Cabo Delgado: anche in Mozambico la forza militare potrebbe non bastare

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  Giulio Ciofini
  12 settembre 2021
  5 minuti, 12 secondi

Da ormai poco meno di un mese è cominciata l'offensiva militare portata avanti dal governo mozambicano congiuntamente alla South African Development Community (SADC) ed anche alle forze dei paesi vicini, in particolare Ruanda e Sudafrica nella regione settentrionale del paese, Cabo Delgado. L'area difatti è stata oggetto, da più di quattro anni, di violenti attacchi da parte di un gruppo di militanti, per lo più mozambicani, chiamato Ahlus Sunna wal Jamaa (comunemente conosciuto come Al-shabaab). Un movimento che soltanto nell'ultimo anno il governo di Filipe Nyusi ha cominciato a definire come "terrorista". Il primo assalto si è verificato il 5 ottobre 2017 e da allora il gruppo di ribelli è rimasto fortemente attivo nelle zone tra Mocimboa da Praia, Palma e Nangate mettendo in grave difficoltà il governo di Maputo, che nonostante i diversi tentativi unitamente a compagnie militari private come la russa Wagner Group, la Dyck Advisory Group e la sudafricana Djick non è riuscito a porre fine alla ribellione di Cabo Delgado. Nel giro di tre anni e mezzo, fino a febbraio 2021, sono stati registrati circa 798 episodi di violenza che hanno portato alla morte di quasi 4000 persone e creato più di 700.000 sfollati.

L'offensiva del governo avvenuta nell'agosto scorso segue una lunga pressione da parte dei paesi vicini e della SADC vista l'escalation di violenze verificatesi nel 2020 nella regione, con una crescita del numero delle vittime di circa il 300% rispetto ai due precedenti. Un altro elemento che ha spinto alla risposta regionale è certamente il rischio che Cabo Delgado possa diventare una frontiera islamica, da una parte vista la forte connessione con la vicina Tanzania e dall'altra in virtù dei forti legami di Al-shabaab con lo Stato Islamico (ISIS) che il 4 giugno 2019 ha proclamato i militanti mozambicani come "soldati del califfato".
La necessità di un intervento deciso non solo da parte del governo mozambicano presieduto da Filipe Nyusi ma di tutta la regione è diventata sempre più stringente dopo l'attacco nel marzo 2021 di Al-shabaab nella città di Palma, un territorio chiave vista la presenza di grandi giacimenti di gas. Un attacco che le forze speciali mozambicane insieme al gruppo militare privato Djick non sono riuscite a sventare. Grazie dunque all'aiuto di paesi vicini come Ruanda, che ha inviato già in precedenza un contingente di circa 1000 unità e Sudafrica, sotto il coordinamento della SADC le forze nazionali sono ormai riuscite a liberare pressoché il 90% dei territori in mano ad al-shabaab riconquistando il 9 agosto città importanti come Mocimboa da Praia (sotto il controllo dei militanti dall'agosto 2020).

Ad ogni modo, il fenomeno del terrorismo islamico mozambicano, per quanto non certamente nuovo nel panorama internazionale, ci fornisce l'ennesimo contesto di counterinsurgency. La risoluzione della crisi di Cabo Delgado, indubbiamente un conflitto a bassa intensità, viste le forze in campo, difficilmente potrà passare unicamente attraverso un forte e schiacciante intervento militare, ma dovrà inevitabilmente fare i conti con un'analisi che comprenda da una parte le cause che hanno portato all'occupazione della regione e dall'altra la natura e la composizione del gruppo armato di al-shabaab.

La regione di Cabo Delgado, culla della rivoluzione, è stata dall'indipendenza un territorio sostanzialmente dimenticato la cui costa sin dagli anni '90 è stata un punto di transito del narcotraffico gestito da cartelli mozambicani protetti sia a livello locale che nazionale dal FRELIMO e dove le diseguaglianze socio-economiche sono diventate col passare degli anni sempre più marcate e problematiche. La povertà, i conflitti etnici tra Makonde, Mwani e Makua, uniti alle inequità aggravatesi con la scoperta di ingenti risorse naturali come gas naturale e minerali come il rubino, che non hanno permesso alla popolazione locale di uscire da una situazione di marginalizzazione, hanno indubbiamente creato un terreno fertile per una reazione violenta di questo tipo. Non è affatto azzardato pertanto affermare che in primis, la crisi inaspritasi nel 2017 è una risposta alle gravi dinamiche socio-economiche radicate nel tempo.

Dall'altra parte invece abbiamo il gruppo armato di Al-shabaab. Un movimento eterogeneo che è stato in grado di mostrare anche una notevole resilienza viste le numerose perdite lungo questi quattro anni di conflitto e il cui numero di combattenti oscilla tra i 1500 e i 4000. Al-shabaab ha difatti potuto attingere ad una popolazione locale particolarmente scontenta e disillusa riuscendo anche a reclutare persone dalle province vicine come Niassa, Nampula e Zambezia. Per quanto riguarda i legami internazionali, il movimento mozambicano ha ricevuto soprattutto un supporto ideologico da parte di alcune cellule dei paesi vicini, in particolare dall'Al-shabaab somalo, mentre per ciò che concerne lo Stato Islamico, il comunicato del 2019 pare essere stato più un vaticinio che un avviamento più stretto dei rapporti; in questo senso è comunque da annotare come molti dei combattenti di Al-shabaab utilizzino a più riprese i simboli e le sigle dell'ISIS. Da un punto di vista economico, operativo e logistico invece, nel giro di quattro anni Al-shabaab è indubbiamente cresciuto in modo significativo, anche grazie alle disponibilità di un territorio dove sono presenti miniere illegali, tratte della droga anche con la vicina Tanzania e pratiche di mercato nero piuttosto radicate.

La riconquista della provincia di Cabo Delgado ancora deve definitivamente terminare ma le forze congiunte della SADC e del governo di Nyusi sono sicuramente riuscite ad infliggere un duro colpo alla ribellione che ormai da quattro anni ha colpito l'area. Ad ogni modo, una crisi di questo tipo non deve, visti i precedenti, nuovamente essere osservato soltanto attraverso la lente della counterinsurgency. Sconfiggere i militanti di Al-shabaab necessita un coordinamento tra mezzi militari e deve assolutamente tenere conto delle dinamiche locali perché è proprio così che si può innanzitutto comprendere le ragioni di questa crisi che vanno molto al di là del terrorismo di matrice islamica. Alla riconquista del territorio è necessario quindi che il governo risponda con una politica socio-economica efficace e capace di riguadagnare la fiducia della popolazione.

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L'Autore

Giulio Ciofini

Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna
Master ISPI in International Cooperation

Autore, Framing The World, Mondo Internazionale

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mozambico cabo delgado SADC terrorismo terrorismo internazionale Diritti umani