La dipendenza da smartphone esiste davvero?

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  Irene Boggio
  14 September 2022
  3 minutes, 45 seconds

Esiste una percezione condivisa che il tempo speso ogni giorno con lo sguardo incollato allo schermo del proprio smartphone sia eccessivo. Sono in molti, in effetti, a percepire come problematico il proprio rapporto con il device e a proporsi – spesso con scarsi successi – di ridurre il tempo e le attenzioni dedicate ogni giorno al proprio dispositivo e alla varietà di applicazioni che esso ospita. La proporzione del fenomeno è tale, a dirla tutta, che ormai da tempo nel dibattito pubblico si è preso a discutere della questione come di un problema di vera e propria dipendenza. Emergono periodicamente, in particolare, allarmi relativi all’utilizzo sregolato dello smartphone e dei social media da parte dei ragazzi e al rapporto di dipendenza che questi instaurerebbero con il proprio dispositivo.

Nel dicembre del 2021, per esempio, l’istituto Eures per le ricerche economiche e sociali ha pubblicato gli esiti di uno studio realizzato in collaborazione con la Regione Lazio e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo i quali il 22% dei ragazzi coinvolti dall’indagine (1800 studenti di scuola secondaria superiore) manifesterebbe i sintomi comportamentali caratteristici della dipendenza da smartphone, mentre un ulteriore 60% sarebbe a rischio di sviluppare una forma di dipendenza.

Tra le motivazioni indicate dai partecipanti a giustificazione del proprio uso prolungato del dispositivo (i soggetti coinvolti sono risultati utilizzarlo mediamente per 6 ore al giorno) compare, al terzo posto, proprio la dipendenza: l’utilizzo dello smartphone, infatti, non risponderebbe soltanto alla necessità di contrastare la noia o di sentirsi parte di un gruppo e di mantenersi in contatto con lo stesso, ma scaturirebbe talvolta da una vera e propria incapacità – denunciata dal 18,2% dei rispondenti – di ignorare il proprio dispositivo o privarsene.

La dipendenza da smartphone non compare, in realtà, tra i disturbi psicopatologici riconosciuti dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – arrivato nel 2013 alla sua quinta edizione e per questo conosciuto come DSM-5. Il DSM-5 ha riconosciuto ufficialmente, per la prima volta, l’esistenza di forme di dipendenza cosiddette “comportamentali” – dipendenze, cioè, non da sostanze psicotrope, ma da comportamenti che i soggetti affetti non riescono a evitare di implementare ripetutamente nonostante le loro ripercussioni negative – e ha identificato come tale il gioco d’azzardo patologico (sino ad allora classificato come disturbo da controllo degli impulsi), indicandolo all’interno del capitolo dedicato ai disturbi da uso di sostanze e alle dipendenze.

Solo un’altra dipendenza comportamentale – il cosiddetto “Internet Gaming Disorder” – ha trovato riconoscimento all’interno del manuale, seppur in qualità di disturbo meritevole di ulteriore indagine (e in quanto tale riportato nella Sezione 3). Le altre forme di dipendenza comportamentale documentate in letteratura, fra cui anche le dipendenze cosiddette “tecnologiche” (come quella da smartphone), non hanno invece trovato posto all’interno del DSM-5, per via dell’insufficienza delle evidenze scientifiche sinora emerse, dell’indisponibilità di criteri diagnostici univoci, nonché della convinzione, condivisa da una parte della comunità scientifica, che le dipendenze comportamentali si manifestino congiuntamente ad altri disturbi psicopatologici (disturbi d’ansia, della personalità o dell’umore) – di cui non sarebbero che un sintomo – e che per questo non meritino di essere considerate come entità a sé stanti. C’è poi chi ritiene che "patologizzare" questi comportamenti descrivendoli come vere e proprie dipendenze, alla pari delle dipendenze da sostanze, presenti più rischi che vantaggi e che per questo il loro riconoscimento all’interno del manuale diagnostico vada ponderato attentamente.

Seppur ancora non compaia tra i disturbi annoverati all’interno del DSM-5, per i quali si dispone di un preciso inquadramento clinico e di criteri diagnostici e indicazioni terapeutiche condivisi, la dipendenza da smartphone è da alcuni già riconosciuta come dipendenza comportamentale. Questa si manifesterebbe – secondo alcuni dei criteri diagnostici proposti in letteratura – con un utilizzo pressoché continuativo del dispositivo, che il soggetto riconosce come prioritario rispetto all’espletazione di altre funzioni e attività, e con la tendenza a dedicare, ogni volta, più tempo di quanto ci si fosse inizialmente ripromessi al consumo dei contenuti reperiti attraverso di esso (anche per via dell’assuefazione cui il soggetto finisce per andare incontro, che lo costringe ad un progressivo incremento dell’esposizione). Fondamentali, poi, sono l’incapacità di interrompere l’utilizzo e il forte malessere di cui il soggetto dipendente fa esperienza quando è costretto a trascorrere lungo tempo senza servirsi del proprio dispositivo.

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