Colombia: effetto 11 settembre

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  Elisa Maggiore
  17 settembre 2021
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L’11 settembre, lo sappiamo bene, ci fu attentato terroristico e subito fu compromissione della sicurezza internazionale. Ma fu anche stravolgimento delle composizioni istituzionali, americane in primis, dopo l’intuizione di una minaccia terroristica qualitativamente diversa dalle precedenti, certamente transnazionale e con obbiettivi moderni: abbattimento dei regimi politici e (probabilmente) controllo di importanti risorse energetiche. Se globalizzata fu la venuta del terrorismo dell’anno uno del Ventunesimo secolo, fu globalizzato anche il suo ascendente. In Colombia, infatti, l’allora presidente Álvaro Uribe Vélez fece del discorso antiterrorismo di Bush bandiera per il conflitto interno colombiano: nel 2001 la Colombia, col fallimento delle trattative di pace tra il governo di Andrés Pastrana e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), si approssimò pericolosamente ad un nuovo sistema di caos e violenza politica che sconfinò in uno dei periodi più violenti della guerra.

Uribe, all’epoca, durante la campagna presidenziale, promise “mano forte” contro i guerriglieri e questo forse bastò a permettergli di vincere la presidenza al primo turno con 20 punti di vantaggio. Nel 2002, una volta presidente, potenziò i rapporti politici e militari tra la Colombia e gli Stati Uniti d’America. Uribe per la prima volta presentò al mondo la criminalità delle FARC come minaccia internazionale, come terrorismo: nel suo primo discorso alle Nazioni Unite paragonò l’11 settembre a una strage delle FARC a Bojayá, Chocó. Pronunciò spesso sempre nella stessa sede, ma l’anno successivo, la parola “terrorismo”. Dall’altra parte, per gli Stati Uniti, di fatto, gli attacchi terroristici furono chiave per l’ouverture strategica in termini di sicurezza e contrasto: per la prima volta gli americani si focalizzarono sui legami della violenza internazionale riconoscendo l’inclusione, oltre che del terrorismo, anche del traffico di droga, del riciclaggio di denaro e della criminalità organizzata.

Con le visioni dei due paesi perfettamente allineate, nelle relazioni bilaterali tra Colombia e Stati Uniti la guerra alla droga si aggiunse a quelle del terrore: entrambe considerate priorità. In verità, già i presidenti Pastrana e Clinton anni prima suggellarono l’alleanza di sicurezza tra i due paesi: il primo riuscì a far inserire le FARC negli elenchi di organizzazioni terroristiche, e più, firmò il Plan Colombia, un progetto di assistenza militare. Il finanziamento di questo plan aumentò negli anni, tanto che dal 2001 al 2016 furono inviati una media di 404 milioni di dollari all'anno, cambiando radicalmente le possibilità dell’esercito colombiano, soprattutto in termini di armi. Con l’ascesa di Uribe aumentarono anche il numero di ufficiali e appaltatori statunitensi nel Paese disposti ad addestrare e supportare le truppe colombiane.

Sia chiaro: la meccanica e l’evoluzione del conflitto colombiano non sta nell’11 settembre come unica causa, o come quella determinante, però, senz’altro, la presidenza di Uribe, centrata sulla rimozione del controllo territoriale delle FARC e sul rovesciamento dei suoi leader, ha subito l’influenza di un contesto internazionale post 11 settembre. Eclissata la sfiducia di diversi senatori statunitensi del Partito Democratico rispetto la garanzia di tutela dei diritti umani, per gli Stati Uniti la lotta alle FARC divenne priorità. Un impegno, questo statunitense, che fu corrisposto con l’appoggio della Colombia alla guerra in Iraq del 2003: per Uribe “La Colombia ha chiesto al mondo sostegno per sconfiggere il terrorismo e non può rifiutarsi di sostenere la sconfitta del terrorismo ovunque si esprima. Per chiedere solidarietà dobbiamo essere solidali". Lo stesso presidente ha riconosciuto che la chiave del successo della sua politica di sicurezza democratica sta nel sostegno degli Stati Uniti d’America.

Nel 2008 (due anni prima che Uribe lasciò il potere), la politica di sicurezza democratica del presidente colombiano venne messa in discussione: periodo in cui cominciarono ad essere rivelate dall’esercito americano violazioni di diritti umani nella lotta contro il terrorismo internazionale. La politologa Sandra Borda sostenne criticamente che "l'11 settembre ha fornito a Uribe argomenti che prima non aveva, ha alimentato il suo discorso guerrafondaio e ha creato uno spazio per più brutalità e più violazione dei diritti umani con la giustificazione della minaccia terroristica”. E Alejo Vargas, politologo, concordò: "L'attacco alle Torri Gemelle ha creato l'ambiente politico, locale e internazionale che ha permesso di giustificare il 'tutto va bene' all'opinione pubblica e alla comunità internazionale, perché stavano combattendo contro terroristi con un atteggiamento spietato e antidemocratico”.

L’Operazione Phoenix e quella Jaque sono esempi in cui furono raggiunti importanti obiettivi militari del governo di Uribe ma superando i codici di condotta raccomandati dal diritto internazionale: durante la prima fu violata la sovranità dell’Ecuador, mentre nella seconda ci fu un abuso del simbolismo della Croce Rossa. Uribe non negò gli accaduti ma li giustificò come danni collaterali della lotta globale al terrorismo e come svincolati dai propri ordini.

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