La crisi afgana, l'UE e l'urgenza di una difesa (realmente) comune

  Articoli (Articles)
  Irene Boggio
  09 September 2021
  5 minutes, 10 seconds

Nelle ultime settimane, la crisi scatenatasi in Afghanistan per effetto del ritiro degli ultimi contingenti NATO ancora presenti sul territorio e del contestuale sgretolamento dello Stato afghano di fronte all’avanzata talebana ha riacceso i riflettori del dibattito pubblico sul tema della necessità di una maggiore integrazione europea in materia di difesa. Ad aver dato avvio a tale dibattito – che risale, in verità, agli anni ’50 (quando si tentò, fallendo, di dare vita a una Comunità Europea di Difesa e a un esercito europeo integrato) e viene periodicamente resuscitato – è stato, in particolare, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 30 agosto scorso, l’Alto Rappresentante Borrell ha posto l’accento sulla necessità che gli Stati europei acquisiscano le capacità necessarie a “muoversi anche da soli”, adoperandosi per il raggiungimento di una maggiore autonomia strategica, a fronte di un evidente disimpegno americano dall’arena internazionale: “il presidente Biden è stato chiaro nel dire che gli Stati Uniti in Afghanistan hanno fatto ciò che dovevano fare […] e ora è tempo che gli afghani risolvano da soli i loro problemi. […] Gli Stati Uniti non sono più disposti a combattere le guerre degli altri”, per cui “l’UE dev’essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti”. L’Alto Rappresentante ha poi sottolineato come il rafforzamento delle capacità militari europee e l’acquisizione di una maggiore autonomia dall’alleato d’oltreoceano non siano da intendersi come dannosi per l’alleanza atlantica, perché un rapporto più equilibrato tra gli Stati Uniti e i Paesi europei e un maggiore coinvolgimento del vecchio continente a garanzia della sicurezza internazionale non possono che essere di beneficio per la NATO. Come ribadito dallo stesso Borrell, il 1 settembre, nelle pagine del New York Times, infatti: “un’UE strategicamente più autonoma e militarmente più capace sarebbe in grado di affrontare meglio le sfide che emergeranno nel vicinato e oltre. Questo sarebbe una manna per gli Stati Uniti e nell’interesse dell’Alleanza atlantica. In fin dei conti, ogni partnership necessita di alleati capaci e di fiducia reciproca”.

L’urgenza di una maggiore autonomia europea è stata resa evidente, in particolare, dal fatto che le tempistiche e le modalità del ritiro siano state perlopiù decise a Washington e che l’Europa non abbia saputo contribuire alla garanzia della sicurezza dell’aeroporto di Kabul e si sia così trovata a dipendere, per il completamento in sicurezza dell’evacuazione, dagli USA. Su questo secondo aspetto l’Alto Rappresentante ha insistito più volte, non soltanto dalle pagine dei giornali, ma anche in occasione della conferenza stampa tenutasi al termine della riunione informale dei ministri della difesa che si è svolta in Slovenia l’1-2 settembre scorsi. In quel frangente, Borrell ha dichiarato: “dobbiamo incrementare la nostra capacità di agire autonomamente quando e dove necessario. Eravamo pronti a inviare un contingente per la messa in sicurezza del perimetro dell’aeroporto di Kabul? No, gli americani lo erano, noi no. Se vogliamo essere in grado di agire autonomamente e non dipendere dalle scelte fatte da altri – anche se si tratta dei nostri amici e alleati – dobbiamo sviluppare le nostre capacità” (nonché la determinazione a utilizzarle). Anche il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha posto l’accento sulla questione, tanto nel discorso con cui ha dato inizio al Forum Strategico di Bled dell’1 e 2 settembre, quanto attraverso un suo intervento scritto del 2 settembre: “in quanto potenza economica e democratica mondiale, l'Europa può forse accontentarsi di una situazione in cui non è in grado di garantire, senza assistenza, la sicurezza e l'evacuazione dei suoi diplomatici, dei suoi cittadini e delle persone minacciate per averci aiutato? […] Di quale altro importante evento geopolitico abbiamo bisogno perché l'Europa ambisca a conseguire una maggiore autonomia decisionale e una maggiore capacità d'azione?”.

Il motivo di una tale insistenza sulla condizione di dipendenza dagli Stati Uniti di cui l’Unione e i suoi Stati membri hanno fatto esperienza per il mantenimento in sicurezza dell’aeroporto internazionale di Kabul – e dunque il completamento dell’evacuazione – va ricercato tra le proposte attualmente oggetto di discussione tra i ministri della difesa europei per una rinnovata Politica di Sicurezza e Difesa Comune. Nel giugno del 2020 ha preso il via il processo di elaborazione di un nuovo documento strategico d’indirizzo della Politica di Sicurezza e Difesa Comune – lo Strategic Compass, o “bussola strategica” –, nell’ambito del quale gli Stati membri hanno avuto modo di discutere diverse proposte volte a fare dell’Unione un security provider credibile e a garantirne l’autonomia strategica. Tra di esse spicca quella, preannunciata dallo stesso Alto Rappresentante Borrell ma ancora oggetto di confronto tra gli Stati membri, dell’istituzione di una Initial Entry Force europea, un corpo di 5000 soldati pronto a intervenire rapidamente in scenari di crisi in cui il Consiglio ritenga necessario il suo dispiegamento, per missioni della portata, per esempio, proprio della messa in sicurezza di un aeroporto. Secondo le anticipazioni dell’Alto Rappresentante, all’Initial Entry Force dovrebbero contribuire contemporaneamente tutti gli Stati membri con un proprio contingente, a differenza di quanto accade per i gruppi tattici (battlegroups) – a cui non si sostituirebbe. I gruppi tattici, istituiti nel 2004 per effetto dell’Headline Goal 2010, non sono mai dispiegati: per questo, secondo quanto dichiarato da Borrell a margine della riunione informale dei ministri della difesa tenutasi l’1 e 2 settembre, sarebbe necessario dare vita a una formazione distinta e “più operativa”.

La bozza finale dello Strategic Compass, di cui è prevista l’adozione nel marzo 2022, dovrebbe vedere la luce nel mese di ottobre o novembre: solo allora si avrà modo di verificare se la proposta di una Initial Entry Force avrà raccolto il sostegno degli Stati membri e, più in generale, se l’Unione avrà fatto tesoro delle lezioni apprese dalla crisi afgana, muovendo finalmente un passo deciso verso la realizzazione di una difesa realmente europea e verso il conseguimento di una maggiore autonomia.

Share the post

L'Autore

Irene Boggio

Tag

Unione Europea difesa strategic compass initial entry force integrazione europea