Nell'attuale Repubblica Popolare Cinese impegnata nella lotta al Coronavirus, negli scontri commerciali contro gli Stati Uniti e con una crescita economica ridotta, un’altra questione focale investe da tempo il governo di Pechino: le continue ed accese manifestazioni di piazza ad Hong Kong.
Lo scorso anno, nella stessa data di oggi, per le strade di Hong Kong si tenne una delle più popolate manifestazioni di protesta, la stessa che ancora oggi continua ad agitare le vie della regione amministrativa speciale cinese e continua a provocare squilibri geopolitici.
Per spiegare queste proteste, che vanno avanti da più di un anno, è necessario fare prima un passo indietro.
Dal 1842 al 1997 Hong Kong è stata una colonia britannica, dal cui controllo ha ereditato molti caratteri “occidentali”, non solo in termini di diritto, giurisdizione ed economia di mercato ma anche in termini di valori e principi. Grazie alla "Dichiarazione congiunta sino-britannica", nel 1997 il suo controllo passò alla Cina: l’accordo prevedeva l’assunzione da parte di Hong Kong di uno status speciale sotto il principio “Uno Stato, due sistemi”, considerando almeno fino al 2047 un certo livello di autonomia rispetto al governo centrale di Pechino. Tale difficile passaggio, tuttavia, non è stato mai veramente digerito.
Hong Kong rappresenta per la Cina un importante porto di sbocco per l’economia internazionale, un vero centro commerciale sede di grandi società cinesi, strategico dal punto di vista geografico e finanziario.
La persistente ingerenza dell’autorità centrale nella regione di Hong Kong provocò già grandi sgomenti nel 2014, quando Pechino decise di esaminare i candidati alle elezioni democratiche locali così da evitare che politici portatori di idee eversive potessero essere eletti. Nell'estate del 2019 la proposta di legge sull'estradizione, prevista per tutti i sospetti accusati di un crimine verso la Cina continentale, generò rivolte interne come poche conosciute in passato. Le proteste per la protezione dell’autonomia hongkongese, per la democrazia e per l’indipendenza del sistema giudiziario, presto sfociarono in violenze e arresti, i quali solo l’anno scorso ammontarono a oltre 7000.
Con l’inizio del nuovo anno, nonostante l’iniziale stallo delle proteste dovuto alla crisi Coronavirus, la presa cinese sulla città è aumentata. Sempre più numerose sono state le violenze e gli arresti motivati dall'infrazione delle misure di distanziamento sociale.
Una svolta è arrivata il 28 Maggio 2020, quando l’Assemblea Nazionale del popolo di Pechino ha votato quasi all'unanimità la nuova legge sulla sicurezza nazionale. Tale legge dovrebbe essere promulgata nei prossimi tre mesi e considera illegali tutte le attività svolte in opposizione all'autorità cinese sul territorio, aumentando di fatto i rischi a cui vanno incontro i manifestanti, facilmente sottoponibili ad arresti per sedizione, secessione, eversione e terrorismo. L’applicazione della legge viene rafforzata dallo stanziamento nella Regione di agenti di sicurezza cinese.
L’approvazione della legge ha così ulteriormente fomentato la rabbia dei manifestanti, contrari alla possibilità che tali nuove previsioni possano preventivamente porre fine al “modello Hong Kong”.
Questa forte situazione di precarietà si inserisce in un contesto geopolitico fortemente instabile dettato, soprattutto, dai continui attacchi commerciali (e non solo) tra Stati Uniti e Cina. Le prime critiche oltremare alla legge sulla sicurezza nazionale sono infatti arrivate dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo, il quale ha condannato la decisione cinese come irreversibile in considerazione all'indipendenza dell’isola.
Donald Trump, tra i vari attacchi e le sanzioni di tipo commerciale e finanziario, ha annunciato la sua decisione di sospendere l’immunità di Hong Kong ai dazi commerciali. Anche il Regno Unito si è opposto alla nuova legge di sicurezza nazionale, proponendo l’estensione di visto per oltre 3 milioni di residenti di Hong Kong.
Nel 2014 il giovane attivista e candidato al Nobel per la Pace Joshua Wong definì lo scontro tra Hong Kong e Pechino come una guerra infinita. Sarà veramente così?
Giulia Geneletti
Laureata con lode in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Milano, curiosa, intraprendente e sempre motivata da nuove avventure ed esperienze. Ha svolto diverse esperienze lavorative, formative e di volontariato in Italia e all'estero. Si interessa di politiche pubbliche, relazioni internazionali, comunicazione politica, affari europei e di consulenza.
Giulia è entrata nella community di Mondo Internazionale nel Giugno 2019 ed ha da allora ricoperto diversi ruoli sia di redazione che di direzione. Ad oggi è Direttore di Mondo Internazionale HUB, all'interno del quale ha dato vita al progetto di MIPP, l'Incubatore di Politiche Pubbliche di Mondo Internazionale.
Graduated with honors in Political Science from the University of Milan, curious, proactive and always motivated by new adventures and experiences. She has had several work, training and volunteer experiences in Italy and abroad. She is interested in public policy, international relations, political communication, European affairs and consultancy.
Giulia joined the Mondo Internazionale community in June 2019 and has since held various editorial and management roles. To date she is Director of Mondo Internazionale HUB, within which she gave life to the project of MIPP, the Public Policy Incubator of Mondo Internazionale.