Iron Girls: le donne ai tempi di Mao

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  Redazione
  14 March 2019
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Quando si parla della questione di genere in Cina, il periodo della Rivoluzione Culturale (1966-1976) è concepito come uno dei momenti in cui si raggiunse una relativa parità di genere, in particolare nel mondo del lavoro. Questa visione della condizione delle donne è stata portata avanti dalla propaganda maoista dell’epoca con lo slogan “Whatever men comrades can accomplish, women comrades can too” ovvero “Qualsiasi cosa i compagni possono fare, lo sanno fare anche le donne”. Coloro che rappresentavano al meglio questa idea di donna erano le Iron Girls: giovani forti e robuste, capaci di compiere lavori che di solito venivano affidati agli uomini. Le donne di ferro sfidavano ogni limite imposto da una biologica debolezza e le ragazze della Rivoluzione Culturale si ispiravano a loro nella vita di tutti i giorni. Le Iron Girls venivano glorificate dai media che raccontavano delle loro gesta fuori dal comune. Questo modello viene visto come l’emblema della relativa parità di genere raggiunta in questo periodo storico non solo in Cina ma anche dagli studiosi in Occidente.

Iron Girls: vero simbolo di emancipazione femminile in Cina?

Secondo la studiosa Emily Honig la rilettura della Rivoluzione Culturale in chiave progressista non è corretta. Infatti il modello delle Iron Girls è particolarmente controverso e l'intenzione della Rivoluzione Culturale non era quella di affrontare la questione di genere. Da una parte si può affermare che questo modello sfidava la tradizionale divisione del lavoro maschi-femmine dando la possibilità alle donne di compiere dei lavori che prima potevano essere svolti solo dagli uomini ma, dall’altra parte, questo esempio femminile non rivoluzionava il ruolo delle donne nella società cinese. Il modello delle Iron Girls prendeva in considerazione solo l’aspetto del lavoro e non affrontava altri temi della questione femminile. I media continuavano a sottolineare che la casa e la famiglia rimanevano il settore di appartenenza delle donne. L’ambivalenza dell’immagine delle Iron Girls viene bene rappresentata da un balletto chiamato “Red Detachment of Women”. Spesso questo balletto fu utilizzato come simbolo della propaganda della Rivoluzione Culturale per dimostrare la forza, il potere e le capacità delle donne. Basato su fatti realmente avvenuti, l’opera racconta un evento successo a Hainan e parla della storia di una giovane schiava, Wu Qinghua, che riesce a liberarsi dal suo padrone usando la forza. Aggregandosi in seguito ad altre donne appartenenti ad un gruppo di guerriglia, esse riuscirono a sbarazzarsi dei padroni locali dell’isola. Secondo documenti storici sarebbe stato una militante donna ad organizzare la rivolta ed a insegnare alle altre l’uso dei fucili, ma nella versione del balletto questa figura venne sostituita da quella di un uomo e questo dimostra quanto ancora la questione di genere non fosse l’obiettivo finale della Rivoluzione Culturale e del modello delle “donne di ferro”.

Oltre alla propaganda dello stato, un altro punto di vista per analizzare la narrativa delle Iron Girls è quello di leggere le testimonianze delle donne stesse che in quel periodo facevano parte della “Sent down Youth. Con questa espressione si indica giovani studenti urbani, i quali vennero spediti nella campagna a scopo “rieducativo” durante gli anni ‘60. Nonostante non ci siano molti dati riguardanti quel periodo, le testimonianze di alcune giovani che facevano parte di questo movimento possono contribuire a fornire un’immagine più vivida del ruolo delle donne nel periodo della Rivoluzione Culturale e in particolare della divisione dei ruoli nel lavoro in campagna. Per alcune di loro questa fu un’esperienza positiva ed entusiasmante: furono in grado di mostrare la loro forza, superare dei limiti e guadagnare la fiducia in loro stesse che non avrebbero potuto ottenere se fossero rimaste in città. Per esempio, ci sono testimonianze come quella di Naihua Zhang in “In a World together yet Apart: Urban and Rural Women Coming of Age in the Seventies” nel quale l’autrice ricorda la sua gioventù in un villaggio remoto della Manciuria. In questa sua esperienza ebbe la possibilità di condurre alcuni esperimenti per il miglioramento della produzione del grano insieme ad altre due ragazze della campagna che, in seguito, divennero le sue migliori amiche. La testimonianza di Naihua Zhang fornisce una chiara rappresentazione di come la questione femminile non fosse completamente affrontata dalla Rivoluzione Culturale. Il futuro delle donne nate nei villaggi rurali era completamente diverso da quello della giovane studentessa di città. La vita delle prime sarebbe stata determinata da chi avrebbero sposato, mentre Naihua Zhang avrebbe avuto la possibilità di tornare e trovare un lavoro.

Da quanto si evince da questi articoli, l’immagine delle Iron Girls non è che mera propaganda e servì agli scopi della Rivoluzione Culturale. L’idea che le donne possano lavorare bene come gli uomini è rappresentata anche nello slogan usato durante la Seconda Guerra Mondiale “We can do it. Entrambi i motti citati rappresentano una parità di genere relativa; le donne non hanno una loro dimensione, ma possono al massimo ambire ad “essere come gli uomini”. Sicuramente questo può essere visto come un passo avanti nella questione di genere, ma la soluzione dei problemi legati al ruolo delle donne nella società non può limitarsi solo a questo.

Honig, Emily. 2000. «Iron Girls Revisited: Gender and the Politics of Work in the Cultural Revolution, 1966-76». in Entwisle and Henderson (eds.) Redrawing Boundaries.

Zhang, Naihua. 2001. «In a World together yet Apart: Urban and Rural Women Coming of Age in the Seventies», 1–26.

A cura di Silvia Passoni

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