Cripto e governi – Parte 1

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  Davide Bertot
  27 December 2021
  5 minutes, 44 seconds

Ci sono pochi argomenti dibattuti su Internet quanto le criptovalute. Le parti si scambiano una serie infinita di argomentazioni e contro argomentazioni e, come molte discussioni che avvengono sul web, non sembrano cose su cui uno Stato potrebbe investire le proprie energie. Tuttavia, molte Nazioni guardano con interesse al crescente mercato delle valute digitali, per le sue implicazioni economiche, sociali e geopolitiche. Mentre alcuni Paesi si dicono pronti a farsi portare dall’onda delle cripto verso il futuro, altri cercano modi di controllarle per sfruttare le loro potenzialità minimizzandone i rischi. In questo primo appuntamento sull’argomento, ci focalizziamo su El Salvador e sul suo Presidente, esempio perfetto dell’approccio entusiasta e che non accetta critiche.

El Salvador fra repressione e innovazione

Il presidente salvadoregno Nayib Bukele è un personaggio particolare che, come una versione centroamericana del principe saudita Mohamed bin Salman, sembra agire perennemente al confine fra dittatura e progresso: negli ultimi anni il Paese ha assistito ad una sua serie di mosse antiliberali, come inviare soldati all’interno dell’assemblea legislativa per far approvare una legge o deporre vari giudici della corte suprema critici del suo governo. Ma Bukele è anche un fervente sostenitore delle criptovalute, tanto che è riuscito nel giugno 2021 a far approvare una legge con lo scopo di rendere il Bitcoin valuta con corso legale in tutto lo Stato. Questo ha significato riconoscere la criptovaluta come metodo di pagamento ufficiale impossibile da rifiutare in tutto El Salvador, che fino ad allora aveva utilizzato solo il dollaro americano come valuta di Stato.

La legge è stata promossa dal presidente come una misura per spingere la crescita economica e l’occupazione, perché come molte economie emergenti anche lo stato centroamericano ha un tasso di penetrazione finanziaria molto più basso dei Paesi del Primo Mondo (Bukele afferma che al 70% della sua popolazione manca l’accesso ai servizi bancari tradizionali). El Salvador, inoltre, dipende dai trasferimenti di denaro dall’estero: secondo i dati della Banca Mondiale, il 20% del PIL salvadoregno è basato su questi trasferimenti, una cifra che sfiora i 6 miliardi di dollari e che lo rende uno dei Paesi più dipendenti al mondo da questo fenomeno. La nuova valuta, secondo il presidente, permetterebbe ai salvadoregni che vivono all’estero di mandare il denaro a casa più facilmente, semplificando e velocizzando un processo cruciale per larga parte della sua popolazione.

Le critiche e le proteste

Mentre Bukele è arrivato perfino a offrire 30 dollari in Bitcoin a ogni cittadino per invogliarlo ad utilizzare il proprio portafoglio digitale, la legge ha causato proteste su larga scala, dovute alle preoccupazioni rispetto all’elevata volatilità delle valute digitali, volatilità che potrebbe causare instabilità nella già povera Nazione centroamericana. Per molti manifestanti, questo provvedimento potrebbe rendere ancora più instabili e imprevedibili i flussi di capitali da e verso il Paese, rischiando di risultare inflazionaria e quindi dannosa per il salvadoregno medio e al contempo facilitare il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e altri usi illeciti. A questo il presidente ha ribattuto che “il problema non è la moneta, sono i criminali”, facendo riferimento al fatto che la criminalità organizzata opera anche in assenza di valute digitali.

Ma le criticità non finiscono qui: una ricerca della Central American University ha riscontrato che solo il 4,8% dei più di mille intervistati sapeva cosa fosse e come funzionasse un Bitcoin, mentre più del 68% del campione si trovava in disaccordo con l’impiego di una criptovaluta come valuta ufficiale, anche perché non ne conosceva i meccanismi e quindi non si fidava ad utilizzarla. Nonostante la legge preveda una formazione su larga scala sugli aspetti tecnici delle criptovalute per garantire una fruizione adeguata, molti si dicono scettici su quanta preparazione i cittadini potranno veramente ottenere dati i tempi ristretti.

Alla luce di tutte queste problematiche, e del fatto che la Banca Mondiale ha messo in guardia il governo salvadoregno contro un’adozione in massa della criptovaluta, molti analisti hanno definito la misura una ricerca di attenzioneda parte di unregime autoritario, vedendo nella mossa di Bukele più una trovata pubblicitaria per far parlare di sé, che un oculato intervento di politica monetaria per migliorare le condizioni del Paese. Neil Wilson, analista di mercato presso Markets.com, sostiene che l’economia in generale ne soffrirà, dato che “il Bitcoin è intrinsecamente sbagliato come metodo di pagamento su larga scala perché è piuttosto costoso per piccole transazioni”, come quelle che la maggior parte dei salvadoregni farebbe quotidianamente.

La “città di Bitcoin”

Alcuni hanno anche avanzato proteste riguardo ai danni ambientali che un’adozione di massa del Bitcoin potrebbe comportare, dato che il processo di estrazione delle criptovalute tende ad essere energeticamente molto dispendioso (ne abbiamo parlato più diffusamente in questo articolo: Criptoarte: quando un meme vale 600.000 dollari). Nonostante le rassicurazioni di Bukele, molti non credono che ci saranno misure efficaci implementate in tal senso, perché El Salvador non ha nessun controllo sulla sostenibilità delle criptovalute prodotte all’estero, che sarebbero secondo gli stessi auspici del governo una parte sostanziosa del totale circolante nell’economia centroamericana.

Ma il presidente non si è fatto scoraggiare da queste critiche e ha anzi deciso di rilanciare e far parlare ancora di El Salvador, annunciando di voler costruire una città a forma di Bitcoin alle pendici di un vulcano. La questione risulta un po’ al limite del ridicolo, ma in realtà l’idea del presidente sarebbe di sfruttare l’energia geotermica del vulcano di Conchagua per alimentare il processo di estrazione del Bitcoin con una fonte “pulita”. Questo in vista di una città la cui costruzione andrà finanziata interamente con criptovalute, per un costo totale stimato dallo stesso presidente intorno ai 300.000 Bitcoin, o circa 13,5 miliardi di dollari (cifra che potrebbe variare molte volte prima dell’inizio effettivo dei lavori, data la sopracitata volatilità delle cripto). Tuttavia, benché le intenzioni sembrino buone, è chiaro che una tale proposta appaia più una mossa di marketing che non una scelta oculata, e molti temono che alla fine risulterà in un fiasco energetico ed economico per El Salvador.

Abbiamo quindi visto un primo approccio alla questione delle valute digitali, che crede fermamente nel loro carattere trasformativo e rivoluzionario e vuole cavalcarne il successo pubblicitario ed economico senza tenere in gran conto lamentele e raccomandazioni di cautela. Ma altri Stati hanno un'idea diversa del rapporto con le cripto, e si domandano se piuttosto che vedere la propria autorità messa in discussione non sarebbe meglio proibirle e crearne una propria versione da controllare a piacimento. Quale approccio risulterà vincente?

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L'Autore

Davide Bertot

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