La disciplina della recidiva nel codice penale italiano

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  Redazione
  14 July 2021
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A cura di Simona Destro Castaniti

La recidiva è un istituto del diritto penale previsto e disciplinato dall’art. 99 c.p. [1], che regola le ipotesi in cui un soggetto, già condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro.

Le diverse ipotesi di recidiva

L’art. 99 c.p. descrive in particolare diverse ipotesi di recidiva, cui conseguono rispettivamente diversi aumenti di pena.

Il primo comma prevede un aumento di pena di un terzo nei casi di recidiva semplice, che avviene quando un soggetto che ha subito una condanna definita per un delitto non colposo ne commette un altro di diversa indole.

Il secondo comma, invece, prevede tre specifiche ipotesi di recidiva aggravata, cui consegue un aumento di pena fino alla metà (si avrà, invece, un aumento di pena fisso della metà nei casi in cui concorrano più ipotesi previste dal presente comma). Innanzitutto, si procederà a un aumento di pena nel caso in cui il nuovo delitto sia della stessa indole di quello precedente: si tratta della c.d. recidiva specifica, ai fini della quale per reati della stessa indole si intendono sia quelli che violano una stessa norma di legge e sia quelli che presentano caratteri comuni [2].
La seconda ipotesi di recidiva (c.d. recidiva infraquinquennale) si applica qualora il nuovo reato venga commesso nei cinque anni successivi alla commissione del primo illecito.
Infine, l’ultima ipotesi di recidiva è quella che concerne i delitti compiuti in esecuzione di una pena precedentemente inflitta (c.d. recidiva vera).

Il terzo comma regola le ipotesi di recidiva reiterata, ovvero nei casi in cui un soggetto, già dichiarato recidivo, compia un ulteriore delitto non colposo; a sua volta, questo tipo di recidiva può essere semplice (cui consegue un aumento di pena di un terzo) o aggravata (con un aumento di pena della metà).

Infine, il quarto comma è il risultato dell'intervento legislativo di riforma (la legge n. 251 del 2005 [3]), che ha introdotto l’ipotesi della recidiva obbligatoria prevista per una serie di delitti (elencati all’art. 407, comma 2, c.p.p.) connotati da particolare gravità e per i quali l’aumento di pena è obbligatorio e, nel caso di recidiva aggravata, non può essere inferiore a un terzo.

In realtà, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015, con la quale veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 99 c.p., le ipotesi di recidiva obbligatoria sono ora facoltative e quindi affidate alla discrezionalità del giudice; sarà lui a dover rendere una specifica e puntuale motivazione in merito.

Resta ferma invece l’obbligatorietà dell’aumento di pena: il giudice deciderà di applicare l’istituto della recidiva per i delitti di cui all’art. 407, ma dovrà comunque operare un aumento non inferiore a un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.

Per quanto concerne l’accertamento che il giudice deve effettuare in concreto, la valutazione deve concernere l’effettiva condotta riprovevole e la pericolosità dell’autore, e non basarsi solo su un mero automatismo logico-deduttivo scaturente dalla semplice sussistenza di precedenti penali.

La natura della recidiva

L’istituto di cui all’art. 99 c.p., anche secondo un costante orientamento giurisprudenziale, è ormai considerato come una circostanza aggravante del reato e quindi come strumento utile ai fini della commisurazione della pena [4].

In particolare, si tratta di circostanza aggravante a effetto speciale che determina un aumento di pena di oltre un terzo.

Peraltro, in qualità di circostanza aggravante, la recidiva deve essere contestata dalla pubblica accusa, la quale dovrà indicare a quale ipotesi di recidiva si fa riferimento nel caso concreto.

Uno dei requisiti per l’applicazione dell’istituto della recidiva è la sussistenza di una pronuncia di condanna nel merito, divenuta irrevocabile per un delitto non colposo; tale elemento denota infatti il mancato pentimento e la perseveranza da parte del reo nella condotta criminosa.

Il secondo requisito preso in esame per l’applicazione dell’istituto è la maggiore colpevolezza del soggetto espressa attraverso la commissione del nuovo delitto, sintomo di un’accentuata capacità a delinquere.

Essendo la natura della recidiva personalissima, e avente un impatto rilevante sul condannato, tali fattori devono essere valutati e accertati dettagliatamente nel caso concreto, avendo anche riguardo alle modalità di commissione del reato, all’offensività, all’incidenza dello stesso sulla capacità a delinquere e sulla pericolosità sociale dell’autore, alla distanza temporale tra i delitti, ecc.

A seguito di diversi interventi legislativi di riforma (tra tutti, la già citata Legge n. 251 del 2005), la disciplina della recidiva è stata ulteriormente inasprita. Tuttavia, sono seguiti poi altri interventi che ne hanno temperato, in parte, il trattamento (ad esempio la limitazione dell’applicazione della recidiva ai soli delitti non colposi, con esclusione quindi dei delitti colposi e delle contravvenzioni).

Le fonti sono liberamente consultabili:

Corte Cost., sent. n. 185 del 2015;

Legge n. 251 del 2005;

Marani S., Recidiva, 21 aprile 2020; https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2020/04/21/recidiva;

Immagine: https://pixabay.com/it/photos/martello-libri-legge-tribunale-719066/

https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iv/capo-ii/art99.html

1. https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iv/capo-ii/art99.html;

2. Marani S., Recidiva, 21 aprile 2020; https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2020/04/21/recidiva;

3. https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iv/capo-ii/art99.html;

4. Ibidem.

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