Figlie senza fratelli: la politica del figlio unico

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  Redazione
  21 March 2019
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Le donne sono sempre state argomento di accese discussioni all’interno della società e, anche per questo, oggetto di regole e politiche che hanno regolamentato la loro esistenza. Basti pensare alle battaglie per l’aborto, alle norme che riguardano l’abbigliamento femminile più consono fino alle attuali leggi contro la violenza sulle donne. Uno degli ambiti che ha toccato da vicino la vita del genere femminile e che è stato oggetto di diversi regolamenti, è quello della riproduzione. In Cina, negli anni ‘70, sono state introdotte delle leggi che hanno fatto molto scalpore in Occidente proprio per il loro carattere intrusivo: in primis, la legge del figlio unico. Obiettivo di questa riforma era promuovere la modernizzazione riducendo il numero di persone che competono per un numero limitato di risorse economiche e sociali. La maggior parte degli articoli che vertono su questo argomento si sono sempre focalizzati sugli abusi associati a questa pratica e sui problemi sociali che questa politica ha causato, come infanticidi, aborti forzati e ritardi nella registrazione delle figlie femmine con un conseguente impatto sulla loro vita. Senza voler sminuire la gravità di tali eventi, in questo articolo si presenta un diverso punto di vista della politica del figlio unico.

Uno studio particolarmente interessante è stato condotto dal 1997 al 2000 da Vanessa L. Fong a Dalian, una città costiera della provincia del Liaoning in Cina. Questa ricerca ha sottolineato come la politica del figlio unico ha migliorato l’empowerment delle donne nate durante l’implementazione di questa riforma. Dalle interviste condotte, le famiglie erano contente di avere una femmina come unico erede, perché convinte che anche le figlie potessero adempiere agli obblighi familiari alla pari dei maschi. E’ essenziale notare che la preferenza per i figli maschi in Cina fosse legata alla tradizione dei matrimoni virilocali; ovvero le donne venivano cresciute dai propri parenti ma, una volta sposate, avrebbero continuato a vivere nella casa del marito. Non esisteva alcun incentivo economico e sociale per le famiglie (specialmente in campagna) ad avere figlie femmine. Questo è anche legato al fatto che sarebbero stati i maschi a lavorare e quindi a prendersi cura dei genitori una volta diventati anziani. Nonostante le riforme economiche degli anni ‘50 e ‘60 che hanno sancito la partecipazione femminile nel mondo del lavoro, era ancora difficile per una donna occuparsi della famiglia e della propria carriera, in assenza di politiche che facilitassero questa combinazione. Inoltre, la differenza di salario tra uomini e donne rimaneva tale da far sì che il loro contributo fosse ancora limitato.

La strategia di crescere una figlia come un maschio ricorda la storia di Hua Mulan, una ragazza che prende il posto del padre, malato, nell’esercito fingendosi un uomo per proteggere la propria famiglia. L’eredità di questa leggenda si ricollega alla realtà della Cina degli anni ‘70. La possibilità delle figlie senza fratelli nate sotto questa politica, è proprio quella di assumersi le responsabilità familiari, cogliendo l’opportunità (data dal sostegno economico dei propri cari) di avere un’educazione eccellente e di poter concentrarsi sulla propria carriera. Le figlie uniche, in questo modo, hanno sfruttato la libertà fornita da questa politica, anche se limitata. Infatti, la legge del figlio unico non porterebbe queste donne a sovvertire le regole di una società basata su ineguaglianze di genere e classe, ma semplicemente a sfruttarle per migliorare la loro condizione di vita e raggiungere i propri interessi.

Lo studio condotto dimostra che la politica del figlio unico ha portato in alcune parti della Cina urbana ad un parziale empowerment femminile. Sicuramente una soluzione estrema per il superamento delle preferenze dei figli maschi e una soluzione inefficace per l’eliminazione delle ineguaglianze di genere. Questo studio è strettamente legato alla situazione socio-economica della Cina: un paese dotato di risorse limitate, con una popolazione più che numerosa e con una accentuata preferenza alla collettività rispetto agli interessi dell’individuo. La politica del figlio unico e questa interpretazione sono impensabili nel mondo Occidentale, dove l’importanza dei propri sogni e interessi supera quella della società o della comunità in cui viviamo. Chiaramente, credere che una legge così intrusiva sia la soluzione per raggiungere la parità di genere, è una considerazione lontana dalla realtà. Ma sottolinea un’interpretazione della parità di genere molto pragmatica e innovativa, cioè quella di sfruttare le norme che governano la società per migliorare la condizione delle donne.

Fong, Vanessa L. 2002. «China’s One-Child Policy and the Empowerment of Urban Daughters». American Anthropologist 104 (4): 1098–1109.

Shi, Yaojiang, e John James Kennedy. 2016. «Delayed Registration and Identifying the “Missing Girls” in China». The China Quarterly 228 (dicembre): 1018–38.

A cura di Silvia Passoni

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