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Spazio e detriti spaziali: tra sviluppo, tecnologia, diritto e competizione militare

All’indomani del lancio del primo satellite, Lyndon Johnson, allora Senatore degli Stati Uniti, affermò: “control of space means control of the world”[1].

L’esplorazione dello spazio extra-atmosferico e dei corpi celesti costituisce da sempre un settore caratterizzato da un notevole progresso tecnologico.

Le applicazioni spaziali hanno permesso, infatti, lo svolgimento di attività prima inimmaginabili, come ad esempio individuare risorse minerarie e zone utili per la coltivazione, la pesca, l’approvvigionamento di acqua; monitorare dallo spazio le emergenze ambientali; garantire l’accesso a Internet anche nelle aree più remote. Inoltre, i satelliti hanno svolto, e tuttora svolgono, un ruolo fondamentale in vari settori dell’economia, al punto che, virtualmente, tutti gli Stati, anche se privi della capacità di lanciare un proprio satellite in orbita, beneficiano dei servizi garantiti da tali applicazioni spaziali[2]. Basti pensare ai numerosi ambiti in cui la rete satellitare GPS viene utilizzata, per esempio nell’agricoltura,
nell’aviazione, nell’edilizia, nella gestione delle emergenze ambientali, nel trasporto ferroviario e marittimo, nella pesca, nelle transazioni monetarie e nelle comunicazioni[3].

Attualmente, il valore finanziario della cosiddetta “space economy” è stimato in 384 miliardi di dollari. Inoltre, Morgan Stanley ha valutato che entro il 2040 questo valore triplicherà, arrivando ad un totale di 1.1 trilioni di dollari[4].


Nonostante ciò, se da una parte le attività spaziali hanno contribuito e contribuiscono in modo decisivo allo sviluppo economico e tecnologico, dall’altra parte, sin dal lancio del primo satellite, i detriti spaziali hanno iniziato a popolare sempre più densamente le orbite terrestri. Ogni tipo di attività spaziale è suscettibile di produrre detriti spaziali.

Questi ultimi provengono da numerose fonti, infatti possono derivare dalla distruzione intenzionale o accidentale di un satellite, oppure dall’abbandono dei razzi spaziali o di intere parti di veicoli spaziali nelle orbite, fino ad arrivare a detriti composti dalle polveri di vernice o alluminio che si distaccano da satelliti o altri assetti spaziali.

Oggi i detriti spaziali rappresentano una delle maggiori minacce per il futuro delle attività spaziali. Il loro crescente numero fornisce un’idea esaustiva del fenomeno; difatti, è riportata la presenza di 29.000 detriti con un diametro maggiore di 10 cm, 750.000 con un diametro compreso tra 1 cm e 10 cm e 166 milioni di detriti con un diametro tra 1 mm e 1 cm[5].

L’ammasso dei detriti spaziali va a formare delle vere e proprie “nubi” destinate ad orbitare intorno alla Terra per decadi o anche secoli[6]. Inoltre, orbitando a velocità comprese tra 8 e 10 chilometri al secondo, anche il detrito più piccolo può provocare danni ingenti a qualsiasi oggetto o persona si trovi sul suo percorso.

Sono state avanzate alcune soluzioni per far fronte a questo problema. Queste si possono riassumere in due grandi categorie: la prima consiste nella stesura e adozione di guidelines internazionali per mitigare il fenomeno, la seconda è rappresentata dallo sviluppo e utilizzo di tecnologie per rimuovere fisicamente i detriti.

La prima categoria ha portato all’adozione nel 2002 delle “Space Debris Mitigation Guidelines” da parte della Inter-Agency Space Debris Coordination Committee (un’organizzazione internazionale di cui fanno parte numerose agenzie spaziali)[7]. Successivamente, la materia è stata discussa in seno alle Nazioni Unite e ha portato all’adozione da parte del COPUOS (Committee on the Peaceful Uses of Outer Space) di ulteriori linee guida.

Il problema però è rimasto e, anzi, si è aggravato. Nonostante le guidelines in questione siano certamente fondamentali e rappresentino uno dei primi passi in avanti verso un vero accordo internazionale sui detriti spaziali, tali documenti sono inadeguati per porre fine al problema.

L’inadeguatezza deriva dalla constatazione scientifica del fatto che, anche se si vietassero ora tutte le attività spaziali, la questione non verrebbe risolta. Infatti, alcune orbite sono così congestionate e densamente popolate dai detriti che essi, scontrandosi più volte tra loro, generano cascate di nuovi detriti. Questo fenomeno, che prende il nome di “Kessler Syndrome” dallo scienziato che lo scoprì nel 1978, interessa per lo più l’orbita terrestre bassa (altitudine tra 200 e 1600km).

Per quest’ultimo motivo di ordine tecnico-scientifico, l’unica modalità con cui il problema dei detriti spaziali può essere risolto è quella dello sviluppo di innovativi veicoli spaziali in grado di rimuovere materialmente i detriti dalle orbite.

Attualmente sono stati effettuati alcuni test e studi su queste tecnologie e numerosi centri di ricerca statali, anche in collaborazione con start-up, come Altius Space Machines e NovaWurk, che sono coinvolte nello sviluppo di tali tecnologie.

L'agenzia governativa leader in questo settore è la statunitense Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) che in collaborazione con la NASA sta sviluppando i progetti “Spacecraft for the Unmanned Modification of Orbits (SUMO)” e “Front End Robotic Enabling Near-Term Demonstration (FREND)”[8].

La tecnologia più promettente sono i satelliti forniti di braccia robotiche in grado non solo di rimuovere i detriti spaziali, ma anche di unire diversi detriti spaziali per costruire in orbita un satellite del tutto nuovo e funzionante.

Altri progetti prevedono anche la creazione di veicoli spaziali dotati di vere e proprie reti per catturare i detriti, come il progetto “Active Debris Removal with Nets (ADRIEN)” della European Space Agency.

Questa tecnologia, ancora agli albori, oltre agli ostacoli scientifici e tecnologici incontra anche problemi che esulano dal mondo tecnico e scientifico. Infatti, sia il diritto che la politica internazionale rappresentato forse i freni più importanti per lo sviluppo di questi futuri veicoli spaziali robotici.

Da una parte, il Trattato sullo spazio extra-atmosferico stabilisce che la proprietà di un satellite non viene pregiudicata dallo stato in cui esso si trova[9]. In altre parole, un satellite può essere ridotto in pezzi ma ciò non pregiudica che la proprietà rimanga sempre dello Stato di riferimento[10]. Quindi, per esempio, un satellite “pulitore” statunitense non può legalmente rimuovere dalle orbite una parte di un satellite russo, cinese, europeo e via dicendo.

A questo ostacolo di carattere legale, se ne aggiunge uno politico. In effetti, è innegabile come satelliti in grado di manipolare altri satelliti in orbita abbiano un carattere dual-use, ossia sono suscettibili di avere sia uno scopo civile sia militare. Lo spazio è un ambiente che è da sempre stato oggetto di una forte militarizzazione. Essa si è però mantenuta, salvo alcune eccezioni, sul piano della cosiddetta “militarizzazione passiva” (ossia lo sviluppo di satelliti in grado di supportare le attività belliche e di svolgere un ruolo secondario, mai direttamente coinvolti in eventuali dinamiche ostili). Ciò vale a dire che lo spazio non è mai stato un teatro di battaglia. Ma questa tendenza si è affievolita con l’acuirsi della competizione tra le tre grandi potenze: USA, Cina e Russia. Nel 2007 la Cina ha condotto un test missilistico colpendo un proprio satellite non funzionante (creando 2000 detriti in un colpo solo). Gli USA hanno risposto con un test analogo ma evitando la distruzione di qualsiasi satellite, mentre la Russia ha recentemente testato un missile anti-satellite denominato “NUDOL”[11].

Inoltre, le tre grandi potenze hanno svolto attività spaziali segrete con veicoli spaziali robotici in grado di manovrare nelle orbite terrestri[12].

Lo scenario corrente porta a considerare che il posizionamento di decine e decine di satelliti in grado di rimuovere i detriti spaziali diverrebbe un ulteriore motivo di tensione politica tra le grandi potenze, nonché tra tutti gli Stati che conducono attività spaziali. La questione dovrà sicuramente essere affrontata nelle sedi internazionali per discutere dei dubbi sulle potenzialità dual-use, sull’impatto sulla sicurezza internazionale, e sul problema giuridico sollevato dalla necessità di ripulire le orbite ormai intasate. Le orbite terrestri, oltre ad essere un fondamentale driver tecnologico per lo sviluppo e per il futuro dell’uomo, sono anche considerate da alcuni studiosi come un quasi-ambiente, in quanto sono parte indiretta della sfera ecologica dell’essere umano[13]

Forse queste considerazioni potrebbero servire da base per valutare un diverso sistema legale e politico riservato a questo ambiente.

A cura di Matteo Frigoli

[1] R. A. CARO, Master of the Senate: The Years of Lyndon Johnson, New York, 2002, p. 1028.

[2] J. N. PELTON, S. MADRY, S. CAMACHO-LARA, Satellite Applications Handbook: The Complete Guide to Satellite
Communications, Remote Sensing, Navigation, and Meteorology
, in J. N. PELTON, S. MADRY, S. CAMACHO-LARA (a
cura di), Handbook of Satellite Applications, Cham, 2017, pp. 5-8.

[3] Si veda il sito web: http://gpsworld.com/theeconomic-benefits-of-gps/.

[4] Si veda il sito web: https://onefpablog.org/2019/07/16/investing-in-the-global-space-economy/.

[5] ESA, “Space debris by the numbers” available at http://www.esa.int/Our_Activities/Operations/
Space_Debris/Space_debris_by_the_numbers.

[6] David A. Koplow, “ASAT-isfaction: Customary International Law and the Regulation of AntiSatellite Weapons, in Michigan Journal of International Law” (2009) 30(4) Michigan Journal of International Law, p. 1203.

[7] IADC Space Debris Mitigation Guidelines (2002) available at http://www.iadc-online.org/
Documents/IADC-2002-01,%20IADC%20Space%20Debris%20Guidelines,%20Revision%201.
pdf.

[8] Joseph N. Pelton Space 2.0 Revolutionary Advances in the Space Industry, Cham, 2019, pp. 88-90.

[9] Si vedano l’articolo VIII del Trattato. Il testo del Trattato è disponibile al sito: https://unoosa.org/pdf/gares/A...

[10] Stephan Hobe, et al., Cologne Commentary on Space Law, vol.1 (Carl Heymanns Verlag, 2009)at 495.

[11] Si veda il sito web: https://spaceflightnow.com/2020/04/16/u-s-officials-condemn-russian-anti-satellite-test/.

[12] Si veda Nato parliamentary assembly “The space domain and allied defense” (Defense and Security
Committee, Draft Report - 068 DSCFC 17 E, 20 March 2017).

[13] Saara Reiman, ‘Is Space an Environment?’ (2009) Space Policy 25, 2009, pp. 81–87.



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    Redazione

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Temi Ambiente e Sviluppo Società Tecnologia ed Innovazione


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