Inflazione parte 1: vogliamo davvero prezzi bassi e fissi?

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  Davide Bertot
  12 May 2021
  5 minutes, 49 seconds

L’aumento generalizzato di prezzi e salari, ovvero l’inflazione, è una delle dimensioni macroeconomiche più importanti e discusse della modernità, ed è l’argomento di questo e altri due articoli.

Nei prossimi pezzi vedremo due esempi pratici, per questo oggi dobbiamo concentrarci sul capire cos’è l’inflazione, perché è un problema e quando invece potrebbe essere meglio delle alternative.

Cos’è l’inflazione?

Il tasso d’inflazione misura la crescita percentuale del livello dei prezzi, e un prezzo è sostanzialmente il tasso a cui scambiamo denaro per beni e servizi. Infatti, la macroeconomia classica ci dimostra che nel lungo periodo la crescita dell’offerta di moneta (la quantità di denaro circolante in un’economia) è il principale determinante dell’inflazione. E dal momento che le banche centrali controllano l’offerta di moneta, in pratica controllano anche il tasso di inflazione.

Inoltre, l’inflazione è essenziale per analizzare i tassi di interesse. Questo perché il tasso d’interesse nominale (la cifra che materialmente viene pagata come interesse) è diverso dal tasso d’interesse reale (il valore reale dei soldi guadagnati su un prestito): quando i prezzi salgono, il valore reale del denaro (la quantità di beni e servizi acquistabili con esso) diminuisce, e quindi il tasso d’interesse reale è uguale al tasso d’interesse nominale meno il tasso di inflazione.

Ma è davvero una cosa così grave?

Così definita, l’inflazione può sembrare l’ennesimo concetto economico difficile e inutile per la vita. Tuttavia, bisogna ricordarsi di tutti gli esempi che mostrano come un’inflazione eccessiva o iperinflazione (aumento dei prezzi di almeno il 50% mensile) può avere conseguenze devastanti: primo fra tutti, l’iperinflazione che colpì la Germania nel 1922-1924, considerata una delle cause dell’ascesa al potere di Hitler.

Ma se aumentare l’offerta di moneta causa l’inflazione, perché mai le banche centrali dovrebbero stampare così tanta moneta?

In realtà, il controllo dell’offerta di moneta ha vari benefici dal punto di vista economico, in particolare per stabilizzare l’economia nel breve periodo. Ma stampare moneta può anche servire ad un governo per finanziare le proprie spese. Questo fenomeno, chiamato signoraggio, danneggia però tutti coloro che possiedono denaro, perché così facendo quel denaro potrà comprare meno beni. Questa tassa da inflazione è considerata l’ultima spiaggia di un governo che non riesce ad ottenere altre entrate magari per instabilità politica, proprio perché è impossibile da evadere, non ha alcun costo di riscossione e colpisce tutta la popolazione. Tuttavia, il signoraggio rimane una mossa rischiosa, in quanto l’inflazione che ne deriva riduce anche il valore del nuovo denaro e quello riscosso dalle altre tasse, costringendo la nazione a doverne stampare sempre di più per continuare a finanziarsi. Infatti, affidarsi al signoraggio è spesso una delle cause dell’iperinflazione.

Quindi l’inflazione mi riduce lo stipendio?

In realtà, pensare che l’aumento dei prezzi ci renda più poveri è normale ma sbagliato. È vero che nel breve periodo, quando gli stipendi sono fissi, l’inflazione riduce il nostro potere d’acquisto, ma è anche vero che nel lungo periodo un cambiamento del livello dei prezzi è come un cambiamento nell’unità di misura: i numeri diventano più grandi, ma nulla cambia realmente.

L’inflazione può essere un problema per altri costi più indiretti, quelli legati alle distorsioni causate dalla volatilità dei prezzi. Ma quali sono?

Se il tasso d’inflazione è quello previsto, le conseguenze principali sono i costi di aggiustamento dei listini (anche detti “costi di menu” in riferimento al costo di ristampo dei menu), la variabilità dei prezzi relativi (le imprese cambiano i prezzi in momenti diversi rispetto al cambiamento generale, causando inefficienze nella distribuzione delle risorse), l’immobilità di alcune tasse (che non considerano l’inflazione, facendo pagare la stessa cifra nonostante il guadagno reale possa essere più basso), e il fatto che la variazione del valore del denaro ostacola la pianificazione finanziaria nel lungo periodo (ad esempio quanto risparmiare per la pensione e quanto spendere oggi).

Possono sembrare cose triviali, ma più alto è il tasso d’inflazione, più frequentemente questi costi pesano sulla società. In più, quando l’inflazione reale è diversa da quella prevista, a tutto ciò si aggiunge la ridistribuzione arbitraria della ricchezza fra creditori e debitori: qualcuno guadagna più di quanto dovrebbe a discapito degli altri, perché il valore reale degli interessi è diverso da quanto previsto.

Tutto questo genera insicurezza, e più l’inflazione è alta più diventa imprevedibile. Infatti, l’iperinflazione ha un effetto così disastroso proprio perché aumenta esponenzialmente questi costi e rende molto difficile utilizzare una valuta come mezzo di scambio e unità di misura, inducendo spesso ad utilizzare una valuta estera più stabile, o persino il baratto, al posto della propria.

Allora non sarebbe meglio avere prezzi stabili o diminuirli?

Contenere l’inflazione è un mantra di molte istituzioni, ma questo non significa che un’inflazione nulla o negativa sia per forza la soluzione.

Innanzitutto, l’inflazione può avere anche dei benefici: ad esempio, un’inflazione moderata può aiutare a regolare il mercato del lavoro, contribuendo a prevenire un aumento della disoccupazione.

Inoltre, avere prezzi che non variano mai può essere uno svantaggio: un’inflazione moderata rende possibile l’utilizzo della politica monetaria, che agisce sui tassi d’interesse, per stimolare l’economia, mentre con inflazione nulla i tassi d’interesse non possono scendere sotto lo zero e in caso di recessione la banca centrale non può fare nulla per aiutare la ripresa. In più, nel breve periodo esiste un trade-off fra inflazione e disoccupazione, perché per ridurre l’inflazione il governo deve ridurre la domanda di beni e servizi, riducendo il PIL e aumentando la disoccupazione.

Stesso discorso vale per una deflazione. Benché una diminuzione dei prezzi aumenti il potere d’acquisto del denaro, essa può avere anche effetti destabilizzanti: se la deflazione è prevista, questo fa aumentare i tassi d’interesse reali e riduce l’investimento, riducendo così la produzione e aumentando la disoccupazione. Quando invece è imprevista (il livello dei prezzi è più basso di quanto ci si aspettasse), i debitori pagano con soldi che valgono più di quello che si aspettavano, diminuendo il proprio potere d’acquisto e facendo meno acquisti di prima. Dato che i debitori tendono a spendere più dei creditori, il loro comprare meno riduce la spesa generale, diminuendo il reddito nazionale e aumentando la disoccupazione. Molti economisti ritengono addirittura che la Grande Depressione degli anni 30 sia stata dovuta principalmente all’enorme diminuzione dei prezzi del 25% fra il 1929 e il 1933, che ha trasformato una tipica recessione in una depressione senza precedenti.

L’inflazione, quindi, se tenuta a livelli moderati può essere uno stimolo per la crescita economica, ma se non controllata può causare danni per moltissime persone. Questo ci dimostra che l’economia ha un impatto sulle nostre vite, e riconoscere quando le sue componenti sono benefiche o dannose può migliorare o salvare la vita a milioni di persone.

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Davide Bertot

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Economia