Elezioni in Palestina: rinvio ad interim? [Parte 3]

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  Sara Oldani
  10 giugno 2021
  12 minuti, 49 secondi

Niente elezioni senza Gerusalemme” è stato il mantra pronunciato da Abu Mazen e dal suo entourage il 29 aprile, quando si è optato per la sospensione a data da destinarsi delle elezioni. Come affermato nel precedente Focus, si è trattato di una mossa politica volta a salvaguardare le posizioni di potere, a scapito non solo della democrazia, ma dell'intera causa palestinese. Gli inviti (ufficiali) da parte della Comunità Internazionale a fissare un’altra data per le elezioni, non sono stati ascoltati anche a causa dell’infuocata ripresa della “questione israelo-palestinese” che rischia di far cadere nel dimenticatoio il processo elettorale, in virtù della security first.

Gerusalemme è la "questione delle questioni" o, come affermato da Hanan Ashrawi è “l’essenza della sfida, ma non può essere un pretesto per sovvertire la democrazia[1]. Abu Mazen invece ha optato per il rinvio, giustificando la sua decisione con il fatto che non fosse arrivato l’assenso da parte israeliana a permettere il voto a Gerusalemme Est.

Israele non ha mai annunciato né smentito la sua “autorizzazione” in merito [2]. In base alle dichiarazioni di un alto funzionario del Ministero degli Esteri israeliano, lo Stato ebraico non intende bloccare o essere coinvolto nelle elezioni palestinesi; posizione riaffermata anche da Alon Bar, direttore politico del Ministero degli Esteri. L'inazione di Israele, però, ha avuto un peso nel non garantire la certezza delle elezioni e ha creato un clima di sospetto e ambiguità. Proprio per questo, si sono levati appelli da parte dell’Unione europea e dai singoli Stati membri affinché Israele non impedisse le operazioni di voto.

Sta di fatto che vi erano diverse alternative per far votare i gerosolimitani senza il consenso ufficiale israeliano [3]: allestire dei seggi elettorali negli edifici dell’ONU (ad esempio, quelli della UNRWA), nei luoghi di culto come chiese o moschee, andare casa per casa, votare nei sobborghi di Gerusalemme non occupati da Israele. Nessuna delle proposte è stata presa in considerazione, in quanto sono state bollate dall’entourage di Abu Mazen come "tecnicismi lontani dalla lotta popolare”. In realtà, come affermato dai critici al rinvio elettorale, cercare in ogni modo di far votare i residenti a Gerusalemme Est, l’acclamata capitale del futuro Stato palestinese, sarebbe un modo per mostrare alla Comunità Internazionale e alla stampa cosa succede realmente nel governatorato di Gerusalemme.

Ma la paura di perdere le elezioni, specialmente presidenziali, è prevalsa sul Presidente dell’ANP. I sondaggi, infatti, lo davano molto probabilmente per sconfitto.

L’attendibilità dei sondaggi è molto incerta a causa dell’eventuale insorgere di dissidi all’interno di ciascun partito, dal possibile calo di consenso di una lista solo per la presenza di un altro candidato o, ancor di più, dall’evolversi della situazione tra Israele e Territori palestinesi.

Secondo le stime del Palestinian Center for Policy and Survey Research di fine marzo 2021 (margine di errore del 3%), per quanto riguarda le elezioni legislative, i palestinesi sceglierebbero al 43% Fatah (se si presentasse in una lista unica), Hamas al 30%, mentre il 18% sarebbe ancora indeciso su chi votare. La defezione da Fatah di alcune liste indipendenti, però, farebbe abbassare il suo consenso al 30%, a favore di Mohammad Dahlan (10%) e di Nasser al-Qudwa (7%) [4]. Le preferenze degli elettori sarebbero inoltre influenzate dalla residenza nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania o a Gerusalemme Est [5]. Ad esempio, la lista di Nasser al-Qudwa sarebbe maggiormente sostenuta in Cisgiordania o Gerusalemme Est, mentre quella di Dahlan nella Striscia.

Per quanto riguarda l’oscillazione verso Fatah o Hamas, ci sono pareri discordanti. Alcuni analisti sostengono che la popolarità di Hamas fosse ormai erosa nella Striscia, a causa delle insostenibili condizioni di vita dei gazawi e dell’incapacità del movimento di venire incontro alle loro richieste [6]. Stesso discorso può essere fatto per la perdita di legittimità di Fatah in Cisgiordania, motivo per cui i palestinesi di quella zona voterebbero Hamas, mentre quelli di Gaza Fatah. Altri analisti invece, tra cui Ugo Tramballi, ritengono che alla fine, per rassegnazione, in Cisgiordania si voterà Fatah e a Gaza si riconfermerà Hamas.

Quel che è certo è che, anche tenendo conto di eventuali oscillazioni, nessuno avrebbe avuto una maggioranza tale da poter formare un governo da solo (vige infatti un sistema proporzionale puro) [7].

I sondaggi in merito alle elezioni presidenziali sono più chiari, di fatti i due terzi dei palestinesi vorrebbero le dimissioni dell’attuale Presidente dell’ANP Abbas, ormai 85enne. Egli avrebbe solo il 29% dei consensi, mentre Ismail Haniyeh il 19%. Il candidato più quotato sarebbe Marwan Bargouthi, il preferito al 48% [8].

Invece, l’elezione del Consiglio nazionale palestinese (il parlamento dell’OLP) sarebbe avvenuta per ultima, in quanto i rappresentanti del Consiglio legislativo verrebbero automaticamente inclusi in esso. Ripristinare il parlamento dell’OLP non sarebbe stata un’attività meramente cerimoniale, in quanto l’effettivo rappresentante della Palestina e dell’intero popolo palestinese (compreso quello in diaspora) è proprio l’OLP [9].

Tale organizzazione è stata, di fatto, svuotata dagli Accordi di Oslo del 1993, in quanto chi detiene l’indirizzo politico palestinese è l’ANP, che sulla carta sarebbe subordinata all’OLP. La prevalenza dell’ANP non fa altro che dividere ancora di più il movimento palestinese, già danneggiato per la frammentazione territoriale, politica e ideologica. Rinvigorire l’OLP sarebbe stato nell’interesse dei palestinesi in diaspora, i quali però non avrebbero potuto partecipare alle votazioni dall’estero: Fawzi Ismail, rifugiato e presidente dell’Unione delle comunità e delle organizzazioni palestinesi in Europa, ha infatti dichiarato che la proposta di far votare i palestinesi nei campi profughi, in Unione europea e negli Stati Uniti non è stata accolta [10].

La Comunità Internazionale, soprattutto Stati Uniti e Unione europea, ha reagito definendo la decisione di sospendere le elezioni “profondamente deludente”. In particolare, Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, ha incoraggiato “vivamente tutti gli attori palestinesi a riprendere gli sforzi per consolidare i negoziati di successo tra le fazioni negli ultimi mesi. Una nuova data per le elezioni dovrebbe essere fissata senza indugio. Ribadiamo il nostro invito a Israele a facilitare lo svolgimento di tali elezioni in tutto il territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est”. Inoltre, ha chiesto “calma e moderazione”, dichiarando “[l’UE è] pronta a collaborare con tutte le parti coinvolte per facilitare l’osservazione di qualsiasi processo elettorale[11].

A parte inviti e raccomandazioni, non sono seguiti fatti concreti che premessero Israele a concedere l’autorizzazione ufficiale per svolgere le elezioni a Gerusalemme Est o trattative con l’ANP per decidere una nuova data. Hugh Lovatt, ricercatore presso lo European Council on Foreign Relations, ha affermato che l’UE dovrebbe cambiare approccio nella sua prassi diplomatica, rendendo gli aiuti vincolanti al verificarsi delle elezioni [12].

Buona parte dell’opinione pubblica palestinese, ma anche alcuni orientalisti, ritengono che Stati Uniti e Unione europea siano interessati solo formalmente al processo elettorale. Questo perché, qualora le preferenze fossero per Hamas, le elezioni verrebbero boicottate - come avvenuto nel 2006 -, per cui è preferibile che non si verifichino, vista l'incertezza che vinca nuovamente Fatah. L’ANP, guidata da Fatah, riceve aiuti internazionali proprio in veste della “legittimità internazionale” che ha acquisito nel tempo; senza tali aiuti di stampo assistenziale, non avrebbe più alcun fondo e collasserebbe [13]. Qualora vincesse un altro gruppo politico, non è detto che gli Stati Uniti (i quali hanno ripreso gli aiuti ai palestinesi con l’amministrazione Biden) e l’Unione europea possano continuare con la stessa strategia.

La scelta è tra accettare che da elezioni democratiche possa vincere Hamas o, in alternativa, arrendersi alla deriva autoritaria e dispotica di Abu Mazen e dei suoi fedelissimi. Ipotesi che sembra sempre più realistica e che è condivisa dall’opinione pubblica palestinese e dai suoi accademici.

Mahmoud Dudin, professore di diritto all’università di Birzeit, ha affermato che il rinvio delle elezioni da parte del potere esecutivo (avvenuto tramite decreto presidenziale di Abu Mazen) viola la costituzione palestinese. Infatti, in base alla costituzione, il rinvio è competenza esclusiva della Commissione elettorale centrale, secondo la quale sarebbe possibile votare a Gerusalemme Est senza il permesso ufficiale di Israele [14]. Ma anch’essa il 29 aprile ha comunicato la sospensione dell’intero processo elettorale. Ci si potrebbe appellare alla Corte suprema palestinese di Ramallah, ma i giudici sono nominati da Abu Mazen stesso. Ciò può far immaginare quale sarebbe l’esito. L’agire del Presidente senza alcun vincolo giuridico ha minato la fiducia di coloro i quali, specialmente giovani, avrebbero votato per la prima volta.

Hamas, da parte sua, si è dichiarato contrario al rinvio, accogliendo “con dolore” la decisione di Abu Mazen. Inoltre, ha affermato che la decisione [di Abu Mazen] non ha niente a che vedere con la questione di Gerusalemme, ma segue altri interessi – “Il movimento di Fatah e il Presidente palestinese hanno la piena responsabilità di questa decisione e le sue conseguenze[15]. Le possibili conseguenze riguardano l’accordo di riconciliazione tra lo stesso Hamas e Fatah che potrebbe finire in un nulla di fatto. Abu Mazen ha organizzato una riunione per discutere di un ipotetico governo di coalizione a sfavore delle liste indipendenti, ma Hamas ha deciso di non partecipare perché in disaccordo con il suo agire politico.

La scelta di sospendere le elezioni molto probabilmente gli si ritorcerà contro in termini di consenso (già ai minimi livelli) e chi ne trarrà vantaggio saranno i candidati delle liste indipendenti, ma soprattutto Hamas. Il movimento radicale palestinese, infatti, ha acquisito notorietà a seguito del riaccendersi della questione israelo-palestinese [16]. Esso si è mostrato come uno dei pochi paladini a difesa dei passibili crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano nella Moschea di Al-Aqsa, uno dei tre principali luoghi sacri dell’Islam. Il lancio di razzi e missili perpetuato dal movimento contro il territorio israeliano, le imponenti distruzioni e l’ingente numero delle vittime civili nella Striscia, hanno accresciuto la sua legittimità di fronte ai palestinesi che non vedono alcuna prospettiva di miglioramento della loro vita quotidiana - non solo in termini economici, ma anche di diritti umani fondamentali - rendendoli soggetti a rischio di assumere posizioni intransigenti.

Fatah e Abu Mazen, di fronte alle violenze e alle discriminazioni sempre più evidenti e sistematiche nei confronti dei residenti palestinesi a Gerusalemme Est [17], hanno dichiarato in uno statement che il governo israeliano è pienamente responsabile per gli incidenti insorti a Gerusalemme e per ogni ripercussione che l’escalation, recentemente conclusa da un cessate il fuoco, poteva generare. Tali dichiarazioni stridono con l’arresto, da parte della polizia dell’ANP [18] - proprio a seguito del cessare delle ostilità -, di alcuni attivisti e manifestanti palestinesi in Cisgiordania nel giorno di sciopero generale indetto dai palestinesi di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est e i cittadini arabo-israeliani in Israele (insieme ad alcuni attivisti ebrei-israeliani).

A monte degli ultimi eventi, risulta assai complicato gestire delle elezioni in uno “Stato” senza contiguità territoriale e occupato militarmente. Le ultime manifestazioni, come lo sciopero generale sopra descritto, sono però una flebile speranza di unità, data da una società civile resiliente e attiva.

Fonti consultate

[1] Hanan Ashrawi è accademica, esperta di diritto internazionale, attivista per i diritti umani ed ex portavoce dell’OLP.

[2] N. Del Gatto, Affari Internazionali, La Palestina rinvia ancora una volta le elezioni attese da 15 anni, https://www.affarinternazionali.it/2021/05/palestina-rinvio-elezioni/, 3/05/2021

[3] A. Hass, Internazionale, A chi fa comodo il rinvio delle elezioni palestinesi, https://www.internazionale.it/opinione/amira-hass/2021/05/07/elezioni-palestinesi-abu-mazen-israele, 7/05/2021

[4] Palestinian Center for Policy and Survey Research, Press Release: Public Opinion Poll No (79), http://pcpsr.org/en/node/837, 23/03/2021

[5] Le stime sono più incerte per quanto riguarda Gerusalemme Est, in quanto è difficile realizzare sondaggi in libertà, trovandosi di fatto nei limiti territoriali dello Stato di Israele e separata dai Territori Palestinesi dal muro di separazione con la Cisgiordania.

[6] La Striscia di Gaza è un territorio lungo 47 km e largo 10, nel quale vivono oltre 2 milioni di persone, con una densità di popolazione altissima pari a 5.555 abitanti per km2. Nel 1967 si trovava sotto occupazione militare israeliana, mentre dal 2006-2007 è governata da Hamas. Nonostante la decisione di Ariel Sharon, primo ministro israeliano all’epoca, di ritirare l’esercito e di procedere con l’evacuazione dei 8500 coloni israeliani e dei loro insediamenti nella Striscia, essa si trova di fatto sotto controllo militare (marittimo e aereo) israeliano con il supporto dell’Egitto. La libertà di movimento non esiste, in quanto si può entrare o uscire solo tramite un lascia-passare di Israele; inoltre l’embargo commerciale imposto dal 2007 ha per oggetto anche beni di consumo alimentari, medici ed edili che aumentano i livelli di disoccupazione, povertà e fame dei gazawi (strategia attuata per fomentare la ribellione contro Hamas). Per un breve sommario sulla storia della Striscia vedasi https://www.aljazeera.com/news/2021/3/14/a-guide-to-the-gaza-strip.

[7] G. Chiarolla, OSMED, La riconciliazione tra Hamas e Al-Fatah: quando la pace è sopravvivenza, https://www.osmed.it/2021/03/16/la-riconciliazione-tra-hamas-e-al-fatah-quando-la-pace-e-sopravvivenza/, 16/03/2021

[8] N. Del Gatto, Affari Internazionali, La Palestina rinvia ancora una volta le elezioni attese da 15 anni, https://www.affarinternazionali.it/2021/05/palestina-rinvio-elezioni/ , 3/05/2021

[9] A. Hass, Internazionale, A chi fa comodo il rinvio delle elezioni palestinesi, https://www.internazionale.it/opinione/amira-hass/2021/05/07/elezioni-palestinesi-abu-mazen-israele , 7/05/2021

[10] NENANews, Intervista. Elezioni palestinesi rinviate, Abu Mazen ha fatto un regalo a Israele, http://nena-news.it/intervista-elezioni-palestinesi-rinviate-abu-mazen-ha-fatto-un-regalo-a-israele/?fbclid=IwAR3JftzuWZORNW4mszHGWJ6wvM8NXV6qA-KEE_dI37Zs1TnmX44ibJPGQGI, 5/05/2021

[11] N. Del Gatto, Affari Internazionali, La Palestina rinvia ancora una volta le elezioni attese da 15 anni, https://www.affarinternazionali.it/2021/05/palestina-rinvio-elezioni/, 3/05/2021

[12] ISPI, MED Dialogues, Palestinian Electoral Limbo: What’s Next?, 3/05/2021

[13] Le condizioni economiche nei Territori Palestinesi sono pessime ed è previsto un ulteriore calo del PIL nei prossimi anni. Per quanto riguarda la Cisgiordania il PIL è crollato dell’11% tra il 2019 e gli inizi del 2021 e l’80% delle imprese non dispone di accesso al credito, rendendo l’economia palestinese in quest’area dipendente esclusivamente dagli aiuti internazionali. La situazione a Gaza è ancora più grave, in quanto l’80% degli abitanti (stime precedenti all’operazione militare “Guardiani del Muro” del maggio 2021) necessita dell’assistenza internazionale per sopravvivere. Il 70% dei palestinesi residenti a Gerusalemme Est invece risulta più povero in confronto agli altri abitanti ebrei-israeliani.

[14] A. Hass, Internazionale, A chi fa comodo il rinvio delle elezioni palestinesi, https://www.internazionale.it/opinione/amira-hass/2021/05/07/elezioni-palestinesi-abu-mazen-israele , 7/05/2021

[15] ANSA, Abu Mazen, rinviate elezioni palestinesi di maggio, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2021/04/30/abu-mazen-rinviate-elezioni-palestinesi-di-maggio_135cad2d-03b4-4707-bca3-51a6651f38ed.html, 30/04/2021

[16] La questione israelo-palestinese di fatto non si è mai spenta, ma è tornata sotto i riflettori dell’attenzione mediatica proprio in seguito a quello che la stampa internazionale ha soprannominato la “quarta guerra di Gaza”, focalizzando le notizie prevalentemente sul lancio di missili tra Israele e Hamas, non tenendo conto delle radici del problema che riguardano discriminazioni, manifestazioni razziste e abusi sistematici nei confronti della minoranza arabo-israeliana e dei residenti palestinesi a Gerusalemme Est, con frequente impunità e collusione tra esercito israeliano e militanti di estrema destra.

[17] Si fa riferimento agli sfratti forzati e all’espropriazione di proprietà e di terre detenute da palestinesi nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan che si trovano nella parte araba di Gerusalemme, Gerusalemme Est appunto (https://www.middleeasteye.net/news/israel-palestine-sheikh-jarrah-jerusalem-neighbourhood-eviction-explained). Non si tratta di casi sporadici, ma di una vera e propria logica istituzionalizzata. Per approfondire vedasi https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gerusalemme-allorigine-della-tensione-30438 e per saperne di più sullo status di Gerusalemme https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-gerusalemme-divisa-30378 e sulle disuguaglianze tra parte Est e Ovest https://interactive.aljazeera.com/aje/2018/east-west-jerusalem/index.html.

[18] S. Hammad, Middle East Eye, In wake of Gaza conflict, Palestinian Authority cracks down on West Bank activists, https://www.middleeasteye.net/news/palestine-west-bank-activists-crackdown-after-conflict, 27/05/2021

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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Palestina