Covid e mondo del lavoro: ritorno alla normalità o nuova normalità?

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  Davide Bertot
  23 novembre 2021
  5 minuti, 53 secondi

Il mondo del lavoro è da sempre un argomento molto divisivo, con lavoratori e datori di lavoro in un perenne incontro/scontro in cui entrambe le parti pensano di sapere qual è il modo migliore per garantire il benessere di tutti. Spesso i grandi cambiamenti della storia, dalla rivoluzione industriale a quella comunista, dalla nascita dello Stato moderno a quella dello Stato assistenziale, sono iniziati proprio da lì, perché il lavoro è una parte fondamentale della vita di tutti noi. Oggi, di fronte al grande sconvolgimento delle nostre vite che è stato il Covid-19, potremmo star assistendo all’inizio di un altro grande cambiamento nel mercato del lavoro.



The Great Resignation

Per comprendere questo fenomeno dobbiamo spostarci negli Stati Uniti, dove da tempo si registra una tendenza apparentemente bizzarra. Secondo il New York Times, al momento gli USA stanno subendo una profonda crisi dell’offerta di lavoro, con aziende che, anche di fronte a un aumento della domanda di lavoratori, con la riapertura dell’economia post-lockdown faticano a trovare nuovi dipendenti e, anzi, vedono impotenti i propri dipendenti licenziarsi in massa. Il Labor Department (l’equivalente statunitense del nostro Ministero del Lavoro) stima la cifra record di quattro milioni di persone che si sono licenziate nel solo aprile 2021.

Questo fenomeno denominato The Great Resignation è ancora più straordinario in una realtà del lavoro come quella statunitense, così lontana dalla nostra perché meno regolamentata e quindi molto sbilanciata a favore dei datori di lavoro.

Negli Stati Uniti questo è un dibattito che ha diviso e divide tuttora moltissimo democratici e repubblicani: Joe Biden in persona ha invitato i datori di lavoro a pagare di più i dipendenti, avanzando l’idea che siano le paghe basse a dissuadere le persone dal tornare al lavoro dopo il Covid-19, ma molti fanno notare che seppur vera, questa non può essere la motivazione principale, perché la questione tocca tutti i settori, anche quelli molto specializzati e pagati. D’altra parte, i repubblicani puntano il dito contro le misure straordinarie di welfare introdotte per far fronte alla crisi sanitaria, che “dando soldi alle persone per stare a casa” le avrebbero disincentivate a cercare lavoro. Anche questo è vero in un certo senso, ma questi benefit emergenziali sono da tempo finiti senza che ci sia stata una corsa a cercare nuovamente impiego, segno del fatto che la situazione è più complessa di quanto entrambe le parti politiche vorrebbero dipingerla.

Ma allora quali sono le vere ragioni dietro a svariati milioni di americani che in questo momento nemmeno cercano lavoro, nonostante la richiesta?



Il Covid-19 e la paura del contagio

Innanzitutto, dietro la ritrosia che molte persone oggi hanno nel tornare al lavoro c’è senza dubbio la pandemia e la paura della possibilità di contagio, specialmente per i lavori che richiedono molto contatto con il pubblico. Questo è dovuto a un quadro epidemiologico che, a differenza dell’Italia e di buona parte dell’Europa, è ancora molto alto per numero di contagi e morti pro capite, anche perché negli USA il vaccino e tutte le misure di precauzione necessarie a evitare il contagio sono diventate scelte politiche, quindi hanno più a che fare con il partito di appartenenza che con concetti di salute pubblica o di protezione e prevenzione dei rischi sanitari.



Le nuove dinamiche di mercato

Un secondo elemento è legato alla ristrutturazione delle dinamiche di potere nel mercato del lavoro: è certo che molti di questi lavoratori reticenti, finiti i soldi risparmiati a causa della minore spesa individuale dovuta alla pandemia, dovranno tornare al lavoro prima o poi.

Tuttavia, per ora ad avere più bisogno sono i datori di lavoro, cosa che sposta nelle mani dei dipendenti un certo quantitativo di potere contrattuale, soprattutto nei lavori più sottopagati (come i camerieri, che negli USA guadagnano praticamente solo dalle mance e che finora erano sempre stati molto facili da rimpiazzare).

Anche se molti fra economisti ed esperti si dicono convinti che questo sia solo un effetto temporaneo e che prima o poi anche negli Stati Uniti si tornerà a una situazione più “normale” (anche perché è necessario che l’economia e i consumi, e quindi il mercato del lavoro, tornino in qualche modo a regime), questo passaggio potrebbe avere degli effetti migliorativi a lungo termine sullo stipendio e sulle condizioni di lavoro medi dei dipendenti statunitensi.



Un nuovo paradigma del lavoro

La terza motivazione, forse quella più importante, è attribuibile a un cambiamento epocale del modo di concepire il lavoro riassumibile in due parole: smart working.

Anche in Italia, il 15 ottobre è stato decretato che la maggior parte dei lavoratori nel settore pubblico dovesse tornare negli uffici. Questo aspetto non è stato accolto con particolare entusiasmo da chi in questo anno e mezzo ha sperimentato il concetto di telelavoro o smart working, in quanto in moltissimi hanno colto un miglioramento della loro qualità di vita. E come è successo da noi, anche negli Stati Uniti molti avrebbero, secondo gli osservatori, iniziato a domandarsi se ne valesse davvero la pena.

Questo cambiamento ha portato i più grossi nomi internazionali a provare ad adeguarsi. Microsoft e Desigual sono stati i primi a permettere che i lavoratori potessero stare circa metà settimana a casa; Facebook ha annunciato che qualsiasi dipendente che non necessiti di essere fisicamente presente potrà lavorare da remoto, e così molte altre aziende si sono preparate a fare la stessa cosa anche in Italia: compagnie come Fastweb, Wind Tre e Bayer hanno già preso accordi in questo senso, mentre altre come Unicredit, Poste e Vodafone hanno annunciato che il 60% del personale potrà, a un certo punto, lavorare solo da remoto.

I benefici dello smart working sono reali, sia a livello relazionale (stare più con la propria famiglia, gestire il proprio tempo in autonomia) e sia economico (poter lavorare per un grosso gruppo senza dover risiedere in città dove la vita è molto costosa), e questo ha portato, secondo una stima del politecnico di Milano, 6,58 milioni di persone a lavorare da remoto in Italia nel 2020, dato che si è poi assestato attorno al 30% dei lavoratori dipendenti ancora oggi in maniera agile.

Ma questo tema rimane ancora molto dibattuto. Una recente ricerca nell’ambito del Digital Summit di EY ha sottolineato come la metà dei lavoratori che ha continuato a lavorare da remoto durante la pandemia si sia sentita in realtà a disagio con il telelavoro.

Insomma, è possibile che sia davvero in arrivo un cambiamento di paradigma e, anche se la situazione attuale è un caso limite che non può perdurare, è ormai chiaro che il Covid-19 ha causato – o quantomeno accelerato – un cambiamento sostanziale nel mondo del lavoro.

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L'Autore

Davide Bertot

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Società

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Covid19