impedisce di comprendere appieno il comportamento di chi non si conforma a norme formalmente universali. Comprendere, ovviamente, non significa giustificare; al contrario, è la chiave che ci consente di scardinare posizioni incompatibili con l’ordine regolato dall’ONU, rivelandone svantaggi e mancanze. L’ottica dell’equilibrio di potere, per esempio, minerebbe alla pari sovranità degli Stati favorendo il dominio di superpotenze globali e relativizzerebbe pericolosamente la proibizione dell’uso della forza racchiusa nell’Art. 2(4).

Assumere che esista un’unica interpretazione delle norme del diritto internazionale, per di più coincidente con la nostra, sarebbe dunque una grave forma di miope etnocentrismo, che potrebbe portare a mal interpretare anche il comportamento della Russia nei confronti del Donbass.

Fonti consultate per il presente articolo

Antonini C, ‘Ricorda 1960: Dichiarazione Sulla Decolonizzazione’ (Lo Spiegone11 August 2020) <https://lospiegone.com/2020/08/11/ricorda-1960-dichiarazione-sulla-decolonizzazione/> accessed 14 September 2022

Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ‘Declaration on the Granting of Independence to Colonial Countries and Peoples - G.A. Resolution 1514 (XV)’ <https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/declaration-granting-independence-colonial-countries-and-peoples> accessed 14 September 2022

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BBC, ‘Ukraine’s Yanukovych Asked for Troops, Russia Tells UN’ BBC News (4 March 2014) <https://www.bbc.com/news/world-europe-26427848> accessed 14 September 2022

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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