COP26: riflessioni su un fallimento quasi annunciato

  Articoli (Articles)
  Tiziano Sini
  25 novembre 2021
  5 minuti, 19 secondi

Lo scorso 14 novembre, dopo più di 10 giorni di negoziazioni, si è concluso uno degli appuntamenti più attesi degli ultimi anni, la 26° Conferenza delle Parti, meglio nota come COP26[1].

Il 1° novembre, subito dopo il termine del G20 di Roma, sono iniziati i negoziati - rimandati di un anno a causa della pandemia - relativi all’altro grande problema del nostro tempo: la crisi climatica.

Come spesso accade però, l’urgenza del problema non ha trovato facile riscontro nei propositi degli stessi Stati. Questo è il motivo per cui, al termine dei lavori, non sembrano nemmeno così assurde le posizioni di molti analisti, che sottolineavano l’elevata probabilità di fallimento della Conferenza delle parti, nonostante la grandissima attenzione mediatica sul tema[2].

Il documento finale (Glasgow Climate Pact[3]), così come lo stesso svolgimento dei lavori, ha seguito pedissequamente le tendenze che avevano caratterizzato gli ultimi tempi. Infatti, le fratture che erano emerse alcuni giorni prima, durante il G20, non si sono ricomposte e hanno portato all’affossamento di qualsiasi proposta virtuosa volta ad affrontare la sfida in maniera matura e risoluta. Ciò si è notato soprattutto dall’incapacità di seguire i 4 obiettivi cardine su cui verteva la Conferenza[4].

Il “fallimento monumentale”[5], come definito dalla delegazione del Pacifico, ha mostrato un mondo estremamente polarizzato. Di fronte al problema dei cambiamenti climatici non vi è una reale comune coscienza critica, ma soggetti diversi intenzionati a far prevalere le proprie ragioni.

Questa prospettiva rende chiaro come la Cop26 sia risultata alquanto fallimentare, a partire dalla nota più lungamente dibattuta: il discutibile impegno di fronte alla dismissione del carbone come combustibile fossile.

Se da un lato la storica intesa trovata fra Usa e Cina[6] ha fatto sicuramente ben sperare, l'aspettativa è stata disattesa da quanto emerso dai negoziati. Infatti, il progressivo mutamento degli intenti iniziali, che dalla prima bozza alla versione finale del documento sono profondamente cambiati, ha portato ad una riduzione significativa dell’impegno inizialmente concordato.

La spinta è giunta dalla Cina e soprattutto dall'India, che è determinata, almeno per il momento, a proseguire la produzione energetica attraverso il carbone, nonostante l’emergenza climatica nel Paese[7]. Infatti, è stato introdotto un emendamento che dal principio di eliminazione graduale (phase out), proposto inizialmente, è passato al concetto di riduzione graduale (phase down), che in parte snatura la sostanza[8].

Va sicuramente detto che un piccolo passo avanti rispetto all’Accordo di Parigi c’è stato. Infatti, in passato non vi era mai stata la volontà di citare negli accordi la necessità di riduzione dei combustibili fossili. Purtroppo, però, è emersa di nuovo una totale discrasia degli obiettivi, con una posizione preoccupante soprattutto per quei paesi che nel carbone trovano una fonte energetica essenziale, come appunto Cina ed India. I due Paesi hanno posticipato il raggiungimento della neutralità rispettivamente al 2060 e 2070[9].

A questo si aggiunge la teorica volontà di perseguire l’obiettivo legato al mantenimento delle temperature globali ad 1,5°, principio di per sé fondamentale, ma tutt’altro che facile da realizzare, viste le innumerevoli difficoltà che stanno emergendo nella programmazione di strategie per il futuro[10]. Questa situazione era, di fatto, intuibile dal deludente risultato dei Nationally Determined Contributions (NDCs), che non sono stati riaggiornati nemmeno da quei Paesi che in questa Conferenza avrebbero dovuto dare l’esempio come l’Ue, gli Stati Uniti e la Cina.

Dietro a tutto ciò pesano dinamiche particolari. Seguendo l'insegnamento della teoria dei giochi, il pericolo di fenomeni di free-riding costituisce enorme preoccupazione in ambito negoziale, soprattutto a causa degli ingenti costi di questa intricata partita.

La soluzione che è stata trovata per risolvere l’impasse relativo agli NDC riguarda lo slittamento della discussione alla prossima COP(27), che si terrà in Egitto fra un anno. Una notizia sicuramente positiva, vista l’attenzione sul tema. Questo verrà infatti discusso con cadenza annuale e non più quinquennale. Inesorabili preoccupazioni però aleggiano sull’iniziativa, a causa della diffidenza dei paesi nel porsi obiettivi più ambiziosi.

Senza contare il problema sollevato dalla decisione di tenere la COP in un Paese che ha avuto, negli ultimi anni, seri problemi con i diritti umani e che si trova di fronte ad una grande occasione internazionale per rilanciare la propria immagine.

Di fronte a questo “bla bla bla”[11], come è stato definito da Greta Thumberg, numerose sono le critiche maturate. Tra queste, quella all’ex Presidente americano Obama, che è intervenuto durante i negoziati ricordando l’importanza della lotta ai cambiamenti climatici. Il suo intervento ha assunto una posizione di assoluto rilievo, visto il successo dell’Accordo di Parigi raggiunto durante la sua presidenza. D'altro canto, questo impegno non lo ha esonerato da aspre critiche, soprattutto per le promesse disattese sugli aiuti economici ai paesi più fragili, che lui stesso aveva promosso[12].

La questione estremamente dirimente è così tornata in discussione. Se da un lato, dei 100 miliardi l’anno promessi nel 2009 ne sono giunti nel 2019 solamente 80; dall'altro, sembra essere stata trovata una nuova intesa che consenta di stanziare circa 500 miliardi di dollari per i prossimi 5 anni, per coprire gli oneri di attuazione di strategie volte alla riduzione delle emissioni e all’“adattamento”, che rispetto alla prima voce di spesa risulta estremamente dispendioso.

In fin dei conti, quindi, quello che la COP26 ci ha insegnato è che non sempre le aspettative corrispondono alla realtà, neanche di fronte a problemi di estrema gravità. Allo stesso modo, la diplomazia ed il multilateralismo sono l’ultima vera soluzione per riuscire faticosamente a raggiungere risultati tangibili, in un momento che sembra quanto mai cruciale.

[1] https://www.duegradi.eu/news/conferenze-clima/

[2] https://www.agi.it/estero/news/2021-10-31/glasgow-al-via-cop26-clima-14389960/

[3] https://unfccc.int/sites/default/files/resource/cop26_auv_2f_cover_decision.pdf

[4] https://ukcop26.org/cop26-goals/

[5] https://www.huffingtonpost.it/entry/rapporto-uk-covid-il-piu-grande-fallimento-del-paese-errori-monumentali_it_61655d2ce4b0c1ab4bb8594b

[6] https://www.corriere.it/esteri/21_novembre_10/cop26-intesa-cina-usa-clima-biden-xi-lavoreranno-insieme-1c4c5444-4260-11ec-8325-c375288f2b79.shtml

[7] https://www.ilsole24ore.com/art/delhi-paladina-carbone-cop26-ora-ferma-centrali-lo-smog-AEz3TXx?refresh_ce=1

[8] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cop26-il-bilancio-degli-accordi-di-glasgow-32339

[9]https://www.lastampa.it/esteri/2021/11/13/news/cop26_testo_approvato_a_glasgow_ma_l_accordo_e_annacquato_l_india_impone_frenata_sul_carbone-411988/

[10] https://climateactiontracker.org/

[11] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cop26-piazza-contro-il-bla-bla-bla-32266

[12] https://www.micromega.net/cop26-sul-clima-fallimento/

Condividi il post

L'Autore

Tiziano Sini

Tag

#climatechange