Egitto e Turchia: tra disgelo e criticità

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  Michele Magistretti
  22 marzo 2021
  5 minuti, 37 secondi

Sulla scia del processo di riconciliazione regionale promosso dal Consiglio di Cooperazione del Golfo e dal nuovo inquilino della Casa Bianca, Egitto e Turchia lanciano alcuni segnali di riavvicinamento, dopo anni di serrata competizione regionale. A fronte delle difficoltà interne e delle pressioni esterne, entrambi i Paesi sembrano voler tentare la via del dialogo. La sincerità degli intenti dei due Stati è ancora tutta da dimostrare, anche se, nel momento contingente, entrambe le potenze regionali potrebbero essere incentivate ad una graduale riappacificazione per la mancanza di alternative. Comunque, permangono alcune questioni aperte che potrebbero inficiare il processo di distensione. Vediamo quindi quale sono le radici della discordia e le prospettive future.

Le origini del confronto

Dal colpo di stato del 2013, con il quale il generale Al-Sisi ha deposto il presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi, le relazioni tra i due Paesi si sono notevolmente raffreddate fino a sfociare in un’aperta conflittualità traslata nelle molteplici aree di tensione regionali. La rivalità deriva da considerazioni di carattere sia strategico che ideologico.

Innanzitutto, con lo scoppio delle Primavere Arabe, il presidente turco si fa portavoce delle istanze di democratizzazione attraverso il proprio fervido sostegno alla Fratellanza Musulmana, a cui Mohamed Morsi è legato. Dopo la caduta di Mubarak lo stesso Erdogan, durante il suo viaggio in Egitto, viene accolto da una marea umana di manifestanti e diviene il simbolo del repubblicanesimo islamico di stampo sunnita lungo tutto il Medio Oriente. Con la deposizione di Morsi il presidente turco soffre quindi la perdita di un possibile alleato regionale.

Al contrario, il generale Al-Sisi costruisce la propria legittimità attraverso la promessa di pace, stabilità e crescita economica. Il presidente egiziano e gli apparati militari che lo sostengono vedono come priorità essenziali il contrasto al terrorismo, in particolare nel Sinai, ed all’Islam Politico internamente e nella vicina Libia. Le direttive strategiche del governo egiziano sono quindi quelle di evitare pericolosi effetti spill over che possano minare la stabilità del regime.

A fronte di tali priorità, nel corso degli anni, il Cairo si è spesso schierato dalla parte opposta di Ankara nel tentativo di controbilanciarne la politica espansionista. In Libia ha sostenuto il generale Khalifa Haftar contro il governo tripolino, appoggiato dalla Fratellanza Musulmana e dalla Turchia. Riguardo le tensioni nelle acque del Mediterraneo orientale è andato via via allineandosi con le nazioni elleniche. La politica assertiva e la gunboat diplomacy di Ankara hanno sortito l’effetto di coagulare un’ampia coalizione contrapposta alla potenza anatolica. Questa alleanza ha portato alla nascita dell’EastMed Gas Forum, che ha sede proprio al Cairo. La fattibilità del progetto originario dell’organizzazione, una pipeline, pare ormai sepolto dalla crisi pandemica. Nonostante ciò, la presenza di Francia ed Italia nell’organizzazione può essere considerata un’opportunità per l’incremento della cooperazione ed il coordinamento tra i vari attori regionali.

Inoltre, in questi anni l’Egitto ha contato sul vigoroso supporto economico e politico di due potenze della penisola arabica: l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Entrambe queste potenze, ma in particolare gli Emirati, hanno condiviso la politica di contenimento della Turchia e del Qatar, principali sponsor della Fratellanza Musulmana.

Un nuovo percorso?

Una serie di eventi tra loro concatenati potrebbe spingere i due Paesi a ritrovare la strada del dialogo. Alcune considerazioni di carattere pratico e la contingenza internazionale potrebbero rappresentare un incentivo a riallacciare i rapporti.

Sicuramente i due Paesi potrebbero essere spronati al dialogo dal grande alleato di entrambi: gli USA. Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, l’Egitto prospetta un nuovo impulso verso il multilateralismo ed una maggior pressione riguardo la gestione della politica interna, quindi della repressione attuata dal regime. Inoltre, con la fine dell’embargo nei confronti del Qatar da parte di Emirati ed Arabia Saudita, la Turchia vede rafforzarsi il suo principale partner nella regione, l’emiro di Doha appunto.

Sia Ankara che il Cairo stanno facendo i conti con una pesante crisi economica. La Turchia soffre a causa di un’alta inflazione e l’Egitto è tormentato da un alto tasso di disoccupazione, giovanile in particolare. Allo stesso modo, entrambi gli attori vedono opportunità di investimento nel processo di transizione libico. Infatti, Al-Sisi negli ultimi mesi ha cambiato il proprio approccio nei confronti del governo di Tripoli. Sono lontani i tempi in cui il presidente egiziano minacciava un intervento armato in Libia qualora le forze di Tripoli avessero attaccato Sirte, città strategica per l’ingresso in Cirenaica, regione libica confinante con l’Egitto. Negli ultimi mesi vi sono stati dei contatti tra il governo egiziano e la controparte tripolina. Dopodiché, con l’insediamento del nuovo governo di transizione libico, l’Egitto sembra pronto a ristabilire le relazioni diplomatiche con il proprio vicino. Nel contempo, Ankara vede nella riconciliazione con il Cairo un modo di sganciare il Paese nordafricano dall’alleato greco.

Mentre Ankara cerca di uscire dall’isolamento, lanciando segnali di distensione verso Tel Aviv e Riad, il Cairo ha ricalibrato i propri interessi strategici verso sud. L’Egitto insieme al Sudan è ormai da alcuni mesi sull’orlo del conflitto con l’Etiopia. Adis Abeba sta completando la propria diga sul Nilo. Sia il Cairo che Khartoum protestano da diverso tempo per tale decisione unilaterale e per la ritrosia al dialogo dell’Etiopia. Egiziani e sudanesi sono preoccupati per le conseguenze avverse che il riempimento della diga potrebbe avere sul corso del Nilo. Per questo motivo, i due Paesi hanno siglato di recente un patto di cooperazione in ambito militare.

Da parte sua, il presidente turco ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con l’ex presidente sudanese Omar al-Bashir, anche lui vicino alla Fratellanza Musulmana. Questa alleanza avrebbe fruttato alla potenza anatolica una nuova base militare sull’isolotto di Suakin, nel Mar Rosso. L’opposizione del Cairo, di Riad e di Abu Dhabi e la successiva caduta del regime di al-Bashir hanno fatto evaporare il progetto turco. Turchi ed egiziani sono anche in competizione nel tentativo di portare il Ciad sotto la propria area di influenza, anche in relazione allo scenario libico. La Turchia, in particolare, ha sfruttato la crisi pandemica per manovre di soft power, ad esempio tramite la diplomazia degli aiuti umanitari.

Dunque, sembra che Egitto e Turchia si trovino costretti più per necessità che per convinzione a ristabilire un certo grado di dialogo. Entrambi i Paesi subiscono gli effetti delle rispettive crisi economico-sociali e del nuovo riassetto delle dinamiche regionali. La totale riappacificazione rimane comunque incerta e dipenderà dalla dimostrazione di un effettivo cambio di passo da parte di entrambi.

Fonti consultate per il presente articolo:

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