Breve storia del suffragio femminile in Italia

Come si è arrivati al suffragio universale del 1946?

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  Francesco Marchesetti
  06 October 2022
  5 minutes, 4 seconds

Le origini del suffragio femminile

Il suffragio femminile rappresenta, nella storia, una conquista importante per quanto riguarda i diritti delle donne. Il movimento delle suffragette, che storicamente si è battuto per questa causa, ha la sua origine nella Francia del XVIII secolo. Durante la Rivoluzione del 1789 infatti venne presentata nei Cahier de Doléances (letteralmente “Quaderni delle Lamentele”, nei quali le assemblee incaricate di eleggere i deputati agli Stati Generali annotavano critiche e lamentele della popolazione) la prima richiesta formale di estensione del diritto di voto alle donne. Due anni più tardi la drammaturga e attivista Olympe de Gouges pubblicò la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (“Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”); elaborato sul calco della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, il testo della de Gouges chiedeva la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne, facendo di fatto dell’attivista francese un’antesignana del movimento femminista.

Anche se il movimento che prese ispirazione dagli ideali di Olympe de Gouges ebbe un ruolo fondamentale in Europa nella lotta per i diritti della donna, il primo esempio democratico di suffragio femminile è da ricercare nella Costituzione della Repubblica Corsa del 1755, in cui alle donne veniva riconosciuto il diritto di voto sia attivo che passivo (ovvero la possibilità di eleggere i membri dell’Assemblea Nazionale, ma anche quella di venire elette, a patto di essere nubili o vedove). Il suffragio femminile venne revocato quando la Francia annesse l'isola nel 1769, e bisognerà aspettare circa centocinquanta anni di lotte suffragiste per vedere il diritto di voto alle donne riconosciuto nella maggior parte delle democrazie occidentali.

Il suffragio femminile in Italia prima del ‘46

Gli stati italiani preunitari più democratici furono tra i primi ad includere la popolazione femminile nelle scelte elettorali. In particolare il Granducato di Toscana fu il terzo stato mondiale, nel 1849, a sancire il suffragio femminile; al Granducato fecero seguito la Lombardia sotto il dominio austriaco (con limitazioni rispetto al censo) e il Veneto; in particolare durante le votazioni per il plebiscito del 1866 che avrebbe sancito l’annessione del Veneto al Regno d’Italia (che si svolse secondo la legge italiana, la quale non ammetteva il suffragio femminile) si presentarono alle urne molte cittadine, le quali, vedendosi preclusa la possibilità di esprimere il proprio voto, inviarono diverse lettere di protesta a re Vittorio Emanuele II.

Interessante è notare come lo Statuto Albertino (la carta costituzionale del Regno di Sardegna, che dopo l’unità fu estesa a tutti gli stati del Regno) non negasse esplicitamente il voto alle donne; l’articolo 24, che regolava appunto il diritto di voto, recitava:

"Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi."


Diverse attiviste sfruttarono questo vuoto legislativo per tenere vivo il dibattito sul riconoscimento dei diritti delle donne. Topico fu l’esempio di Maria Montessori, che sul giornale La vita scrisse un articolo in cui invitava le lettrici a iscriversi alle liste elettorali, specificando che la legge non poneva alcun esplicito divieto. Diverse corti d’appello bocciarono il riconoscimento dell’elettorato femminile, che alcune commissioni locali avevano accolto. Ad esempio il verdetto del 4 agosto 1906 della Corte di appello di Firenze sostenne che l’interpretazione montessoriana dell’articolo 24 avrebbe reso le donne “non sono soltanto elettrici ma anche eleggibili”, il che avrebbe rappresentato un grave fattore di rischio:

"Potrebbe avvenire che una maggioranza di donne venisse a formarsi in Parlamento, che coalizzandosi contro il sesso maschile, obbligasse il Capo dello Stato, scrupoloso osservatore delle buone norme costituzionali, a scegliere nel suo seno i consiglieri della Corona, e dare così al mondo civile il nuovo e bizzarro spettacolo di un governo di donne, con quanto prestigio e utilità del nostro paese è facile ad ognuno immaginarsi."

La svolta del ‘46

Il 30 gennaio del 1945, quando gran parte d’Italia era già stata liberata dagli alleati, Mussolini era confinato a Salò e il nord si trovava sotto l’occupazione nazista, il Consiglio dei Ministri approvò il suffragio femminile: potevano votare tutte le donne con più di 21 anni, tranne le prostitute che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. L’eleggibilità delle donne venne invece stabilita con un decreto successivo il 10 marzo del 1946.

La prima occasione di voto per le donne furono le amministrative del ‘46: l’affluenza superò un anacronistico 89% e duemila candidate vennero elette nei consigli comunali.

La stessa affluenza venne registrata per il referendum del 2 giugno. Furono 21 le donne elette alla Costituente su 226 candidate, pari al 3,7 per cento.

Per ricordarci tuttavia quanto il riconoscimento di un singolo diritto non costituisca in sé una vera e propria parità, riecheggiano le parole della giornalista radiofonica Anna Garofalo, che commentava il primo intervento di una deputata su un tema non femminile:

Per la prima volta, da quando le donne siedono in Parlamento, una deputata, Marisa Cinciari Rodano, del Pci, ha preso parola nel dibattito di politica estera. Tra i giornalisti ci fu un moto che si potrebbe chiamare di sfiducia preventiva. Non era una reazione politica (…) ma ci si difendeva dal fatto che parlasse una donna. Fu così che (…) molti vennero presi dall’impellente desiderio di bersi un caffè e altri andarono a fumare in corridoio, riaffacciandosi di tanto in tanto per scambiarsi sottovoce frasi non troppo nuove sulle pentole che l’oratrice avrebbe trascurato di far bollire e sulle calzette che, certo, non aveva potuto rammendare.

Fonti consultate per il presente articolo:

1. Fonte CEN:

https://www.dvk-rs.si/index.php/it/dove-e-come-votare/diritto-di-voto

2. Giulia Galeotti, La sconfitta di Atena, in Storia del voto alle donne in Italia, Biblink, 2006

3. Lucio Pegoraro, Angelo Rinella, Sistemi costituzionali comparati, G Giappichelli Editore, 2017

4. Fonte Il Post:

https://www.ilpost.it/2016/06/22/donne-1946-voto-maturita-2016/

https://www.ilpost.it/2021/03/10/primo-voto-italia-donne-10-marzo-1946/

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L'Autore

Francesco Marchesetti

Studente di Lettere Moderne.
Aspirante giornalista, certo che l'informazione libera debba essere un diritto universale.

Student in Modern Literature.
Aspiring journalist, certain that freedom of information should be a universal right.

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società civile