Criptoarte: quando un meme vale 600.000 dollari

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  Davide Bertot
  20 aprile 2021
  5 minuti, 51 secondi

Il fenomeno della criptoarte ha recentemente acquisito una certa notorietà non soltanto nel mondo dei contenuti digitali, dove i creators hanno dibattuto a lungo su questa forma d’arte innovativa, ma anche in ambienti più “tradizionali” come la finanza e le case d’asta. Magnati e curatori, nonché l’opinione pubblica, sono attirati dalla crescente popolarità e redditività delle opere digitali, fra cui ad esempio “Everydays: The First 5000 Days”, una serie di immagini digitali realizzate dal graphic designer Mike Winkelmann, che è stata venduta per oltre 69,3 milioni di dollari, diventando la terza opera più costosa di un’artista vivente.

Ma cos’è la criptoarte? Può essere davvero definita “arte”? E quali sono i suoi vantaggi e le sue criticità?

Cos’è la criptoarte?

Le opere create digitalmente sono una realtà da molti anni. Tuttavia, la loro recente visibilità mediatica è dovuta alla cosiddetta criptoarte, ovvero l’arte digitale sostenuta dalle tecnologie di blockchain che ne permettono l’unicità.

Il digitale ha la proprietà di essere perfettamente duplicabile senza alcuna differenza con l’originale e senza grande sforzo, cosa che se da un lato ha permesso l’incredibile evoluzione che è stato l’avvento di Internet, dall’altro ha sempre reso difficile per i creatori di contenuti digitali la possibilità di guadagnare dal loro lavoro.

Ma proprio ora entra in gioco la blockchain, un sistema decentralizzato e trasparente di controllo delle transazioni digitali, strutturato come una catena di blocchi contenenti le transazioni: spiegato brevemente, il sistema è basato su un registro condiviso da una rete di computer in cui ogni criptomoneta contiene un particolare ID. Ogni volta che avviene una transazione, i dati vengono registrati e convalidati dall’intera blockchain, che contiene una cronologia di ogni transazione avvenuta per una particolare unità di criptovaluta, quindi ogni computer deve concordare con ogni altro per confermare questa modifica.

Può suonare complicato (e lo è, questa è una semplificazione estrema del processo), ma quello che ci serve sapere è che collegando l’opera d’arte digitale ad un NFT (“Non Fungible Token”, o “gettone non intercambiabile”, un’unità che non può essere divisa o scambiata senza prima entrare in un mercato) è possibile inserire in questi file certificati informazioni come la firma dell’autore, le caratteristiche dell’opera o i passaggi di proprietà, elementi che proprio grazie alla blockchain non sono falsificabili. Questo rende l’originale “unico”, nel senso che può ancora essere replicato ma ci può essere solo un utente che possiede l’NFT in un dato momento.

Ma è vera arte?

Questa è in realtà una provocazione, perché, come afferma il consulente Massimo Vecchia, “l’arte ha smesso di essere imitazione della natura da 150 anni”, quindi criticarla in quanto “non arte” equivale a criticare l’impressionismo, il cubismo, l’astrattismo, etc. perché non rispettavano i canoni dell’epoca. Anche il fatto che sia perfettamente replicabile non è davvero un problema, perché la contraffazione dell’arte crea da sempre duplicati indistinguibili per la maggior parte delle persone. Il fatto che qualcosa abbia un valore di mercato ha sempre significato semplicemente che c’era qualcuno disposto a pagare, e sembra che le opere d’arte digitali stiano riscuotendo un notevole successo: persino “Nyan Cat”, l’animazione di un gatto volante che lascia una scia arcobaleno, da anni uno dei più famosi meme di Internet, è stata comprata per circa 580.000 dollari.

In realtà, la preoccupazione più grande di molti è che questo meccanismo possa portare nel mondo digitale gli aspetti peggiori dei mercati d’arte fisici: creando una “scarsità” artificiale per gli oggetti digitali, si baratterebbe una delle più importanti caratteristiche e conquiste della rivoluzione digitale, ovvero la perfetta duplicabilità che permette di condividere esperienze e opere senza confini o costi, per un mondo dove il valore delle cose è dato solo dalla loro rarità, e non dall’effettivo contenuto. D’altro canto, moltissimi fra coloro che lavorano con i nuovi media spesso faticano a vedersi riconosciuti meriti o introiti proprio perché “lavorano su Internet”, dove lo stigma associato al digitale è anche legato al fatto che la loro produzione non sembra creare valore reale. Per questi creators, la criptoarte è la prima delle rivoluzioni che porteranno all’accettazione del lavoro che sfrutta le nuove tecnologie in campo artistico.

Criptoarte: opportunità o rischio?

Le criticità relative alla criptoarte sono principalmente di due tipi: finanziarie ed ecologiche.

I primi problemi sorgono perché il mercato sembra presagire una bolla speculativa. Questo perché la fluttuazione del valore dell’opera, già problematica data l’accelerazione esponenziale di alcune quotazioni, si unisce alle oscillazioni delle criptovalute che, non essendo legate ad un’istituzione centralizzata che controlli l’offerta di moneta o che garantisca per il suo valore di mercato, tendono a subire variazioni più pronunciate più frequentemente. Per arginare il rischio bisognerà attuare un intervento preventivo, coinvolgendo gallerie preparate per fare una selezione delle opere all’ingresso, e al contempo sottoporre il mercato a un regime di controllo dei prezzi.

Le questioni più difficili da risolvere per la criptoarte sono però quelle ecologiche, ovvero il suo essere una criptovaluta: la maggior parte delle criptovalute utilizzate, come Bitcoin ed Ethereum, sfrutta un protocollo per verificare le transazioni, che crea dei “puzzle” matematici da decifrare e premia chi li risolve con la stessa criptovaluta, e questo incentivo spinge le persone a programmare i propri computer perché li risolvano. Il problema è che per questioni di sicurezza (e per mantenere il tasso di estrazione di criptomonete costante) il sistema è programmato per rendere questi “puzzle” sempre più difficili, portando i computer impiegati per l’estrazione a dover essere sempre più potenti. Tutto questo richiede sempre più energia, la maggior parte della quale viene sprecata.

Sebbene le stime su energia ed emissioni di CO2 di questi processi varino, i numeri sono spaventosi: si passa da un consumo elettrico annuo pari a quello del Kuwait a uno più simile a quello dell’Argentina, e il consumo di una singola transazione per NFT si aggira attorno ai 48kg di CO2, equivalenti al consumo di un cittadino dell’UE per circa 8 giorni. I sostenitori delle criptovalute tendono a sminuire questi dati, affermando che siano stime sbagliate o che partano da presupposti sbagliati, e ad assicurare che ci si sta muovendo verso criptovalute più ecosostenibili. Gli oppositori, invece, sostengono che queste fantomatiche rivoluzioni verdi siano usate come capro espiatorio, perché le criptovalute sono programmate per essere sempre più dispendiose col passare del tempo, e che anche se ci si stesse muovendo in quella direzione non sarebbe abbastanza in fretta per evitare seri danni all’ambiente.

È un dibattito molto acceso e molto complesso, ma certamente non è una bella presentazione per la rivoluzione che è la criptoarte: un nuovo modo di dare valore al mondo digitale, che però potrebbe avere serie ripercussioni su altri aspetti altrettanto apprezzati da coloro che ne fruiscono.

A cura di Davide Bertot

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https://www.theguardian.com/culture/2021/mar/05/what-is-cryptoart-how-much-does-it-cost-and-can-you-hang-it-on-your-wall

https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/criptoarte-rivoluzione-o-bolla-speculativa-/135779.html

https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni#caratteristiche

https://netpositive.money/faq/

https://memoakten.medium.com/the-unreasonable-ecological-cost-of-cryptoart-2221d3eb2053

https://everestpipkin.medium.com/but-the-environmental-issues-with-cryptoart-1128ef72e6a3

https://www.ofnumbers.com/2021/02/14/bitcoin-and-other-pow-coins-are-an-esg-nightmare/

https://www.theguardian.com/technology/2021/feb/27/bitcoin-mining-electricity-use-environmental-impact

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S2214629619302701

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Davide Bertot

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Cultura

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Meme Blockchain+