La Brexit “scoraggia” gli studenti europei e non solo

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  Redazione
  01 October 2021
  4 minutes, 38 seconds

Per la prima volta, cala il numero degli studenti europei nel Regno Unito; l’università inglese è destinata, quindi, a diventare sempre più inglese. La colpa del crollo degli studenti europei è da attribuire sicuramente alla Brexit - e al conseguente raddoppio delle tasse universitarie - ma anche alla pandemia da Covid-19.

Secondo i dati diffusi da Ucas (Servizio delle Ammissioni ai College e alle Università del Regno Unito), gli studenti che arrivano dal Vecchio Continente si sono ridotti del 59% e sono passati dai 27.510 dello scorso anno a solo 11.390, meno della metà. Inoltre, tra i nuovi iscritti, i britannici sarebbero l’89%, il 3 % in più rispetto all’anno scorso. Si tratterrebbe del primo aumento registrato dal 2000, anno in cui le università britanniche hanno iniziato ad essere un punto di riferimento per i giovani a livello internazionale.

Secondo, invece, la DataHE - società che si occupa di raccolta dati nell’ambito universitario - il numero degli studenti europei si è ridotto come non era mai successo prima. Questo calo riguarda soprattutto Polonia e Bulgaria, dove il reclutamento di allievi è stato inferiore dell’80% rispetto al passato. Tutto ciò non sorprende in quanto, a causa della Brexit, i corsi appena iniziati questo autunno costeranno agli allievi europei il doppio rispetto alla somma richiesta agli inglesi. In questo senso, le conseguenze più gravi si subiscono in Scozia, dove fino all’anno scorso gli studenti europei non pagavano nulla e da quest’anno, invece, dovranno pagare le tasse al livello più alto. Per questo motivo, quest’anno gli studenti scozzesi occuperanno il 74% dei posti disponibili, rispetto al 71% dell'anno scorso.

Tutto ciò non sembra avere conseguenze gravi a livello economico, in quanto in questo modo ci sarà più spazio per gli studenti extra-europei, disposti a investire di più nell’istruzione inglese. Le conseguenze più gravi ricadono però sulla ricchezza dell’ambiente universitario del Regno Unito, che ha sempre beneficiato della cultura variegata dei suoi studenti raggiungendo livelli molti alti nell'ambito della ricerca.

Ma come funziona per chi decide di studiare comunque nel Regno Unito?

Gli studenti europei che attualmente stanno studiando nel Regno Unito o che hanno iniziato i loro studi prima di luglio 2021 pagheranno le tasse e avranno le stesse facilitazioni finanziarie degli studenti britannici per tutta la durata del loro corso di studi. Da agosto 2021, invece, gli studenti che si recano nel Regno Unito per studiare dovranno richiedere un visto; i corsi di lingua di durata inferiore a 6 mesi sono esenti da questo requisito.

Il governo inglese ha anche deciso di abbandonare il progetto Erasmus e di lanciare il programma di scambio internazionale chiamato Alan Turing - nome che deriva dal matematico inglese che, durante la Seconda Guerra mondiale, inventò una macchina in grado di decodificare i codici dell’Enigma Machine dei nazisti. I progetti Erasmus che erano già stati avviati continueranno per la loro intera durata.

Conseguenze anche sul mondo del lavoro

La Brexit non ha avuto conseguenze negative solo sulle iscrizioni universitarie: anche il mondo del lavoro risente dell’uscita dall’UE. Il settore dell’ospitalità è quello più colpito, in quanto il nodo dei minimi salariali e dei contratti flessibili scoraggiano gli inglesi ad accettare posti di lavoro. Prima della pandemia, l’85% degli chef erano immigrati e il 50% della forza lavoro nel settore dell’ospitalità era europea. Per colpa del Covid-19, molti di questi lavoratori - in particolare cuochi, camerieri, baristi, muratori e braccianti agricoli - sono rientrati nei loro Paesi. La maggior parte di loro non rientrerà più sull’isola non per scelta propria, ma perché ora l’ingresso alla frontiere - anche per gli europei - è regolato da un rigido sistema a punti simile al modello australiano. Per passare la dogana sono necessari un visto, un contratto di lavoro e il denaro necessario a dimostrare di potersi mantenere.

La questione è molto sentita dai sindacati, che incitano il sindaco londinese Sadiq Khan a risolvere il problema dei minimi salariali e dei contratti flessibili cosiddetti a “zero ore” (vengono pagate solo le ore effettivamente lavorate), problema che scoraggia gli inglesi ad accettare posti di lavoro nel settore dell’ospitalità.

Ma questo non è l'unico settore a trovarsi in una situazione allarmante: nel comparto agricolo mancano circa 30mila braccianti, mentre il settore edile ha visto l’esodo del 42% di europei e conta solo un 4% di lavoratori inglesi, molti dei quali si trovano già in età pensionabile.

Il problema, tuttavia, ricade non solo su chi vuole entrare nel Paese, ma anche su chi ancora risiede nel Regno Unito. Dal primo luglio, anche chi ha vissuto nel Paese da tutta una vita, se non ha il cosiddetto Settled Status, diventerà un immigrato irregolare e non avrà accesso all’assistenza sanitaria. Prima della Brexit, infatti, i cittadini europei che vivevano e lavoravano nel Regno Unito avevano un particolare status riconosciuto dall’UE, ovvero quello della permanent residence. Con la Brexit, questo status è decaduto ed è stato sostituito dal Settled Status, che però è un istituto britannico e non più europeo. Oltre 5 milioni e mezzo di europei hanno fatto domanda, ma si stima che all’appello manchino ancora centinaia di persone.

A cura di Lorena Radici.

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