Ahmed Samir Santawy

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  Alice Stillone
  21 maggio 2021
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Attualmente l’Egitto è una Repubblica semipresidenziale guidata da Abdel Fattah al-Sisi, militare e politico egiziano arrivato al potere tramite un colpo di stato delle forze armate egiziane del 3 luglio 2013 volto a rovesciare il precedente presidente Mohamed Morsi.

Sin dall’inizio della sua presidenza, al-Sisi si è impegnato a dare un taglio radicale al suo governo cominciando con una revisione della Costituzione approvata alla fine del 2012 e criticata perché eccessivamente accondiscendente alle forze islamiste. Dopo varie trattative l’Assemblea costituente giunge all’approvazione, il 4 dicembre 2013, di una nuova Carta Fondamentale che mirava a rafforzare il ruolo delle forze armate egiziane, dava pieni poteri di controllo del budget da parte dell’esercito e proibiva i partiti religiosi. Il regime di al-Sisi si caratterizza per essere nettamente contrario alle politiche portate avanti dal predecessore che, di contro, erano eccessivamente favorevoli alle fazioni islamiste oltre che tendenzialmente sfavorevoli alle forze armate egiziane.

È sembrato sin da subito evidente che il nuovo regime di al-Sisi stesse cercando di collegare al contrasto contro il terrorismo una serie di misure contro esponenti dell’opposizione o della società civile che minavano fortemente la libertà d’espressione. A tal proposito infatti, già dai primi anni di presidenza, il nuovo regime si caratterizzò per l’emanazione di diversi decreti volti a ridurre al minimo le opposizioni al regime, tra questi ricordiamo il decreto che vietava il diritto alla manifestazione, e quello che limitava le attività delle ONG straniere in territorio egizio.

L’emanazione della nuova Carta, letta insieme al decreto dello stesso anno che assegnava a molti movimenti religiosi - per esempio quello della Fratellanza Musulmana - l’etichetta di gruppo terroristico, mascherandosi da finta ma apprezzata facciata di progressismo secolarista, inaugurava in realtà l’inizio del regime tipicamente repressivo destinato a durare sino ad oggi.

Tale situazione, rafforzata da altre leggi come quella anti-terrorismo del 2015, dalle molteplici legislazioni volte a controllare i media, il web e a combattere la criminalità informatica, o ancora dall’istituzione del Consiglio supremo per l’organizzazione dei media, ha portato ad una continua soppressione del diritto alla libertà d’espressione e di quello alla libertà d’informazione.

Infatti, a seguito di questa azione legislativa, le autorità egiziane hanno bloccato circa 500 siti web accusati di diffondere notizie false senza che vi fosse effettivamente una base giuridica che provasse quanto sostenuto dall’accusa.

Considerando la situazione politica appena analizzata, è facile immaginare le condizioni in cui versano coloro che cadono nelle mani del regime di al-Sisi in quanto sospettati di terrorismo o di aver intentato azioni contro la sicurezza dello stato.

Il più recente caso di prigionia è quello dello studente e ricercatore ventinovenne della Central European University di Vienna, Ahmed Samir Santawy che è detenuto dal 1° febbraio 2021 con l’accusa di terrorismo. Sembrerebbe che la reale “colpa” dello studente sia quella di avere svolto attività in ambito accademico sui diritti delle donne e sulla storia dei diritti riproduttivi in Egitto.

Secondo quanto riportato da Amnesty International, già il 23 gennaio 2021 la polizia egiziana aveva fatto irruzione nell’abitazione di Ahmed che non era presente, lasciando disposizioni ai familiari affinché il giovane si recasse presso l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa). Quando il 1° febbraio il ragazzo si reca presso i luoghi indicati dagli agenti, viene immediatamente arrestato e rimane vittima di sparizione forzata sino al 6 febbraio, data in cui viene condotto per l’interrogatorio presso la Procura suprema per la sicurezza dello stato.

Ahmed Samir Santawy è attualmente in regime di detenzione preventiva presso il carcere di Tora con l’accusa di aver svolto ricerche su Islam e aborto e di aver pubblicato dei post su una pagina Facebook contro il governo egiziano, nonostante egli abbia più volte rinnegato di essere il responsabile di tale pagina. Le accuse intentate contro Ahmed non sono mai state provate, e inoltre la Procura non ha dato inizio ad un’indagine a seguito della dichiarazione con cui Ahmed ha sostenuto di essere stato vittima di sparizione forzata e di percosse da parte dell’Nsa.

La storia di Ahmed non rappresenta il primo caso di sparizione forzata con conseguente arresto senza equo processo e tortura, al contrario ci sono diversi precedenti che toccano direttamente e particolarmente l’Italia ma in generale la comunità internazionale. Tuttavia, nonostante i precedenti e la gravità delle violazioni dei diritti umani in corso, non sembra esserci un’azione efficiente e multilaterale che possa veramente mettere il regime egiziano nelle condizioni di dover ripensare alle proprie politiche e alla propria condotta. Pertanto, ciò che ci si auspica è che anche gli stati, oltre alle ONG, inizino concretamente a mobilitarsi per trovare una soluzione legittima dal punto di vista internazionale che possa mettere fine alle disumane prigionie del regime di al-Sisi in Egitto.

Fonti consultate per il presente articolo:

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