Bosnia Erzegovina: fra instabilità internazionale e rischio secessione

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  Giorgio Giardino
  26 marzo 2022
  4 minuti, 55 secondi

Mentre l’attenzione globale è rivolta alla drammatica invasione russa dell’Ucraina, preoccupa quello che potrebbe essere l’impatto del conflitto nelle zone limitrofe ed in particolar modo nei Balcani occidentali. La situazione più allarmante è sicuramente quella della Bosnia Erzegovina che, ormai da mesi, sta vivendo una delle peggiori crisi a partire dalla sua nascita e dove il pericolo di una secessione è divenuto nel tempo concreto. Il fragile equilibrio istituzionale bosniaco, frutto degli accordi di Dayton, sta infatti subendo alcuni colpi che potrebbero mettere a serio rischio la tenuta del Paese. Il principale responsabile della crisi è Milorad Dodik, leader della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, una delle entità politiche che compone lo stato. A partire da luglio, Dodik ha avviato una campagna di boicottaggio delle istituzioni federali, compiendo diversi passi che potrebbero avere conseguenze disastrose.

La Bosnia Erzegovina, a partire dagli accordi di Dayton del 1995, è suddivisa in due diverse entità che rappresentano le prevalenti etnie: da un lato la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in cui risiedono bosniaci musulmani e croati, e dall’altro la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza serba. Questo sistema è stato poi completato con la presenza di un Alto Rappresentante, figura inserita per vigilare sul rispetto degli accordi di pace e che possiede alcuni poteri rilevanti, come la rimozione di funzionari pubblici e l’esecuzione di decisioni vincolanti.

Ancora una volta sono le tensioni etniche, mai realmente eliminate, ad aver acceso questa crisi, che, secondo diversi osservatori, rappresenta il momento più basso della storia della Bosnia a partire dalla fine della guerra civile. La scintilla è infatti stata la decisione del luglio scorso di Valent Inzko, Alto rappresentante in carica fino al 2021, di emendare il Codice penale bosniaco, introducendo il divieto di negare il genocidio di Srebrenica, ovvero il massacro compiuto dalle forze serbe durante il conflitto. La posizione di Dodik e dei serbo-bosniaci è però diversa: durante la guerra civile sono state commesse molte atrocità, ma nessuna merita la qualifica di genocidio, nonostante il parere delle corti internazionali.

La risposta di Dodik non si è fatta attendere. Il leader serbo-bosniaco ha prima minacciato di boicottare le istituzioni federali, paralizzandone di fatto i lavori, e poi ha annunciato una serie di nuove misure volte a dar vita ad un esercito ed un sistema giudiziario autonomo. All’annuncio sono seguiti i fatti: il 29 ottobre è stata adottata una risoluzione per ricostituire l’esercito serbo bosniaco e, recentemente, il 10 febbraio l’Assemblea Nazionale della Repubblica Serba ha votato per adottare un disegno di legge per dar vita ad una propria istituzione giudiziaria. Dodik, che è membro della presidenza tripartita dal 2018, non ha mai nascosto il suo progetto di secessione. Lo scorso 9 gennaio a Banja Luka, capitale della Repubblica Serba di Bosnia, a seguito di una parata militare, ha sottolineato come l’obiettivo di qualsiasi movimento nazionale sia la costruzione di “uno stato popolare, vale a dire il proprio stato”. Anche la scelta del giorno di questa parata non è casuale: esattamente trent’anni dopo la costituzione della Repubblica del Popolo Serbo di Bosnia ed Erzegovina, un atto che avrebbe poi condotto alla guerra.

Non è la prima volta che Dodik dichiara apertamente di voler raggiungere la secessione, ma i passi da lui computi fino a questo momento insieme all’appoggio russo e serbo al suo piano, rendono la sua minaccia credibile. Il legame con Mosca è solido ed è dimostrato anche da un recente incontro, tenutosi a dicembre, fra Dodik e Putin, ed anche dalle dichiarazioni di ottobre del leader serbo bosniaco. Commentando la possibilità di un intervento Nato se la situazione dovesse peggiorare, Dodik ha infatti dichiarato che avrebbe chiesto aiuto ai suoi “amici”. La Bosnia poi non ha adottato alcuna sanzione nei confronti della Russia in risposta all’invasione in Ucraina, proprio a causa dell’opposizione di Dodik.

I passi compiuti da Dodik sono stati osservati con preoccupazione dalla comunità internazionale, anche alla luce dell’allarme lanciato dall’attuale Alto rappresentante in Bosnia Christian Schmidt. Il 3 novembre Schimdt avrebbe dovuto presentare il suo rapporto sulla situazione bosniaca al Consiglio di Sicurezza, ma non ha potuto partecipare alla riunione a causa dell’opposizione russa. Nel documento, che comunque è stato visionato, Schmidt ha evidenziato come la Bosnia Erzegovina stia attraversando la peggiore crisi a partire dalla fine della guerra civile e come le azioni di Dodik mettano seriamente a rischio la pace e la stabilità del Paese. Anche per questo motivo il 5 gennaio gli Stati Uniti hanno varato alcune sanzioni nei confronti del leader serbo-bosniaco, tra cui il congelamento dei suoi beni sul suolo americano. Il deteriorarsi della sicurezza a livello internazionale, a seguito dell’aggressione russa in Ucraina, ha poi portato alla decisione, nel febbraio scorso, di raddoppiare le forze Eufor sul campo, passando da 600 a circa 1.100.

Ancora una volta, dopo quasi trent’anni dalla fine del conflitto e dalla firma degli storici accordi di Dayton, la Bosnia Erzegovina si trova ad affrontare una crisi in cui politica interna ed internazionale si intrecciano. Il Paese balcanico è infatti schiacciato da un lato dal progetto secessionista di Dodik, supportato da Mosca, e dalla crescente tensione interna e, dall’altro, dal pericolo che l’instabilità provocata dall’invasione russa possa oltrepassare i confini ucraini. Fra queste due spinte c’è un Paese fragile, ancora scosso da divisioni etniche e religiose alimentate dalla retorica nazionalista dei suoi esponenti politici e la cui stabilizzazione sembra non essere mai realmente terminata.

Fonti utilizzate per la stesura del presente articolo:

Le fonti utilizzate per la stesura di questo articolo sono consultabili ai seguenti link:

https://www.valigiablu.it/guerra-ucraina-balcani/

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2021/11/19/dodik-serbo-bosnia-secessione-pericolo

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Guerra-in-Ucraina-in-Bosnia-Erzegovina-reazioni-contrastanti-e-insicurezza-216306

https://www.ilpost.it/2021/11/17/bosnia-dodik/

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Guerra-in-Ucraina-i-Balcani-col-fiato-sospeso-216258

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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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