Covid-19: un virus che colpisce anche il lavoro femminile

  Articoli (Articles)
  Redazione
  18 febbraio 2021
  4 minuti, 38 secondi

L'impatto del Covid-19 sull'economia globale è stato certamente profondo. Molte imprese sono state obbligate a chiudere o a ridimensionarsi, così milioni di persone hanno visto le loro condizioni lavorative sempre più instabili. Ad aprile 2020, L’OIL, Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha stimato che le misure di blocco totale o parziale del lavoro riguardavano quasi 2,7 miliardi di lavoratori, circa l'81% della forza lavoro mondiale.

Non vi è dubbio, quindi, che il Covid-19 stia attirando l'economia mondiale verso una recessione globale. A tal proposito, secondo quanto affermato nel Report pubblicato delle Nazioni Unite: “The Impact of Covid-19 on Women” (L’impatto del Covid-19 sulle donne), le prove emergenti sull'impatto del Covid-19 suggeriscono che la vita economica e produttiva delle donne sarà influenzata in modo sproporzionato e diverso rispetto agli uomini. Infatti, in tutto il mondo, la forza lavoro femminile guadagna meno, risparmia meno, svolge lavori meno sicuri ed ha più probabilità di essere impiegata nel settore informale. Per tutti questi motivi la capacità delle donne di assorbire gli shock economici è inferiore a quella degli uomini.

Tali impatti rischiano di rallentare i già fragili miglioramenti fatti da parte delle donne nell’ambito lavorativo, limitando la loro capacità di mantenere se stesse e le proprie famiglie, in particolare per quelle con capofamiglia di sesso femminile. In molti paesi, il primo ciclo di licenziamenti è stato particolarmente acuto nel settore dei servizi, tra cui il commercio al dettaglio, l'ospitalità e il turismo, dove le donne sono sovrarappresentate.

La situazione è peggiore nelle economie in via di sviluppo, dove la stragrande maggioranza dell'occupazione femminile, il 70%, è nell'economia informale, con poche protezioni contro il licenziamento o per i congedi di malattia retribuiti e un accesso limitato alla protezione sociale. Per guadagnarsi da vivere questi lavoratori dipendono spesso dallo spazio pubblico e dalle interazioni sociali, che si sono limitate per contenere la diffusione della pandemia.

Il virus ebola, ad esempio, ha dimostrato che la quarantena può ridurre significativamente le attività economiche e di sostentamento delle donne, aumentare il tasso di povertà e l'insicurezza alimentare. Inoltre, mentre l'attività economica degli uomini è ritornata ai livelli pre-crisi subito poco dopo la cessazione delle misure preventive, l'attività economica delle donne ha avuto gravi ripercussioni sulle stesse e sulla loro sicurezza economica.

Come riporta il Report precedentemente citato dell’ONU, dalle esperienze passate e dai dati emergenti, è possibile ipotizzare che gli impatti della recessione globale Covid-19 si tradurranno in un calo prolungato dei redditi delle donne e della partecipazione alla forza lavoro, con impatti cumulativi per le donne che già vivono in povertà.

Soffermandoci sulla situazione italiana, sono i fatti concreti a giustificare l’ipotesi dell’ONU di come il Covid-19 abbia influenzato e influenzerà la già critica condizione lavorativa femminile. Secondo i dati Istat, a dicembre 2020 si sono registrati 101mila lavoratori in meno, ma di questi 99mila sono donne e solo 2mila gli uomini. Dunque, stiamo parlando di un crollo quasi totalmente al femminile. Com’è variato il tasso di occupazione? Quello delle donne a dicembre è calato di 0,5 punti, a discapito di una crescita del tasso di inattività di 0,4 punti. Per gli uomini, invece, si può parlare di una stabilità di occupazione, associata ad un calo dell’inattività di -0,1 punti.

Giunti a questo punto è interessante osservare quali sono gli esempi delle professioni, per l’appunto svolte in maggioranza da donne, più penalizzate. Al primo posto si trovano le commesse, soprattutto nell’ambito dell’abbigliamento. Infatti, in seguito alla chiusura dei negozi e all’aumento delle vendite online, sono state loro a risentire maggiormente degli effetti della pandemia. Successivamente, si collocano le addette al settore fieristico, ambito dove il fatturato ha visto riduzioni fino al 90%. Vi sono poi bariste e cameriere che, oltre ad avere risentito della situazione incerta riguardo le riaperture dei locali, spesso hanno contratti a termine. Successivamente si trovano le formatrici e addette al recruiting, settore ancora in stallo ma che si sta gradualmente riprendendo. Potremmo continuare quest’elenco citando altri ambiti in cui storicamente la maggioranza degli occupati sono donne: le addette alle mense aziendali/scolastiche e alle pulizie, le guide turistiche, le hostess e le animatrici turistiche, le badanti e le addette dell’industria tessile-abbigliamento.

Un altro dato preoccupante è quello relativo al calo del numero di imprenditrici. Come riportano i dati di Unioncamere, nel secondo trimestre vi è stato un crollo del 42,3% delle nuove imprese femminili. Inoltre, come mostra uno studio presentato dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi di Confcommercio), nel 2020 il numero di attività gestite da donne si è ridotto dello 0,7% rispetto al 2019. A tal proposito, i dati relativi all’imprenditoria maschile si pongono in netto contrasto, dove si è registrato un aumento complessivo dello 0,4%.

In conclusione, tutte le misure che i rispettivi governi intenderanno mettere in pratica per contrastare la pandemia dovranno mirare a costruire economie e società più uguali, inclusive e sostenibili. Questa è forse la lezione più chiara che emerge dalla pandemia. Ciò include politiche economiche e sociali che rispondano alle esigenze di genere e che pongano la vita economica delle donne al centro. Tutto ciò va implementato nell’ottica che non si tratti di un discorso relegato al genere femminile, ma di una questione che deve essere risolta in quanto influente sul benessere collettivo di ogni paese.

a cura di Licia Signoroni 

Condividi il post

L'Autore

Redazione

Categorie

Tag

Covid19