La disciplina prevista dall’art. 41bis della Legge sull’Ordinamento Penitenziario (L.O.P. n. 354/1975)

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  Redazione
  30 March 2021
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Sommario: 1. Introduzione; 2. Disciplina; 3. Le critiche degli organismi di tutela internazionali

1. Introduzione

    L’art. 41bis L.O.P.[1] prevede, in determinate ipotesi eccezionali, l’applicazione di un regime penitenziario più restrittivo (c.d. “carcere duro”), al ricorrere di specifici requisiti che si andranno ad esaminare nella presente analisi.

    Innanzitutto, giova premettere che la norma in esame veniva introdotta nel giugno 1992, con la Legge n. 356 del 1992[2], a seguito delle sanguinose stragi della criminalità organizzata; è chiaro, pertanto, l’intento del Legislatore nell’introdurre una consistente modifica alla normativa penitenziaria in vigore, al fine di prevenire i fenomeni di criminalizzazione in costanza di detenzione e, soprattutto, al fine di ostacolare la gestione degli affari criminali da parte degli esponenti delle consorterie mafiose.

    2. Disciplina

      L’applicazione dell’istituto in esame consiste nella sospensione delle “normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati”, come si evince dal tenore letterale della norma; in particolare, l’applicazione dell’art. 41bis, comma 1, è prevista “in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza”.

      Il secondo comma, invece, si riferisce ai detenuti o internati per i delitti di cui all’art. 4bis, comma 1, primo periodo: si tratta, invero, dei c.d. “reati ostativi”, ossia le fattispecie di reato commesse per finalità di terrorismo, criminalità organizzata, violenza sessuale, ecc. In particolare, in tali ipotesi, la previsione è volta a impedire qualsivoglia permanenza di collegamenti con l’ambiente criminale.

      In tutti i casi, la competenza spetta al Ministro della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’Interno, sentito il parere dell’Ufficio di Procura competente; è prevista, inoltre, la facoltà di interpellare “la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva”.

      L’applicazione del “carcere duro” ha una durata di 4 anni, prorogabile nel caso in cui si dimostri la permanenza dei collegamenti con l’associazione criminale, “tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale” e da altri fattori contestuali, rilevanti ai fini della valutazione penitenziaria.

      Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di proporre reclamo, dinnanzi al Tribunale di Sorveglianza di Roma, avverso al provvedimento di applicazione, entro 20 gg dalla comunicazione dello stesso.

      Esaminando nel dettaglio ciò che l’applicazione dell’istituto comporta, vi è innanzitutto da evidenziare che i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41bis c.p. devono essere collocati in Istituti (o reparti di essi) a ciò specializzati, in stanza singola ma garantendo, comunque, un’adeguata socialità tra essi[3]; inoltre, è prevista la possibilità di effettuare un colloquio (controllato e registrato) al mese esclusivamente con i propri familiari e conviventi (salvo il caso dei colloqui dei difensori, possibili nel numero massimo di 3 volte a settimana); è garantito, in ogni caso, lo svolgimento di attività ricreative, culturali e sportive in comune[4].

      Ulteriori misure consistono, poi, nelle limitazioni degli oggetti che i detenuti possono ricevere, un controllo severo sulla corrispondenza, e la riduzione delle ore da trascorrere all’aperto (per un massimo di 2 ore al giorno).

      A garantire il rispetto dei diritti dei detenuti, è previsto l’accesso illimitato presso le sezioni speciali del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, con la possibilità di svolgere colloqui con le stesse, senza limiti di tempo e senza registrazione.

      3. Le critiche degli organismi di tutela internazionali

        Delineati così i requisiti e le modalità di applicazione dell’istituto di cui all’art. 41bis L.O.P., è opportuno segnalare che il regime speciale poc’anzi descritto, in realtà, si è trasformato gradualmente in regime ordinario di detenzione, sollevando non poche critiche a livello nazionale e internazionale da parte degli organismi di tutela dei diritti dei detenuti, nonché delle giurisdizioni superiori: nel 2000, infatti, quando la disciplina del 41bis c.p. era ancora originariamente concepita come provvisoria e, in un certo senso, emergenziale, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannava l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea, per aver sottoposto i detenuti del Carcere dell’Isola di Pianosa, a trattamenti inumani e degradanti e non aver condotto indagini penali efficaci ai fini dell'individuazione dei responsabili di tali condotte[5].

        Sul punto, inoltre, si registrano le aspre critiche e preoccupazioni sollevate dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti delle Nazioni Unite, che, a seguito di diverse visite effettuate presso gli Istituti Penitenziari italiani, ha appurato che l’applicazione del “carcere duro” comporta il rischio di esporre i detenuti a lunghi periodi di isolamento, con il pericolo di recare un grave danno a livello socio-psicologico; in particolare, secondo le conclusioni rassegnate dal Comitato, sembra che l’istituto sia volto non già a recidere qualsivoglia legame o contatti con i gruppi criminali di appartenenza, bensì a operare una pressione psicologica sul soggetto al fine di farlo collaborare con gli organi di giustizia.

        Diversi sono stati gli interventi legislativi e le pronunce della Corte Costituzionale volti a modificare il regime penitenziario speciale, al fine di renderlo compatibile con la normativa internazionale di tutela dei diritti umani, in particolare in tutte quelle ipotesi in cui il detenuto versi in gravi condizioni di salute.

        Sull’onda di tale indignazione, è recente la notizia delle scarcerazioni (motivate da ragioni sanitarie) di alcuni membri di spicco delle più “famose” consorterie mafiose, avvenute durante l’emergenza sanitaria da covid-19 (2020), che hanno sollevato non poche polemiche.

        In realtà, trattasi di modifiche provvisorie alla disciplina di concessione dei benefici extra-murari (differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare) al ricorrere di determinate circostanze, quali, in via esemplificativa, la positività al covid-19.

        Le seguenti fonti sono liberamente consultabili:

        ECHR, G.C., sent. Labita v. Italia (2000);

        https://unsplash.com/it/foto/y...

        https://www.maurizioturco.it/dossier/41bis_dossier/;

        Larussa A., “Mafia: le nuove regole per il 41 bis”, in Altalex.it, 9 ottobre 2017, https://www.altalex.com/documents/news/2017/10/09/mafia-nuove-regole-41-bis;

        Legge 26 luglio 1975, n. 354, https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1975-07-26;354!vig=;

        Legge 7 agosto 1992, n. 356, https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992-08-07;356!vig=;

        Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Ufficio del Capo del Dipartimento, Circolare n. 3676/6126, http://www.ristretti.it/commenti/2017/ottobre/pdf/circolare_41bis.pdf;

        Minnella C., “La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul regime carcerario ex art. 41bis ord. penit. e la sua applicazione nell’ordinamento italiano”, http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/20743.pdf.

        a cura di Simona Castaniti 

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