Il living giapponese e italiano: quali i cambiamenti e le opportunità?

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  Redazione
  19 February 2021
  4 minutes, 20 seconds

Conosciuta in tutto il mondo per il suo effetto minimalista e naturale, l’architettura di interni giapponese si è sviluppata nei secoli, evolvendosi in base alle necessità abitative e all’utilizzo distintivo degli spazi. Uno dei primi esempi di letteratura sul tema risale al 1886, quando Edward Morse, iamatologo americano, pubblicò il suo libro Japanese Homes and their Surroundings, in cui analizzava le particolarità della casa giapponese e le differenze incontrate rispetto ai luoghi abitativi americani.

Uno degli aspetti da lui segnalato con più interesse è la semplicità delle rifiniture, l’assenza di grandi quantità di oggetti e un generale senso di vuoto. Le motivazioni dietro a queste caratteristiche sono state studiate da architetti e antropologhi, indagando sull'esistenza di una possibile correlazione tra il minimalismo degli interni e l’estetica basata sulla filosofia Zen. Pochi oggetti, mobili necessari e illuminazione soprattutto naturale costituiscono gli elementi fondamentali per la creazione di uno spazio caratterizzato da armonia ed eleganza. Il concetto di shibumi, eleganza appunto, trova un’applicazione nell’utilizzo di materiali come il legno e il bambù, promuovendo la costituzione di uno spazio illuminato e leggero. Complice anche l’alta frequenza di terremoti nel territorio giapponese e abitazioni sempre più ridotte (specie nelle grandi metropoli), la leggerezza di questi materiali e la tendenza ad utilizzare un numero non troppo elevato di mobili contribuiscono alla creazione di uno spazio armonico. In aggiunta, l’utilizzo quasi totalmente inesistente di porte, a favore di pannelli scorrevoli e di strutture separatorie mobili, enfatizza l’apertura e la dispersione dello spazio, non soggetto a una definizione strutturale.

Nella letteratura sul tema, il minimalismo giapponese dell’epoca premoderna viene contrapposto al consumismo e al possesso di beni di natura statunitense ed europea. La casa tradizionale giapponese di campagna, infatti, chiamata sukiya-zukurisi rifà all’aggettivo suki, ovvero raffinato, delicato. Caratterizzata da uno spazio aperto e da una diretta apertura sul giardino esterno, essa è solitamente composta da una cucina con vista sul salone (chanoma), con tatami che ricoprono la pavimentazione e che ne determinano la metratura. Se per le villette collocate fuori dalle grandi metropoli ancora oggi la cucina e il salone assumono un ruolo centrale nella disposizione volumetrica, con l’aumentare della densità abitativa nelle capitali lo spazio abitativo va gradualmente diminuendo, privilegiando soluzioni di arredo compatte, necessarie e omologate.

La cucina diviene, soprattutto negli ultimi anni, un bene di lusso: proprio per questo sono numerose le aziende che hanno adottato nuove tecniche, reinventandosi secondo i bisogni della clientela e secondo i cambiamenti avvenuti nella società contemporanea. Se da un lato sono molte le aziende, anche nipponiche e internazionali, che hanno riadattato la loro offerta, dall’altro numerose aziende di arredamento in Europa hanno ideato collezioni molto vicine al living nipponico, costituite da mobili bassi, colori caldi, illuminazione con effetto naturale e l'utilizzo di materiali semplici e chiari. Il ritorno al minimalismo giapponese in Europa è stato anche conseguenza di fiere ed esposizioni varie: una fra tutte la Milano Design Week, dove nel 2015 ha preso forma il progetto irori, con la costruzione di una cucina che coniugava il living italiano con quello nipponico. Le stoviglie di derivazione europea sono state poste su un tavolo basso, sormontato da un tunnel-origami in carta pressata. Da ricordare è anche il grande successo che il Padiglione del Giappone ha avuto in occasione di Expo 2015: progettato e realizzato dall’architetto Atsushi Kitagawara, il padiglione ha rappresentato un perfetto connubio tra cultura giapponese tradizionale e tecnologia, con un ampio utilizzo di legno e materiali fortemente presenti nella disciplina architettonica giapponese.

Un crescente interesse per lo stile giapponese del living è stato ulteriormente accentuato da programmi come quelli di Marie Kondo, paladina del minimalismo di interiori e della riutilizzazione degli spazi. Come abbiamo visto in precedenza, l’influenza è stata però reciproca, soprattutto negli ultimi anni dopo l’entrata in vigore dell’EPA: se l’arredamento giapponese in Europa e in Italia attira sempre più consumatori, il living italiano costituisce una parte fondamentale dell’export in Giappone. Il mercato giapponese dell’arredamento costituisce di per sé un fatturato di circa 22 miliardi di euro, con un incremento costante delle importazioni da parte di Paesi europei. Tra questi, l’Italia occupa una posizione di rilievo, sottolineando l’interesse per l’architettura di interni di stampo europeo e, più in particolare, per il living italiano. La prova per molte aziende sta nel riadattamento dell’arredamento tradizionale e degli spazi proposti: se per molti in Europa la cucina e il salotto rappresentano una parte fondamentale della casa, nello spazio abitativo giapponese si può assistere, come abbiamo avuto modo di notare, ad un cambiamento nella struttura interna.

Grandi aziende di arredamento italiano stanno cogliendo la sfida, con analisi di mercato sempre più dettagliate e con utilizzo di tecnologie all’avanguardia: l’obiettivo rimane quello di potersi imporre sul mercato nipponico, proponendo soluzioni adatte ai bisogni del cliente, senza scostarsi troppo dalla tradizione, motivo di forte interesse.

Fonti consultate per il presente articolo:

Daniels, I. M. (2001). The ‘untidy’Japanese house. Home Possessions, 201-230.

https://oec.world/en/profile/b...

https://www.ambientecucinaweb....

https://www.statista.com/stati...

https://unsplash.com/photos/10...


a cura di Irene Molino 

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