Analfabetismo funzionale

Dal PIAAC alla riscoperta dello spirito critico

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  Redazione
  15 giugno 2019
  4 minuti, 19 secondi

L’OCSE (OECD), riprendendo uno studio delle Nazioni Unite pubblicato nel 1984, definisce l’analfabeta funzionale in questi termini:

“A person who is functionally illiterate cannot engage in all those activities in which literacy is required for effective functioning of his group and community and also for enabling him to continue to use reading, writing and calculation for his own and the community’s development”

Se l’analfabeta strutturale non è per nulla in grado di leggere e scrivere, quello funzionale ha competenze di base, ma può incontrare delle difficoltà nel comprendere a fondo quello che legge e nel trasmetterlo agli altri in forma scritta. L’analfabeta funzionale non riesce ad operare efficacemente nella società moderna in quanto non possiede le competenze adeguate a svolgere compiti fondamentali come, ad esempio, comprendere un contratto legalmente vincolante, leggere un articolo di giornale, consultare un dizionario, interagire con le più diffuse tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Sa leggere, scrivere, contare, ma non lo sa fare in maniera ottimale nella vita quotidiana, con una ricaduta negativa sul reale livello di partecipazione allo sviluppo della comunità in cui vive e sul grado di espressione del diritto di cittadinanza.

L’OCSE mappa le competenze cognitive di base degli adulti (16-65 anni) nella vita quotidiana, sul posto di lavoro e nelle comunità in molti Paesi, attraverso il Survey of Adult Skills - PIAACProgramme for the International Assessment of Adult Competencies.

Queste competenze, se sviluppate, consentono agli individui di contribuire più incisivamente alla prosperità delle società e delle economie.

The Survey of Adult Skills: Reader’s Companion, Second Edition, OECD Skills Studies è la più recente pubblicazione (2016) sulla misurazione delle competenze degli adulti, con relative metodologie utilizzate. Il rapporto è frutto dei dati rilevati nel 2011-12 in 24 Paesi, e di quelli del 2014-15 che hanno riguardato ulteriori 9 Paesi.

I tre campi di indagine vengono così denominati:

Literacy, Numeracy, Problem Solving in technology-rich environments.

Literacy è definita come l’abilità di capire, valutare, utilizzare testi scritti per essere partecipi in società, raggiungere i propri obiettivi e sviluppare conoscenze e potenziale individuale.

Numeracy viene definita come la capacità di accedere, usare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche in molteplici situazioni della vita adulta.

Problem solving in technology-rich environments attiene all’abilità di usare la tecnologia digitale, gli strumenti di comunicazione e di networking al fine di procurarsi e valutare informazioni, comunicare con gli altri, assolvere compiti pratici.

Per ogni campo di indagine sono state preventivamente individuate le strategie cognitive.

Per quello che concerne la risposta ai testi scritti, le strategie generalmente utilizzate dai lettori, ed importanti indicatori, sono: accesso e identificazione, integrazione ed interpretazione, valutazione e riflessione.

I quattro processi che invece definiscono le strategie cognitive delle capacità matematiche sono: identificazione, utilizzo, interpretazione, comunicazione di informazioni, regole, procedure matematiche e statistiche.

I processi cognitivi coinvolti, quando una persona risolve un problema, includono invece: configurazione degli obiettivi e monitoraggio dei progressi; pianificazione; individuazione, selezione e valutazione, organizzazione e trasformazione delle informazioni.

Viviamo nell’epoca della iper-informazione”, nel tempo in cui il ristretto spazio tra un tweet e l’altro può nascondere zone grigie nelle quali si insidiano, sempre più spesso, le fake news, in uso anche in passato, ma sempre più determinanti nell’era dei social media.

Riappropriarsi di un intimo spazio di libertà sarebbe doveroso, oltre che conveniente, e questo processo potrebbe essere attivato grazie ad una rinnovata capacità di discernimento.

Per i greci κριτική (crìtica) era “l’arte del giudicare”, definita così dal vocabolario Treccani: “Facoltà intellettuale che rende capaci di esaminare e valutare gli uomini nel loro operato e il risultato o i risultati della loro attività per scegliere, selezionare, distinguere il vero dal falso, il certo dal probabile, il bello dal meno bello o dal brutto, il buono dal cattivo o dal meno buono ecc.”

La stessa psicologia considera il pensiero critico come quel processo mentale durante il quale le informazioni vengono valutate e selezionate attraverso due strategie: la messa a fuoco in cui si focalizzano i punti chiave e la capacità di scavare a fondo, ponendosi domande a spettro completo, facendo connessioni e considerando diverse prospettive.

Il rapporto sulle Competenze degli Adulti ci fornisce la fotografia sullo stato in cui versano sia i Paesi OCSE, sia molti Paesi non-OCSE. I dati in esso contenuti dovrebbero fungere da stimolo a tutti i portatori di interessi (stakeholders), tra i quali possiamo annoverare le istituzioni ed i policy maker affinché affrontino l’analfabetismo funzionale come una priorità da inserire nella loro agenda.

È auspicabile il rinnovamento di molti dei sistemi educativi per tornare ad allenare spirito critico e curiosità a scuola, come nelle Università. Tutto ciò anche grazie alla collaborazione delle famiglie, per una genitorialità più consapevole che avvicini i figli e le comunità di residenza al concetto di Lifelong Learning, quell’apprendimento continuo che diventi stile di vita e attitudine, ben oltre gli obblighi scolastici ed i canali classici della formazione.

A cura di Nico Delfine

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