Il diritto alla disconnessione nell’era dello smart working

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  Sara Scarano
  06 November 2021
  6 minutes, 4 seconds

A quasi due anni dallo scoppio della pandemia da Covid-19, lo smart working è passato dall’essere una misura emergenziale dettata dall’esigenza di continuare a svolgere il proprio lavoro nonostante le limitazioni date dall’emergenza sanitaria, all’integrarsi nella realtà lavorativa dell’epoca post-pandemica. Secondo una ricerca condotta da Eurofound [1], dall’inizio della pandemia il lavoro da casa è aumentato di quasi il 30% e le persone che lavorano da remoto hanno più del doppio delle probabilità di lavorare oltre il picco massimo di 48 ore settimanali. Non essendoci più una ben definita demarcazione fisica e temporale del tempo di lavoro, le persone che si trovano in smart working subiscono la limitazione di essere spesso costrette a lavorare nel proprio tempo libero. L’utilizzo di strumenti digitali ha, infatti, portato alla nascita di una nuova condizione occupazionale di continua reperibilità che influisce negativamente sull’equilibrio di vita.

Sebbene l’utilizzo adeguato degli strumenti digitali abbia comportato numerosi vantaggi economici e sociali – tra cui flessibilità, maggiore autonomia e riduzione dei tempi di spostamento – gli stessi strumenti hanno creato svantaggi quali l’intensificazione del carico di lavoro e l’estensione dell’orario di attività. Una tale combinazione ha portato alla crescita di disturbi fisici e mentali, casi di ansia ed esaurimento, spesso scaturiti dalla ridotta concentrazione e dal sovraccarico cognitivo ed emotivo che l’utilizzo prolungato dei mezzi digitali può comportare. Inoltre, si presentano più frequentemente anche disturbi di carattere psicologico, l’assunzione prolungata di una postura statica e lo svolgimento di mansioni ripetitive attraverso i monitor, che possono provocare tensioni muscolari e problemi alla vista.

È alla luce di queste considerazioni che risulta palese l’importanza del riconoscimento del diritto alla disconnessione come diritto fondamentale per consentire ai lavoratori in smart working di astenersi dallo svolgimento delle proprie mansioni digitali al di fuori dell’orario di lavoro e garantire ferie ed altre forme di congedo.

Il periodo precedente alla pandemia ha visto un primo riconoscimento di tale diritto in Francia: la Loi du Travail del 2016 prevedeva espressamente che le aziende con un numero di dipendenti superiore a 50 si accordassero internamente per la regolamentazione del tempo libero, ovvero “offline”, del proprio personale e prevedeva, altresì, che al dipendente non potessero essere inviate e-mail, comunicazioni, messaggi o telefonate al di fuori dell’orario di lavoro. Uno stesso tipo di riconoscimento legislativo arrivò in Italia con la legge n. 81 del 2017, all’interno della quale sono contenute le prime misure a tutela di chi svolge la propria attività da remoto: «nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi». Tuttavia, tale legge non contempla un diritto alla disconnessione direttamente invocabile dal lavoratore: nell’art. 19 della stessa legge si affida direttamente all’accordo con cui si disciplina la modalità di lavoro da remoto l’individuazione delle «(…) misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro».

All’inizio dell’anno il Parlamento Europeo si è espresso in merito alla questione. Con la “Risoluzione del 21 gennaio 2021 recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione”, l’organo europeo ha chiesto l’adozione di una nuova direttiva ritenuta cruciale nell’ottica dell’obiettivo di transizione digitale: si enuncia, infatti, che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e sulle condizioni di lavoro. Viene, inoltre, fatto riferimento all'articolo 31 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, in cui si esplicita che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, sicurezza e dignità, così come a una limitazione dell’orario massimo di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito». Pertanto, il Parlamento sancisce il diritto alla disconnessione come diritto fondamentale nel quadro lavorativo della nuova era digitale. Esso è presentato come cruciale per la salute fisica e mentale dei lavoratori, oltre a determinare un miglioramento della qualità del lavoro grazie alla diminuzione di stanchezza e stress, livelli più elevati di soddisfazione sul lavoro e tassi più bassi di assenteismo. Nelle raccomandazioni sono inclusi anche principi di garanzia per la tutela dei lavoratori contro ogni forma di discriminazione sul lavoro connessa alla nuova modalità di lavoro agile, inclusi la tutela di dati personali e privacy, nonché contro ogni rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione, derivanti dal non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell’orario di attività prestabilito. Nella direttiva si precisa che le modalità pratiche per l’esercizio del diritto alla disconnessione da parte del lavoratore e per l’attuazione di tale diritto da parte del datore di lavoro dovrebbero essere concordate dalle parti sociali per mezzo di un accordo collettivo o a livello dell’impresa datrice di lavoro.

Sul fronte dell’ordinamento italiano si è arrivati al riconoscimento esplicito del diritto alla disconnessione per il lavoratore in smart working con la Legge n. 61 del 6 maggio 2021, di conversione al Decreto-Legge n. 30 del 13 marzo 2021. Con quest’ultimo, infatti, già si riconosceva il diritto alla disconnessione da strumentazioni digitali per l’attività lavorativa in modalità agile nel rispetto degli accordi già sottoscritti e, per il pubblico impiego, dell’eventuale contrattazione collettiva. Con la Legge n. 61/2021 si aggiungono maggiori tutele: il comma 1-ter dell’art. 2 recita, infatti, «Ferma restando, per il pubblico impiego, la disciplina degli istituti del lavoro agile stabilita dai contratti collettivi nazionali, è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L'esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».

In ultimo, la nuova bozza sul lavoro agile allo studio del ministro per la pubblica amministrazione a settembre prevede una divisione della prestazione lavorativa in tre fasce orarie. La prima è quella dell’«operatività», in cui il lavoratore dovrà sempre essere «nelle condizioni di essere operativo e, pertanto, di iniziare entro un brevissimo lasso di tempo i compiti e le attività» assegnate. La seconda è la fascia di «contattabilità», in cui potrà essere raggiunto da e-mail, messaggi e telefonate. Infine, la fascia di «inoperabilità», in cui il dipendente dovrà avere garanzia di un riposo che dovrà essere di undici ore consecutive, e ricomprenderà, «in ogni caso, il periodo di lavoro notturno tra le ore 22 e le ore 6 del giorno successivo». Il lavoro agile sarà assegnato in base ad accordi individuali tra l’amministrazione e il dipendente, e chi ha figli piccoli (minori di 3 anni), è portatore di handicap o assiste persone disabili, avrà un canale preferenziale.

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Sara Scarano

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Società

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