La politica estera turca: tra cambiamenti ed incognite

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  Michele Magistretti
  30 June 2021
  4 minutes, 21 seconds

Da alcuni mesi la Turchia pare aver impresso un cambio di passo alla propria politica estera. Seguendo i cambiamenti improntati dal vertice di Al-Ula di gennaio e dalla presenza di un nuovo inquilino alla Casa Bianca, Ankara e il suo presidente sembrano aver optato per una riorganizzazione della propria postura riguardo vari dossier, con alcune vistose eccezioni. La potenza anatolica sembra spendersi in un nuovo sforzo diplomatico con alcuni antichi rivali, mentre si lancia in nuove avventure per elevare la propria posizione internazionale.

Vediamo quindi le ultime iniziative condotte dalla Turchia e i possibili sviluppi futuri della sua azione internazionale.

Il ritorno del dialogo?

Vivendo un periodo di difficoltà, tra crisi economica ed isolamento regionale, la Turchia ha colto lo scongelamento dei rapporti tra i membri del Consiglio di Sicurezza del Golfo ed il suo alleato, il Qatar, per imprimere un cambio di rotta nei rapporti con alcuni attori regionali. Da mesi, infatti, la postura turca verso l’Arabia Saudita è divenuta più dialogante, nel tentativo di aumentare la cooperazione e superare le conflittualità dell’ultima decade. Dietro questa iniziativa diplomatica, che mira a migliorare i rapporti con Riad, vi è probabilmente anche l’intento di indebolire l’intesa tra questa ed Abu Dhabi, principale rivale regionale della potenza anatolica. Similmente, Ankara prova ad avvicinare l’Egitto del generale Al-Sisi, precedentemente considerato acerrimo rivale per la deposizione dell’ex alleato di Erdogan, Mohamed Morsi. Dalla caduta del leader egiziano democraticamente eletto, la Turchia ha assunto il ruolo di santuario per i dissidenti egiziani della Fratellanza Musulmana che sostenevano il leader deposto. Nel corso degli ultimi anni l’atteggiamento revisionista della Turchia ha ulteriormente ampliato le distanze con il Cairo, che ha stretto legami profondi con Grecia e Cipro, considerati da Ankara quasi come rivali strutturali. Per vincere le resistenze del regime egiziano e dimostrare la propria buona volontà, Ankara sta rivedendo i propri rapporti con i dissidenti egiziani e ha proposto un accordo di delimitazione delle Zone Economiche Esclusive.

Riguardo i rapporti con l’alleato americano, sono sicuramente sfumati i momenti di maggior tensione dei primi mesi di presidenza di Biden, ma rimangono alcuni nodi irrisolti. Rimane ancora aperto il nodo problematico riguardo il sistema di difesa comprato dai russi e considerato dagli alleati incompatibile con le strutture militari dell’Alleanza Atlantica. Il presidente turco però, a conclusione dell’ultimo summit della NATO, ha sostenuto con il presidente Macron il ritiro delle truppe mercenarie dalla Libia. Il ritiro dei proxies stranieri, tra cui migliaia di jihadisti pagati da Ankara, è fondamentale per il completamento del processo di transizione che dovrebbe culminare con le elezioni fissate per dicembre.

Inoltre, l’intenzione del presidente turco di avviare la costruzione del Canale Istanbul potrebbe essere vista a sua volta come un tentativo di riavvicinamento a Washington. Il nuovo tratto non sarebbe sottoposto agli Accordi di Montreaux e la rottura di tale status quo viene vissuta con preoccupazione a Mosca.

Nuovi slanci e vecchie incognite

Pur provando a raffreddare le tensioni con alcuni alleati e con alcuni degli antichi rivali, Ankara persegue il progetto di espansione della propria influenza lungo le molteplici direttrici geografiche della propria azione internazionale.

Non è passata inosservata la reazione incendiaria del presidente turco riguardo il recente conflitto tra Israele ed Hamas. Mentre proseguivano gli scontri, Erdogan ha criticato duramente l’operato di Israele e ha strumentalizzato il conflitto per ergersi a difensore dei musulmani e della causa palestinese, invitando i correligionari a reagire con forza. Non sono stati rari i casi di manifestazioni oceaniche davanti all’ambasciata israeliana.

A turbare ancora una volta la tranquillità delle acque del Mediterraneo orientale è giunta una recente dichiarazione del presidente turco. Pare che Ankara sia in procinto di stabilire una base per i propri droni militari, i Bayraktar TB2, nella parte nord di Cipro, dove Ankara da decenni ha stabilito uno stato fantoccio.

Inoltre, sulla scia della graduale smobilitazione americana dall’Afghanistan, Ankara prova ad inserirsi come power broker regionale nel cuore dell’Asia. La Turchia si propone come elemento stabilizzatore e mediatore nel paese centro-asiatico, desiderando mantenere il controllo dell’aeroporto di Kabul, senza però voler inviare ulteriori unità militari. Sempre per provare a mantenere la propria influenza nello scacchiere afghano, desidera approfondire i già ottimi rapporti con il Pakistan, anche in funzione anti-iraniana. I due Paesi attualmente condividono una leadership radicale e sempre più spesso entrambi leader si ergono a difensori della ummah, cercando di espandere la propria influenza attraverso il soft power religioso. A dimostrazione della buona salute dei rapporti con Islamabad vi sono le recenti esercitazioni congiunte delle aviazioni militari dei due Paesi. In questo contesto rileva anche la partecipazione di Qatar ed Azerbaigian, due solidi alleati del Paese anatolico.

Un ulteriore tassello della strategia di proiezione eurasiatica turca è la nuova base militare che Ankara vorrebbe stabilire in Azerbaigian. Qualora il progetto vedesse la luce, sarebbe la prima base di un paese NATO sul suolo di un Paese appartenente alla defunta Unione sovietica.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://turkeyanalyst.org/publ...

https://nationalinterest.org/b...

https://www.jpost.com/internat...

https://unsplash.com/it/foto/I...

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Michele Magistretti

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