Climate finance: di cosa si tratta e perché se ne parla

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  Irene Boggio
  07 luglio 2022
  5 minuti, 36 secondi

Nel suo discorso sullo stato dell'Unione, pronunciato il 15 settembre dinanzi al Parlamento Europeo, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen non ha mancato di trattare il tema della crisi climatica, cogliendo l'occasione per ricordare alcune delle iniziative sinora messe in campo dall'Unione allo scopo di contrastare i cambiamenti climatici e di mitigarne gli effetti e, al contempo, per annunciare alcune misure di cui la Commissione Europea proporrà l'adozione nel prossimo futuro. Ad aver fatto notizia, tra di esse, è stata in particolare la proposta di un finanziamento supplementare di 4 miliardi di euro fino al 2027 in favore dei Paesi meno sviluppati. Secondo la proposta, questi ultimi – che meno hanno contribuito a determinare l'attuale condizione di profonda alterazione, antropogenica, del clima, ma che più ne subiscono gli effetti – riceveranno fondi a fini di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento alle loro conseguenze. La Presidente von der Leyen ha poi sollecitato gli Stati Uniti a intensificare anch'essi i propri sforzi, a sostegno degli stati meno sviluppati e più esposti e vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, nella speranza che il “climate finance gap” possa così essere colmato.

La risposta degli Stati Uniti non si è fatta attendere: al richiamo della Presidente von der Leyen – che non è certo passato inosservato – il Presidente Biden ha risposto attraverso il proprio intervento all'Assemblea Generale dell'ONU del 21 settembre. In quell'occasione, Biden ha infatti dichiarato: “ad aprile ho annunciato che avremmo duplicato i nostri finanziamenti pubblici volti a sostenere le nazioni in via di sviluppo nell'affrontare la crisi climatica. Oggi sono fiero di annunciare che lavoreremo con il Congresso per duplicare quella cifra un'altra volta. Questo farà degli Stati Uniti un leader della finanza climatica. E con il nostro contributo, insieme ai capitali privati provenienti da altri donatori, saremo in grado di conseguire l'obiettivo di mobilitare 100 mld di dollari per sostenere l'azione climatica nei Paesi in via di sviluppo.”1

Precisamente, ad aprile 2021 il Presidente Biden aveva annunciato che gli USA avrebbero erogato finanziamenti a sostegno dei Paesi meno sviluppati, a scopo di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici, per un totale di $5,7 mld all'anno. Stanti le dichiarazioni rilasciate a settembre 2021, invece, gli Stati Uniti dovrebbero raggiungere gli $11,4 mld annui entro il 2024. Tuttavia, le promesse pronunciate dal Presidente Biden in occasione dell’Assemblea Generale ONU paiono oggi destinate a restare disattese: la legge federale di bilancio per il 2022 (“Consolidated Appropriations Act 2022”) approvata dal Congresso il 9 marzo 2022 e dal Senato il giorno successivo, e sottoscritta dal Presidente il 15 marzo, ha infatti destinato alla “international climate finance1 miliardo di dollari (su un totale di spesa, per l’anno fiscale 2022, di 1,5 trilioni). La cifra – decisamente deludente rispetto alle previsioni – rende il conseguimento dell’obiettivo di erogazione di 11,4 mld di dollari annui a beneficio dei Paesi meno sviluppati e in via di sviluppo, entro il 2024, piuttosto improbabile: se il tasso di incremento su base annuale delle risorse destinate alla finanza climatica si mantenesse ai livelli attuali, gli Stati Uniti non taglierebbero il traguardo degli 11,4 miliardi annui prima del 2050.

Ma cosa s'intende esattamente per finanza climatica? E che cos'è il “climate finance gap”, di cui si è preso a discutere proprio per effetto delle dichiarazioni dei vertici della Commissione Europea e dell'amministrazione statunitense?

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) – entrata in vigore nel 1994 e ratificata da 197 Stati (le “Parti2) – prevede che gli Stati dalle economie più sviluppate supportino finanziariamente i Paesi in via di sviluppo (attraverso la cosiddetta “climate finance”) nel perseguimento degli obiettivi enunciati dalla Convenzione stessa. Questo proprio a partire dal riconoscimento del fatto che le Parti differiscono tra loro non soltanto quanto a capacità di fare fronte al mutamento climatico e alle sue conseguenze, ma anche sul piano della responsabilità: non tutti, infatti, hanno contribuito ugualmente al determinarsi del problema (anzi).

Il “principio della responsabilità comune ma differenziata e delle differenti capacità”, in base a cui i Paesi industrializzati sono chiamati a sostenere le economie meno sviluppate nel fare fronte ai cambiamenti climatici, tanto sul piano della mitigazione quanto dell'adattamento, è stato poi ribadito dal Protocollo di Kyoto (1997). A quantificare l'ammontare delle risorse finanziarie da destinarsi ai Paesi in via di sviluppo, invece, sono stati l'Accordo di Copenhagen del 2009 e gli Accordi di Cancun del 2010, che hanno vincolato i Paesi più sviluppati a mobilitare congiuntamente, entro il 2020, 100 mld di dollari all'anno in favore dei Paesi meno sviluppati.

L'obiettivo dei 100 miliardi annui è stato poi confermato dal Trattato di Parigi nel 2015 e prorogato al 2025. La proposta della Presidente von der Leyen di aumentare di 4 miliardi - da erogare tra il 2021 e il 2027 - i finanziamenti europei, che già ammontano a circa 25 miliardi di euro all'anno, considerando i contributi di ciascuno dei 27 Stati membri, si deve al fatto che il conseguimento di quell'obiettivo pare ancora lontano (e per nulla assicurato).

Secondo un rapporto pubblicato dall'OCSE il 17 settembre 2021, nel 2019 i Paesi sviluppati hanno raccolto complessivamente 79,6 mld di dollari, un incremento del 2% rispetto al 2018, quando sono stati mobilitati 78,3 miliardi. Negli anni precedenti si erano registrati incrementi più significativi, pari al 22% tra il 2016 e il 2017 e all'11% tra 2017 e 2018. Nel 2019, quindi, l'obiettivo dei 100 miliardi di dollari annui è stato mancato di circa 20 miliardi – è questo il cosiddetto “climate finance gap” – e pare che nel 2020 non sia andata meglio (anche per via degli effetti economici della pandemia di COVID-19), sebbene i dati relativi al 2020 non siano ancora disponibili.

2 Per questo prende il nome di Conferenza delle Parti (COP) l'organo decisionale in cui sono rappresentati gli Stati firmatari della Convenzione quadro (UNFCCC), che si riunisce ogni anno dal 1995. Nel 2021 la Conferenza delle Parti (la ventiseiesima, per questo denominata sinteticamente COP26) si è tenuta a Glasgow, nel Regno Unito, dal 31 ottobre al 12 novembre. La prossima si terrà invece tra il 7 e il 18 novembre 2022 a Sharm el-Sheikh, in Egitto.

Immagine: https://pixabay.com/it/photos/soldi-profitto-finanza-2696219/

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Irene Boggio

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