Come fanno gli stranieri ad ottenere il Green pass?

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  Sara Scarano
  22 October 2021
  5 minutes, 11 seconds

Dal 15 ottobre l’obbligo di mostrare il Green pass è stato ulteriormente esteso: dopo l’accesso ai locali al chiuso di bar e ristoranti, palestre, piscine, musei e mezzi di trasporto infraregionali, è ora necessario anche per accedere a tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. La norma si applica anche a lavoratori autonomi e domestici nel caso di ingresso in casa di clienti.

Nonostante l’ennesima estensione di tale provvedimento, rimane ancora molto comune la condizione di chi non riesce a procurarsi il QR code necessario. Si tratta soprattutto di persone titolari di codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) o ENI (Europeo Non Iscritto). Il tesserino STP viene rilasciato agli stranieri non regolarizzati che sono in Italia da più di tre mesi ed hanno bisogno di cure urgenti, cure continuative (per problemi cronici) o cure essenziali (per malattie non pericolose nel breve periodo, ma che nel tempo possono degenerare mettendo a rischio per la vita della persona). Esso ha durata di sei mesi ed è rinnovabile. A causa della necessità di vaccinare la totalità della popolazione presente sul territorio italiano, l’STP viene rilasciato agli stranieri per tale specifica esigenza, ed essi possono quindi avviare la procedura per ottenere il Green pass, insieme ai titolari di codice ENI, ovvero comunitari indigenti non iscritti al Servizio sanitario nazionale. Il problema si pone, tuttavia, quando i sistemi informatici non riconoscono i codici ad undici cifre del tesserino sanitario fiscale provvisorio.

In Italia, secondo le stime di ISMU (Iniziative e studi sulla multietnicità), gli stranieri non regolarizzati sono oltre 700.000. Di questi, 500 mila sono migranti irregolari, cui si aggiungono alcune decine di migliaia di cittadini comunitari non residenti che lavorano saltuariamente e che spesso si trovano in condizioni di fragilità sociale. Inoltre, circa 55 mila persone sono senza dimora o minori stranieri non accompagnati, mentre 200 mila sono migranti che hanno fatto domanda di regolarizzazione. Per tutti questi individui l’accesso al Green pass diventa condizionato al riconoscimento del documento sanitario provvisorio da parte dei server, mentre i sistemi regionali chiedono a volte una residenza che i richiedenti non hanno. Alle difficoltà pratiche si aggiunge l’assenza di informazioni ufficiali chiare e complete, mancanza che in questi giorni ha aumentato la paura di trovarsi senza lavoro per una fascia di popolazione che già può contare su un livello di tutele lavorative estremamente basso.

La questione, poi, si complica per chi è in Italia da meno di tre mesi e non può quindi entrare in possesso del codice STP. Senza permesso di soggiorno, infatti, rifugiati, richiedenti asilo e migranti si sono trovati nell’impossibilità di effettuare la prenotazione della fascia vaccinale, in quanto la maggior parte dei sistemi di prenotazione regionali richiede il codice della Tessera Sanitaria Nazionale italiana, che viene rilasciata ai titolari di permesso di soggiorno. Qualora l’accesso al vaccino sia comunque garantito a livello regionale, vi è in questo caso la mancanza di un codice di riconoscimento necessario ad ottenere il Green pass.

In una dichiarazione rilasciata al Post, Gianfranco Costanzo, direttore dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà, afferma che «Collegandosi al sito del ministero della Salute, ora chi è vaccinato e in possesso di tesserino Stp può scaricare il Green Pass. Il problema può nascere in quelle regioni dove le piattaforme informatiche non sono state aggiornate e quindi non comunicano al ministero i dati degli stranieri non regolari vaccinati. Ma le difficoltà si stanno superando. Il vero scoglio, quello di riuscire a far vaccinare i cittadini stranieri, è stato superato grazie anche alle nostre continue sollecitazioni. Prima il sistema informatico del ministero non riconosceva neppure i tesserini Stp, era impossibile quindi accedere alle prenotazioni del vaccino».

Molto spesso, infatti, tutto dipende dalle piattaforme di prenotazione: su 19 regioni e 2 province autonome, solo 13 danno la possibilità di accedere a chi non è iscritto al Sistema Sanitario Nazionale. Ancora oggi non è possibile farlo sui siti di Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Umbria, Lazio, Molise, e province autonome di Bolzano e Trento. In questi territori sono state organizzate modalità di vaccinazione alternative come open day, ambulatori mobili, partnership con enti del terzo settore e del privato sociale. La Regione Campania è stata la seconda regione italiana dopo l’Emilia-Romagna a permettere la registrazione dei titolari di STP ed è stata la prima regione a permettere a questi ultimi di scaricare il Green Pass.

Di solito nelle regioni in difficoltà sono le associazioni di volontariato ad incaricarsi di incrociare i dati dei cittadini stranieri tra i database delle regioni e del Ministero, sopperendo spesso alle carenze delle Asl ed aiutando a superare le barriere linguistiche che si frappongono tra questi individui e l’accesso ai servizi sanitari.

Tuttavia, alcune problematiche restano ancora ostiche da risolvere, come quella che riguarda le persone vaccinate con vaccini non riconosciuti in Europa e per le quali l’accesso al Green pass è bloccato. Tale è il caso di moltissime badanti provenienti dai paesi dell’Est Europa, dove è frequente l’uso del vaccino Sputnik: in Italia vi sono oltre 400 mila badanti regolari e almeno altrettante in nero, e la loro mancanza di Green pass – come evidenziato da Uecoop – rischia di causare seri problemi a livello nazionale, con anziani e malati privati della necessaria assistenza.

Alla luce di ciò è stato coniato il nuovo Decreto Green pass bis, legge 16 settembre 2021 n. 126, recante modifiche al decreto-legge 23 luglio 2021 n. 105. Tale documento segna un passo avanti per immigrati irregolari e titolari di STP, garantendo, da un lato, diritto alle cure ambulatoriali urgenti ed alla profilassi vaccinale, dall’altro, l’assegnazione «ove possibile di una certificazione verde COVID-19 provvisoria o, in alternativa, un codice a barre personale in modo da garantire l’identificazione univoca della persona vaccinata anche mediante mezzi informatici». Ciò è realizzato proprio per «garantire l’accesso alle mense e ai servizi sociali» a tali categorie di individui.

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Sara Scarano

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