Il consenso come diritto ad essere interpellat*

  Articoli (Articles)
  Redazione
  28 September 2021
  3 minutes, 59 seconds

Quante volte il “sì” detto da una persona non completamente lucida - perché ha volontariamente bevuto dell’alcol o è sotto effetto di droghe -o che riversa in una situazione di estrema vulnerabilità viene creduto un reale “sì” senza valutare la situazione in cui viene detto? Oppure quante volte non è stato ritenuto lecito bloccare a metà il rapporto sessuale perché non si vuole proseguire o perché non vengono rispettate determinate condizioni - per esempio l’uso del preservativo - ma si è preteso di concludere in ogni caso, proprio perché inizialmente si era detto “si”? Quante volte non siamo stat* interpellat* o non abbiamo interpellato prima di agire? Presumendo di avere il diritto a procedere senza chiedere il consenso o senza pretendere che ci venga chiesto?

Il concetto di consenso è molto semplice da capire.

Nel vocabolario leggiamo: "consenso, dal latino consensus, significa consentire, avere conformità di voleri, accordo, concordia, consentimento. Sinonimi: accettazione, approvazione, assenso, autorizzazione, beneplacito, benestare, permesso."

Ancora, una spiegazione molto nota e funzionale è quella del tea consent: siamo con una persona e le chiediamo se desidera una tazza di tè, se dice di sì allora le faremo una tazza di tè, se dice di no non gliela faremo. Arriva il tè: la persona che lo sta bevendo si accorge che non è tè, oppure cambia idea e decide di non berlo più; in entrambi i casi non dovrebbe essere costretta a proseguire. Potrebbe succedere anche che quella persona sia incosciente, quindi non potrebbe rispondere alla domanda “vuoi del tè?” ed anche in questo caso non dovrebbe essere costretta a farlo. Oppure, quella persona era cosciente quando le era stato chiesto se volesse del tè, aveva detto di sì, ma mentre il bollitore era sul fuoco ha perso i sensi, oppure ha perso i sensi mentre beveva il tè. In entrambi i casi si dovrebbe mettere da parte il proprio tè, assicurarsi che l’altra persona non sia in pericolo e non farle bere il tè con la forza, pensando che in fondo sia solo del tè e che da sveglia aveva detto sì.

Come possiamo notare non è complicato tanto il concetto di “consenso” ma la sua applicazione alla sfera sessuale, dove il “si non è più si, il no non è più no” ma diventa tutto molto confuso. In questa sfera le dinamiche del consenso sono considerate diverse e addirittura sembra che, una volta detto sì, questo non possa essere revocato in nessun momento. Può capitare, invece, che una persona sia inizialmente d’accordo nell’avere un rapporto sessuale ma che successivamente ci ripensi e manifesti il proprio dissenso (verbalmente o con un comportamento concludente). Chiunque ha il diritto di fare tale revoca in qualsiasi momento e chiunque ha il dovere di ascoltarla.

Ma cosa dice la legge a riguardo?

La disciplina legislativa dei delitti sessuali ritiene che il consenso al rapporto sessuale debba essere pacifico, che possa essere concesso sia verbalmente che attraverso comportamenti consapevoli espliciti (gesti, sguardi, baci). Consenso che non deve subire interruzioni per essere ritenuto valido fino alla fine del rapporto, poiché riguarda una sfera soggettiva in cui sono tutelate la dignità e la libertà di ciascun*. Nel 2008, la Cassazione con la sentenza numero 4532 del 29 gennaio stabilì che: «Il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga poi meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso».

La sfera sessuale non è però l’unica che trova ancora molti ostacoli nell’applicazione corretta del consenso; pensiamo per esempio a tutte le volte che viene toccato il nostro corpo senza la nostra approvazione o a tutte le volte che subiamo catcalling (molestie verbali o gesti che vogliono farci credere essere complimenti).

Manca un’ educazione del consenso, del chiederlo e riconoscerlo, della consapevolezza di avere il diritto di negare o ripensare il nostro consenso quando vogliamo o non vogliamo più fare qualcosa. L’educazione è la chiave: bisogna imparare che prima di agire bisogna sempre chiedere a chi si ha davanti il permesso, verbalmente o attraverso comportamenti espliciti (gesti, sguardo, comunicazione corporea). Bisogna imparare a pretendere che ci venga chiesto il permesso. Prima di agire bisogna che l’altr* ci dia il suo permesso. Perché sì significa sì, no significa no e, quando la risposta è incerta o non è data in condizioni di totale consapevolezza, è da considerare un no.

A cura di Irene Ghirotto

Immagine: https://pixabay.com/it/illustr...

https://www.enpam.it/wp-content/repository/universaliamultimediale/CI/4.htm

https://www.ilpost.it/2017/09/10/violenza-sessuale-stupro-consenso-firenze/

https://www.treccani.it/vocabolario/consenso_%28Sinonimi-e-Contrari%29/


Share the post

L'Autore

Redazione

Tag

consent Right ask sexual sphere