La condizione delle donne partorienti e il fenomeno della violenza ostetrica

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  Sara Scarano
  22 November 2021
  6 minutes, 27 seconds

Poiché la maternità è intrinseca nella condizione femminile, quando si esamina tale delicato momento della vita delle donne è necessario prendere in considerazione questioni relative all’equità di genere ed alla violenza di genere. È significativo, infatti, come il riconoscimento di diritti propri delle donne in condizione di gravidanza e, soprattutto, la garanzia di godere di diritti specifici legati al momento del parto non siano garantiti a livello universale.

Infatti, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fa solo indirettamente riferimento alle donne in qualità di “madri”, attraverso un riconoscimento, dai toni paternalistici, della maternità come concetto da tenere sotto speciale considerazione. L’Articolo 25 attribuisce alle donne in gravidanza un vago diritto a cure ed assistenza specifiche, lasciando un margine d’azione arbitraria ai singoli stati nel decidere le modalità di erogazione di assistenza sanitaria per la maternità, spesso vincolate a specifici termini e condizioni che non prioritizzano i bisogni delle future madri. Nel 1981 fu emanata la Convezione sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione della Donna (CEDAW), finalizzata alla protezione dei diritti civili, politici, sociali, culturali ed economici delle donne, senza tuttavia menzionare in alcun modo i diritti legati alla maternità o alcuna forma di protezione da violenze perpetrate durante la gravidanza. La CEDAW, infatti, non riconosce esplicitamente neppure l’enorme impatto fisico, psicologico e socioeconomico che una gravidanza può avere sulle donne. Nel 1993, infine, fu introdotta la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, in cui, tuttavia, ancora non è presente alcuna menzione della violenza di genere nei confronti delle donne nelle strutture mediche.

Le conseguenze di una tale lacuna legislativa impattano fortemente sulla vita delle donne in gravidanza, portando alla manifestazione di fenomeni quali quello della violenza ostetrica. Per violenza ostetrica s’intende un abuso realizzato nell’ambito delle cure ostetrico-ginecologiche e commesso dagli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecologo, ostetrica o altre figure professionali). Si ha violenza ostetrica ogni volta che la donna perde autonomia in relazione alla propria sessualità ed alla propria condizione di gravidanza, tramite pratiche quali abuso fisico, abuso verbale, impiego di procedure mediche coercitive e non acconsentite dalla paziente, assenza di consenso informato nella scelta del trattamento, violazione delle privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, e negligenza nell’assistenza al parto.

Il termine è apparso per la prima volta in Sud America, quando alcune organizzazioni non governative e gruppi femministi cominciarono a lottare in modo sistematico per un miglior accesso delle donne al servizio sanitario. Il primo riconoscimento ufficiale e giuridico della violenza ostetrica è avvenuto proprio in un paese dell’America Latina: nel 2007 il Venezuela vede la nascita della “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia”, in cui la violenza ostetrica viene definita come «Appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna».

L’espressione si è poi diffusa nel mondo anglosassone e più recentemente nel resto d’Europa, indice dell’inizio di un processo di maggior legittimazione delle testimonianze femminili riguardo al fenomeno in sé, alla loro esperienza con la sessualità e con la riproduzione, nonché indicativo di un maggior attivismo delle donne stesse. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha descritto il fenomeno della violenza ostetrica come profondamente rappresentativo delle disuguaglianze di genere che sfociano in forme di violenza specifiche commesse in seno al sistema sanitario. Nel documento “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere” [1] pubblicato dall’OMS nel 2014, si esplicita come questi trattamenti non solo violano «il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa», ma possono anche «minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione».

Tra le procedure a cui le donne vengono maggiormente sottoposte nelle circostanze di una violenza ostetrica vi è il parto cesareo non necessario: una ricerca condotta nel 2016 da Optibirth [2] attribuisce un alto numero di cesarei non necessari al progressivo “processo di medicalizzazione che condiziona l’autonoma scelta delle donne”, portando i medici preposti a preferire l’effettuazione di un cesareo in quanto procedura più rapida. Tale forma di violenza ostetrica e spesso collegata al cosiddetto maternal grooming, ovvero il modo in cui le aspettative delle donne di avere un parto sicuro e rispettoso vengono alterate attraverso discussioni medico-paziente che si svolgono in visite prenatali o in contesti di nascita. Durante tali discussioni, il personale medico spesso ridefinisce i termini in cui viene concepita la “sicurezza” della donna e del neonato durante il parto, focalizzando l’attenzione su potenziali controindicazioni che possono manifestarsi durante la gravidanza e, di conseguenza, prescrivendo esami senza spiegazioni – compresi test aggiuntivi e non necessari come ripetere le ecografie a termine tardivo – e ponendo l’accento su eventuali anomalie materne che porteranno a maggiori interventi nel momento della nascita o all'incapacità di partorire senza interferenze. Il fenomeno della violenza ostetrica è ulteriormente aggravato da fattori quali appartenenza della donna ad altre etnie, status di donna migrante, età della partoriente e sua condizione sociale o economica.

Al momento in Italia non esiste una raccolta ufficiale di dati sulla violenza ostetrica. È l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (OVOItalia) che si occupa di raccogliere dati e testimonianze di violenza ostetrica per rendere visibile il fenomeno. Nel 2017 l’osservatorio ha riportato l’indagine Doxa “Le donne e il parto” [3] (condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni), in cui la principale esperienza negativa riportata dalle donne durante la fase del parto è la pratica dell’episiotomia, subita dal 54% delle intervistate e praticata senza il consenso informato della partoriente. L’episiotomia è un’incisione chirurgica del perineo, ovvero l’area compresa tra la vagina e l’ano, praticata durante il parto per allargare l’apertura vaginale quando la testa del bambino comincia a spuntare, pratica che anche l’OMS definisce ad oggi «dannosa, tranne in rari casi».

Contro il fenomeno della violenza ostetrica in Italia è stata avanzata una proposta di legge nel maggio del 2016, ovvero “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico”, a prima firma di Adriano Zaccagnini (Mdp). L’intento della proposta di legge è la promozione della salute materno-infantile tramite il rispetto dei diritti della donna, chiedendo di ridurre il ricorso a pratiche quali taglio cesareo non necessario, parto vaginale operativo e, in generale, a tutte le pratiche lesive dell’integrità psico-fisica della donna, incluse episiotomia, uso della ventosa o del forcipe, rottura artificiale delle membrane, induzione farmacologica del travaglio e ogni forma di umiliazione verbale. Si chiede, inoltre, di assicurare il diritto delle donne al consenso informato e libero ai trattamenti medici durante il travaglio e il parto, nonché, in generale, una maggiore trasparenza delle aziende sanitarie.

Fonti consultate per il presente articolo:

[1] WHO_RHR_14.23_ita.pdf;jsessionid=15EC7E4522C7BE078DC50FB3B918084D

[2] Presentati a Roma i risultati di Optibirth, uno studio europeo per la riduzione dei cesarei | Aogoi

[3]Indagine Doxa-OVOItalia | Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (OVOItalia) (wordpress.com)

Che cos'è la violenza ostetrica - Il Post

Human Rights in Childbirth.pdf (ohchr.org)

Microsoft Word - Final_Respectful_Care_Charter_12-15-11.docx (who.int)

Violenza ostetrica: cos'è? (laleggepertutti.it)

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Sara Scarano

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Diritti Umani Società

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