La disciplina dei reati ostativi alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 253/2019)

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  Redazione
  09 February 2021
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1. La questione

La sentenza della Consulta n. 253 del 2019 è intervenuta all’esito di una questione di legittimità costituzionale, promossa rispettivamente dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia, in relazione all’art. 4bis della Legge n. 354/1975 sull’Ordinamento Penitenziario (di seguito L.O.P.).

I due giudizi avevano ad oggetto, in particolare, i provvedimenti della Magistratura di Sorveglianza di rigetto della richiesta di permesso premio avanzata da soggetti condannati per i reati previsti all’art. 4bis, L.O.P.; la mancata concessione del beneficio in questione, in particolare, veniva motivata sulla base del titolo di reato per il quale gli interessati erano stati condannati, che rientrava, appunto, nella disciplina dei c.d. “reati ostativi”, di cui all’art. 4bis.

In particolare, a fondamento del provvedimento di rigetto, vi era la circostanza che i detenuti, in entrambi i giudizi, non avevano prestato condotte di collaborazione con la giustizia, rilevanti ai sensi dell’art. 58-ter L.O.P.

Pertanto, i Giudici competenti sollevavano questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 4bis L.O.P., nella parte in cui esclude che il condannato per i delitti compendiati alla presente norma che non abbia collaborato con la giustizia possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio.

2. L’art. 4bis della Legge n. 354/1975 sull’Ordinamento Penitenziario (L.O.P.).

    L’articolo in esame positivizza il divieto di concessione dei benefici penitenziari previsti al Capo VI della stessa Legge[1], per i soggetti condannati per determinate ipotesi delittuose, i c.d. “reati ostativi” (i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico; i delitti contro la Pubblica Amministrazione; le fattispecie di reato concernenti la criminalità organizzata; i delitti di violenza sessuale; i reati in materia di immigrazione e sostanze stupefacenti)[2]; in particolare, è previsto che i predetti benefici siano concessi solo nei casi in cui, una volta accertato l’allontanamento del soggetto da qualsivoglia contesto criminale, lo stesso collabori con la giustizia e, quindi, si adoperi per scongiurare eventuali conseguenze ulteriori della propria condotta criminosa o, ancora, cooperi con le Autorità al fine di individuare i responsabili, secondo quanto previsto dall’art. 58ter L.O.P[3].

    La ratio della norma è, evidentemente, quella di incentivare il distacco dagli ambienti della criminalità organizzata, comprovato dalla condotta del condannato che rilevi informazioni utili ai fini investigativi e, quindi, si renda meritevole della concessione dei benefici extra – murari[4].

    La norma in esame, tuttavia, ammette una clausola di deroga, laddove precisa che i benefici in questione possono essere concessi se la collaborazione con la giustizia da parte del condannato risulti comunque impossibile o irrilevante, all’esito di una osservazione scientifica della personalità del condannato.

    Vige, poi, il divieto di concessione dei benefici extra – murari qualora il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, o il Procuratore Distrettuale Antimafia, accerti l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

    Infine, la competenza a decidere in ordine alla concessione dei benefici summenzionati è esclusivamente del Magistrato o del Tribunale di Sorveglianza.

    3. Le ordinanze dei Giudici rimettenti

    Ebbene, i Giudici rimettenti, nel sottoporre la questione al vaglio della Consulta, rilevavano un contrasto tra la presente disciplina e gli artt. 3 e 27 della Costituzione, poiché il divieto assoluto di concessione dei benefici penitenziari contemplato dalla norma comporterebbe, nei fatti, l’inammissibilità a priori di ogni richiesta avanzata in tal senso da parte del condannato, escludendo una qualsivoglia valutazione da parte del Magistrato di Sorveglianza, ammessa solamente, come poc’anzi delineato, nei casi di collaborazione impossibile o irrilevante.
    Tale disciplina si pone, secondo quanto emerge dalle ordinanze di rimessione, in aperta violazione con il principio, enucleato all’art. 27 del nostro dettato costituzionale, di rieducazione e riabilitazione della pena, svuotato di ogni significato nell’ipotesi in cui al condannato venga a priori precluso ogni accesso ai benefici, snaturando, pertanto, il percorso di partecipazione e risocializzazione dello stesso.

    È, infatti, risaputo il generale approccio di cautela riservato nel nostro ordinamento ai meccanismi di automatismo presuntivo, in particolar modo in materia penale e penitenziaria. I Giudici rimettenti, in altri termini, sollevano dubbi in merito all’utilizzo di tale presunzione assoluta derivante dall’art. 4bis, che finirebbe per svilire le finalità di rieducazione della pena e priverebbe la Magistratura di Sorveglianza del fondamentale compito di accertare rigorosamente la sussistenza di tutte le condizioni per la fruizione dei benefici extra – murari da parte del condannato.

    4. La decisione della Corte Costituzionale

      La Consulta, invero, nel valutare attentamente la questione prospettata, condanna come irrazionale tale meccanismo presuntivo, che non prende in considerazione due fattori importanti nei singoli casi concreti, ovvero il trascorrere del tempo (che può rivelarsi fattore utile ai fini di una risocializzazione del condannato) e l’eventuale possibilità che i legami con gli ambienti criminali di appartenenza siano comunque rescissi in virtù del perimento dell’associazione criminale stessa.

      Secondo la Corte, infatti, la disciplina dei benefici extra – murari si ridurrebbe a un mero scambio di elementi utili per entrambe le parti (informazioni da parte del detenuto e trattamenti penitenziari favorevoli), comportando, peraltro, una notevole disparità di trattamento rispetto ai soggetti condannati per i reati non ostativi e non collaboranti, per i quali risulta, comunque, astrattamente possibile accedere ai benefici penitenziari.

      La presunzione di pericolosità, quindi, da assoluta è da considerarsi, invece, relativa, superabile attraverso l’acquisizione di elementi idonei a dimostrare il venir meno dei collegamenti con il sodalizio criminale o il pericolo di un ripristino di tali collegamenti[5]; in altri termini, non è il meccanismo presuntivo in sé a porsi in contrasto con i principi costituzionali, quanto piuttosto l’esclusione della prova contraria e, quindi, l’assolutezza della presunzione[6].

      La Consulta arriva a tale conclusione sulla scorta di tre argomentazioni: in primo luogo, la disciplina in esame sottrae dal sindacato del Magistrato di Sorveglianza la valutazione del singolo caso concreto, accomunando, quindi, e amalgamando indistintamente il trattamento penitenziario per i condannati dei reati ostativi; inoltre, l’esclusione dei benefici extra – murari si traduce, così, in una sorta di pena accessoria per il condannato non collaborante, frustrando le finalità di rieducazione della pena; infine, l’intera disciplina si basa su una probabilità statistica che collega la mancata collaborazione del detenuto alla persistenza dei collegamenti con gli ambienti criminali.

      Ebbene, tale automatismo, per poter essere considerato legittimo in un’ottica costituzionale, deve necessariamente ammettere la prova contraria, ossia l’ammissione di dati empirici, valutati sulla base di criteri rigorosi, idonei a dimostrare, nel singolo caso concreto, l’avvenuto distacco del condannato dalle logiche criminali.

      L’onere della prova, in queste ipotesi, incombe sul condannato richiedente, sulla base di un’inversione dell’onere probatorio, di talché il detenuto sarà tenuto ad allegare, in virtù di un regime probatorio rafforzato, la prova della sussistenza di elementi idonei ad escludere l’attualità di collegamenti criminali o il pericolo di un ripristino[7]; elementi che, unitamente alle relazioni a cura del personale penitenziario e alle risultanze acquisite dal Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente, costituiranno oggetto di valutazione del Magistrato di Sorveglianza ai fini della concessione dei benefici in questione[8].

      A questo punto, tuttavia, è opportuno svolgere un’osservazione: la direttiva dettata dalla Consulta nella sentenza n. 253 si atteggia, piuttosto, come eccezione alla regola generale di divieto di concessione dei benefici penitenziari per i detenuti per i reati di cui all’art. 4bis L.O.P.; invero, l’esempio più lampante in tal senso è il caso dei condannati al regime penitenziario previsto dall’art. 41bis L.O.P., che dispone, per i soggetti condannati per reati di criminalità organizzata, l’applicazione di restrizioni particolari al fine di garantire le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza.

      Ebbene, in tali ipotesi l’applicazione del regime del c.d. “carcere duro” presuppone necessariamente la sussistenza dell’attualità del collegamento con l’associazione criminale; ne deriva, pertanto, che i detenuti soggetti al regime del 41bis non avrebbero mai diritto alla concessione dei benefici extra – murari[9].

      In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019 ha dichiarato illegittimo l’art. 4bis, comma 1, L.O.P. nella parte in cui non prevede che i detenuti condannati per i c.d. “reati ostativi”, previsti dal testo dell’articolo, possano essere ammessi a godere di benefici penitenziari, anche in assenza di condotte collaborative, laddove siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di contatti con l’ambiente criminale e il pericolo di ripristino di tali collegamenti.

      [1] Affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, misure alternative alla detenzione per motivi di salute, semilibertà, licenze, liberazione anticipata (art. 47ss., L.O.P.)

      [2] art 4bis, L.O.P.

      [3] Art. 58ter, L.O.P.;

      [4] Larussa A., “Ergastolo ostativo, la sentenza della Consulta sui permessi premio”, 23.1.2020;

      [5]Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, Comunicato del 14 dicembre 2019 (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20191204134042.pdf);

      [6]Ibid;

      [7] Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 77044/2017; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 29869/2019; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 36057/2019;

      [8] Ruotolo M., “Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale”, 12.12.2019;

      [9] Ibid.

      Le seguenti fonti sono liberamente consultabili:

      Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 77044/2017;

      Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 29869/2019;

      Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 36057/2019;

      Corte Cost., sent. n. 253/2019;

      ECHR, sentenza 13/06/2019 n° 77633-16;

      Larussa A., “Ergastolo ostativo, la sentenza della Consulta sui permessi premio”, 23.1.2020;

      Legge n. 354/1975 sull’Ordinamento Penitenziario;

      Ruotolo M., “Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale”, 12.12.2019;

      Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, Comunicato del 14 dicembre 2019 (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20191204134042.pdf).

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      a cura di Simona Castaniti 

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