Il Consiglio Artico

Il Polo Nord come arena internazionale

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  Michele Bodei
  23 February 2022
  4 minutes, 46 seconds

Il Consiglio Artico è un forum internazionale che riunisce otto stati che si affacciano sul Mare Artico: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia – coinvolgendo anche le popolazioni indigene presenti nel Circolo Polare Artico. La sua istituzione risale alla firma della Dichiarazione di Ottawa nel 1996, avente lo scopo di monitorare e tutelare l’ambiente artico, minacciato dal surriscaldamento globale.

Il Consiglio si riunisce ogni sei mesi con la partecipazione dei membri attraverso gli alti funzionari artici (SAO). Il funzionamento si articola in sei gruppi di lavoro:

- Programma di monitoraggio e valutazione artico (AMAP)

- Protezione della flora e della fauna artiche (CAFF)

- Prevenzione, preparazione e risposta alle emergenze (EPPR)

- Protezione dell’ambiente marino artico (PAME)

- Gruppo di lavoro sullo sviluppo sostenibile (SDWG)

- Arctic Contaminants Action Programme (ACAP)

E due programmi d’azione: “Valutazione impatto sul clima artico” e “Rapporto sullo sviluppo umano dell’Artico”.

Il cambio della presidenza – che ruota tra gli otto stati membri – avviene ogni due anni con la Conferenza Ministeriale, a cui di solito partecipano i ministri degli esteri e nella quale il forum riassume i risultati raggiunti e fissa nuovi obiettivi di cooperazione.

Un interesse crescente nella regione

Che l’interesse intorno alla regione sia aumentato negli ultimi decenni si può nuotare dalla partecipazione di nuovi stati al forum. Con status speciale di osservatori permanenti sono presenti anche la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, Singapore, l’India, la Svizzera e l’Italia – in quanto gestisce la Base Artica Dirigibile Italia, nelle Isole Svalbard in Norvegia. A questi si aggiungono altri membri osservatori non permanenti: Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna e Unione Europea.

Il motivo di questo affollamento intorno alla regione? Prima di tutto l’aumento della sensibilizzazione intorno al problema dello scioglimento dei ghiacciai marittimi, ma in realtà sono in gioco altri fattori che catturano l’attenzione delle potenze mondiali che si trovano lontane dal Polo Nord. Uno di questi è la presenza di risorse energetiche e minerarie: si stima che nell’Artico si trovino il 13% delle riserve globali di petrolio non ancora scoperte e il 30% di quelle di gas naturale, oltre a una ricca presenza di carbone, piombo e nickel.
Seppur l’Unione Europea sia più interessata all’aspetto della tutela ambientale e alla transizione verde, è innegabile che l’estrazione di queste risorse sarebbe preziosa per il raggiungimento dell’autonomia strategica europea. La Russia sta già svolgendo estrazioni di idrocarburi - oltre ad aver aumentato la pesca, favorita dall’aumento delle temperature. Anche l’interesse di Pechino non è da sottovalutare e, seppur lontana, sta acquisendo basi e infrastrutture nell’Artico.

L’Artico come rotta navale e confine da difendere

Conseguenza inevitabile dello scioglimento dei ghiacci – accompagnato dallo sviluppo delle navi rompighiaccio - è l’aumento della navigabilità del Mare Artico, come accade già da tempo nei mesi estivi. Le nazioni che circondano il Polo Nord stanno diventando sempre meno distanti. L’estremo oriente potrà diventare più collegato con l’Europa e questo dettaglio non sfugge alla Cina e al Giappone. A ritenere quest’aspetto un’opportunità è soprattutto la Russia, che per il 2030 punta al trasporto di 150 milioni di beni lungo la rotta artica: infatti ha già investito oltre 8 miliardi in infrastrutture.

A svilupparsi non saranno solo gli scambi e i collegamenti, ma anche la competizione per le risorse e le tensioni militari. I paesi della Nato circondano sempre di più la Russia. Mosca se n’è accorta già a febbraio del 2021, quando ha accusato gli Stati Uniti di aver avviato la militarizzazione della regione per aver trasferito dei bombardieri in Norvegia. L’area è strategica a livello militare. Posizionare dei missili a lungo raggio vicino al Polo Nord significa avere un raggio d’azione che raggiunge tutto l’emisfero settentrionale. Questa è una preoccupazione per tutti, sia per Washington sia per la Russia.

Un futuro incerto tra collaborazione e competizione

L’ultimo Consiglio Ministeriale si è svolto lo scorso 20 maggio a Reykjavìk, con il trasferimento dalla presidenza islandese a quella russa. Mosca aveva dichiarato di voler coprire il ruolo perseguendo i propri obiettivi strategici, ma il ministro degli esteri Lavrov ha avviato il mandato con un discorso più rassicurante. Ha confermato l’intenzione di seguire gli obiettivi di carattere ambientale del forum, anche se ha poi espresso preoccupazione per le attività della Nato in Norvegia, promettendo poi di impegnarsi per mantenere la pace e la stabilità della regione – tema che comunque non rientra tra quelli per i quali il Consiglio Artico è stato istituito. È sicuramente il segno che l’area sta assumendo una rilevanza sempre più ampia, forse primaria per il futuro. Sarà possibile istituzionalizzare il forum in un’organizzazione internazionale? Per la prima volta, in occasione del venticinquesimo anniversario del Consiglio, i paesi membri hanno firmato un piano strategico decennale, che prevede una serie di misure da adottare in ambito ambientale.

Resta ancora la preoccupazione che in futuro la tensione militare nell’Artico possa aumentare. La collaborazione tra Russia e Occidente oggi è in crisi a causa della questione ucraina. È possibile aspettarsi ripercussioni su altri tavoli di dialogo come quello del Consiglio Artico, che resta uno dei pochi forum regionali in cui la Russia dialoga direttamente con i paesi membri della Nato.

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Michele Bodei

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